10 suggerimenti per superare la zoom fatigue
Da qualche tempo si inizia a parlare di sofferenza da “zoom fatigue”.
Come mai e cosa si cela dietro questo neologismo?
“Esistono molte ricerche che dimostrano che il cervello viene effettivamente sottoposto a uno sforzo” afferma Andrew Franklin, professore associato di cyberpsicologia alla Norfolk State University della Virginia. Dice che ci sorprenderebbe vedere quali difficoltà pongano le videochiamate alla nostra psiche, dato che parliamo di un mezzo limitato a un video e a poche ovvie distrazioni.
Ma la zoom fatigue dipende dal mondo intorno o dal mondo interno?
L’uomo comunica anche quando non parla.
Durante una conversazione che avviene di persona, il cervello si concentra in parte sulle parole pronunciate, ma ricava ulteriori significati anche da decine di segnali non verbali, come ad esempio il fatto che l’interlocutore ti guardi negli occhi oppure distolga lo sguardo, se si agita mentre parliamo, oppure se inspira velocemente per intervenire nella conversazione.
Questi segnali aiutano a dipingere un quadro olistico di quello che viene veicolato e di quello che ci si aspetta in risposta dall’interlocutore. Poiché l’uomo si è evoluto come animale sociale, percepire questi segnali è naturale per molti di noi: richiede un minimo sforzo cosciente di analisi e può gettare le basi per una vicinanza emotiva.
“Per chi è particolarmente dipendente da questi segnali non verbali, può essere una grande perdita non averli”, afferma Franklin.
Il contatto visivo prolungato è diventato il segnale facciale più forte, immediatamente disponibile, e può essere percepito come minaccioso o eccessivamente intimo se mantenuto a lungo.
Quale spossatezza si genera?
Le schermate con più persone amplificano il senso di spossatezza. La modalità “gallery view”, dove tutti i partecipanti appaiono in piccole icone rettangolari, mette alla prova la visione centrale del cervello, forzandolo a decodificare più persone allo stesso tempo, nessuna delle quali emerge in modo significativo, nemmeno chi sta parlando. Franklin afferma che “Siamo impegnati in attività multiple, senza concentrarci completamente su una in particolare”.
Gli psicologi la chiamano attenzione parziale continua, ed è tipica sia degli ambienti virtuali così come di quelli reali. Pensiamo a quanto sarebbe difficile cucinare e leggere allo stesso tempo. Questo è il tipo di attività multitasking che il cervello prova a eseguire, e in cui spesso fallisce, quando partecipa a una videochiamata di gruppo.
Questo porta al problema per cui le videochiamate di gruppo si rivelano meno collaborative e più simili a una serie di “compartimenti stagni”, in cui parlano solo due persone alla volta, mentre gli altri ascoltano. Poiché ogni partecipante utilizza un unico flusso audio e sente tutte le altre voci, le conversazioni parallele sono impossibili. Se si visualizza solo la persona che di volta in volta parla, non si vedono le reazioni dei partecipanti non attivi, che normalmente vengono percepite con la visione periferica.
Per alcune persone, la divisione prolungata dell’attenzione crea la strana sensazione di essere sfiniti, senza aver combinato nulla. Il cervello è sopraffatto da un eccesso di stimoli non familiari mentre è iper-focalizzato sulla ricerca di segnali non verbali che non riesce a trovare. Ecco perché una tradizionale telefonata può essere meno faticosa per il cervello, afferma Franklin, perché assolve il compito che conosciamo: trasmettere solo una voce.
Quando lo “Zoom fatigue” migliora le interazioni virtuali
L’improvviso passaggio alle videochiamate è stato, per esempio, un toccasana per le persone che hanno difficoltà neurologiche nell’interloquire di persona, come le persone che soffrono di autismo, che possono sentirsi sopraffatte da più persone che parlano.
John Upton, redattore della testata giornalistica Climate Central del New Jersey, ha scoperto recentemente di essere autistico. Alla fine dello scorso anno, ha iniziato a soffrire del carico mentale dato dal dover partecipare a conferenze affollate, essere coinvolto in riunioni e districarsi nelle chiacchiere comuni nei luoghi di lavoro. Afferma che queste esperienze gli hanno causato “una strana tensione e una forma d’ansia”.
Come conseguenza, ha sofferto di attacchi di esaurimento autistico e ha avuto difficoltà a elaborare informazioni complesse (normalmente il suo punto di forza) il che lo ha portato ad avere sensazioni di impotenza e inutilità. Per superare il problema ha iniziato a lavorare principalmente da casa e a concentrare tutte le riunioni il giovedì per “togliersele di mezzo” in un solo giorno.
Ora che la pandemia ha costretto anche i suoi colleghi al lavoro da remoto, ha notato che nelle videochiamate sono meno le persone che parlano e si riducono le chiacchiere di circostanza prima e dopo i meeting. Upton afferma che la tensione e l’ansia si sono ridotte al punto da essere trascurabili.
Questo risultato è supportato dalla ricerca, afferma Claude Normand dell’Università del Québec nell’Outaouais, che studia come le persone con disabilità cognitive e dello sviluppo socializzino online. Le persone con autismo tendono ad avere difficoltà a capire quando sta a loro a parlare nelle conversazioni dal vivo, osserva. Ecco perché il frequente “sfasamento” tra i parlanti durante le videochiamate effettivamente può essere d’aiuto per alcune persone autistiche. “Nelle chiamate online su Zoom è evidente quando è il tuo turno di parlare”, afferma Normand. Tuttavia, altre persone con disturbi di tipo autistico potrebbero comunque avere difficoltà nelle videochiamate perché queste possono acuire i fattori di stimolazione sensoriale come il forte rumore o le luci intense, aggiunge.
Qual è il destino della Zoom Fatigue?
È probabile che l’affaticamento da videochiamata diminuisca una volta che avremo imparato a districarci nel groviglio mentale che le video-chat possono causare. Se si avverte disagio o la sensazione di essere sovra-stimolati, Normand consiglia di spegnere la videocamera e risparmiare le energie per quando ci si sentirà pronti e in grado di percepire i pochi segnali non verbali che arrivano, come durante le faticose chiamate con persone che non conosciamo bene, o quando si desidera l’effetto benefico di un contatto con i nostri cari. Oppure, nel caso di una riunione di lavoro che può essere fatta al telefono, camminare mentre si parla può aiutare. “È noto che le riunioni ‘camminate’ stimolano la creatività e probabilmente riducono anche lo stress”, afferma Normand.
Perché le riunioni on line non comportano uno sforzo minore, rispetto all’incontro di persona?
La nostra vista ed il nostro udito hanno subito un tracollo o è solo la nostra impressione?
Potremmo andare avanti con un elenco infinito di situazioni, a cui non avevamo prestato attenzione prima, e che ora sembrano minare le nostre consapevolezze fisiche e mentali.
Gianpiero Petriglieri, professore associato di Insead, che esplora l’apprendimento e lo sviluppo sostenibile sul posto di lavoro, sostiene che stiamo vivendo un generale scollamento tra ciò che eravamo abituati a vivere prima del Covid-19 e dopo. L’aumento della connessione ha generato una disconnessione potremmo dire.
Quando il contesto cambia, la “zoom fatigue” aumenta.
Vivere in una perenne videochiamata richiede più attenzione di una conversazione faccia a faccia. Siamo costretti, nostro malgrado, a lavorare di più per elaborare segnali non verbali come le espressioni facciali, il ritmo ed il tono della voce, per non parlare del linguaggio del corpo. Molte cose alle quali prestare attenzione generano quindi elevati consumi di energia.
Sempre Giampiero Petriglieri sostiene che è come se le nostre menti fossero insieme a quelle dei nostri colleghi, ma i nostri corpi sentissero che non lo siamo realmente. In pratica i nostri cervelli stanno operando in perenne sovraccarico. In presenza fisica abbiamo più facilmente una visione totale del corpo dei colleghi, del loro abbigliamento, seguiamo facilmente i loro gesti e le loro espressioni mentre ci parlano; abbiamo una visione più ricca e completa della situazione, ed anche “dell’aria” che si respira all’interno di una sala riunioni, dove siamo totalmente immersi nella stessa situazione per poter comprendere e memorizzare più facilmente i concetti, grazie anche al linguaggio non verbale. Diverso è ricevere gli stessi input quando ci troviamo davanti ad un asettico schermo. ove il nostro collega ci sembra sempre come dentro un acquario!
Inoltre la qualità della connessione e del video, i ritardi dell’audio ed ogni altro inconveniente, dovuto al fatto che milioni di individui nel mondo sono collegati alla rete attraverso connessioni domestiche e non aziendali, rende tutto molto più faticoso.
L’evoluzione del selfie provoca fatica
Altro fattore importante è l’aspetto “gestionale” delle riunioni con Zoom.
Non ci riferiamo all’organizzazione dell’agenda di lavoro, bensì alla nostra organizzazione personale, il nostro look da video chiamata. È come se la video call fosse una evoluzione del selfie. Come fissare noi stessi dentro l’obiettivo di una fotocamera, ma per un tempo moltiplicato. E come lo facciamo noi, lo stanno facendo tutti i partecipanti alla riunione virtuale ed il nostro cervello regista anche questo stress, cioè il fatto che siamo concentrati più sul nostro apparire che sulla riunione. Siamo come sul palco di una conferenza in cui siamo i soli oratori, abbiamo la stessa pressione di un attore durante l’esibizione. Il risultato è che mantenere alte le nostre performance è decisamente snervante e molto più stressante che in Azienda.
L’importanza del silenzio
Può essere il silenzio una sfida?
Esso crea un ritmo naturale in una conversazione nella vita reale. Tuttavia, quando accade durante una videochiamata, siamo subito preoccupati che dipenda da una disfunzione tecnologica. Inoltre la nostra mente percepisce il ritardo nella voce, come una incertezza da parte dell’oratore, e ci induce a dar meno credito alle sue affermazioni, alimentando pensieri di sfiducia e valutazioni negative sui colleghi.
Consideriamo in ultimo che la maggior parte dei nostri ruoli sociali si svolgono in luoghi diversi. Il bar, il ristorante, la palestra, il negozio, il supermercato etc. Ora il contesto è lo stesso: lo schermo del nostro pc o telefono.
Viviamo confinati sempre nello stesso spazio, durante una crisi che già di per sé procura ansia e tensione e non abbiamo punti di evasione, fissiamo per ore una finestra del computer.
Allora poniamoci una domanda già prima dell’ultima video chiamata di lavoro: questa riunione di Zoom potrebbe essere trasformata in un’e-mail?
Se la risposta è sì, siamo proattivi ed iniziamo ad abituare i colleghi a scambiare alcuni contenuti anche in questo modo o con tradizionale chiamata a due, così da creare una certa alternanza.
Opportuno diventa per ogni Azienda aiutare i dipendenti, a tutti i livelli, nella gestione della “Zoom Fatigue”, invitandoli a dedicare del tempo insieme per verificare realmente il benessere di ognuno di loro.
10 consigli per superare la zoom fatigue:
- Pianificare le pause tra le riunioni, così da poter cambiare posizione ed aggiornare il nostro cervello al prossimo compito da assolvere
- Posizionare uno sfondo virtuale o reale (vedi un paravento) per ricreare l’ambiente office.
- Introdurre, tra una sessione video e l’altra, alcune chiamate solo voce attraverso il telefono
- Utilizzare lo schermo per visualizzare gli altri partecipanti, invece del nostro volto
- Limitare il numero dei partecipanti alle riunioni, così da rendere le negoziazioni più facili e meno impegnative, rispetto alle riunioni più grandi
- Non controllare le mail o il telefono tra una riunione e l’altra, occorre dare tregua alla mente ed agli occhi.
- Introdurre un “Shabbat da Zoom” cioè un giorno a settimana, in cui essere off (che non vuol dire non lavorare ma non essere in video)
- Mettere un timer per dare importanza anche al tempo non davanti al computer, tra una call e l’altra.
- Fare delle pause brevi bevendo acqua. Almeno 8 bicchieri in una normale giornata lavorativa di 8 ore.
- Fare almeno 4 volte al giorno delle brevi pause ( 2 al mattino e 2 al pomeriggio) , chiudendo gli occhi per pochi minuti e concentrandosi sul proprio respiro, rendendolo più ampio, lento e profondo.
In tempi in cui tutto scorre veloce e dove il virtuale ha sostituito il reale, è opportuno che ognuno ritrovi il proprio equilibrio interiore, si riconnetta al proprio sé essenziale.
Un ulteriore suggerimento potrebbe essere, ogni tanto, a tornare alla vecchia scuola: scriviamo una lettera a qualcuno invece di incontrarlo su Zoom. Prendiamo carta e penna e diciamogli che ci teniamo davvero, che gli vogliamo bene, che abbiamo staccato da tutto per dedicare a lui/lei cinque minuti del nostro tempo.
Faremo del bene all’altro, ma soprattutto a noi stessi.
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