Sono appena rientrata da un’esperienza presso una Scuola per bambini disabili, la Gede Special School di Gede, vicina a Watamu in Kenya. I bambini disabili in Africa sono definiti “calunnia del diavolo” perché non profittevoli. In Africa i tanti figli sono, per i genitori, un investimento per la propria vecchiaia, talvolta neanche troppo vecchia.
Il mio atteggiamento è stato di osservazione della mentalità africana del “QUI e ORA”, del vivere momento per momento, per poter rientrare a casa e in azienda con nuove conoscenze e più umanamente ricca.
I figli primogeniti e poi i successivi a scalare, hanno il dovere di occuparsi economicamente dei genitori e di tutto il cerchio stretto familiare. In Africa quindi un figlio disabile è un errore della natura, spesso considerato un intralcio da tenere fuori, magari in giardino legato ad un albero…
Quello che ho sperimantato alla Gede Special School è che c’è ATTENZIONE e non c’è COMPETIZIONE. In questo spazio di non competizione c’è posto per tutti e tutti crescono.
Cosa ho imparato da questa esperienza:
- Il linguaggio dei sordomuti mi ha permesso di sperimentare, sentendola proprio nel corpo, come la comunicazione NON verbale ci costringa ad attivare un maggior livello di attenzione e di sensibilità.
Quindi ….PRESENZA!
Devo esserci in toto nel QUI e ORA.
Se mi distraggo mi perdo e non capisco.
Ma se entro in sintonia con il mio interlocutore, mi allineo a lui, mi sorprendo per come si amplificano i miei ricettori e come l’altro si senta accolto e sorprendentemente la nostra comunicazione, il nostro scambio, sia più vitale e totale, comprensivo di corpo e mente. Mentre comunico mi accorgo che mente e corpo si sincronizzano. I movimenti del corpo amplificano la vivacità dei miei pensieri, che non possono proferir parola.
2. Il loro istintivo spirito di collaborazione. Nessuno chiede, ma il più fortunato sostiene e aiuta il più debole, naturalmente.
Resta una carrozzella bloccata in un selciato sconnesso, subito in un batter d’ali, compare all’improvviso un compagno a liberarlo. Se offri qualcosa ad uno di loro, subito si preoccupano che possa averlo anche il compagno. Potrei fare un elenco di piccoli avvenimenti quotidiani che mi hanno sempre lasciato sorpresa.
Prevale lo spirito di collaborazione e compartecipazione.
A tal proposito, ricordo la storiella dell’antropologo che propose un gioco ad alcuni bambini di una tribù africana. Mise un cesto di frutta vicino ad un albero e disse ai bambini che chi fosse arrivato primo avrebbe vinto tutta la frutta. Al via tutti i bambini si presero per mano e si misero a correre insieme, dopodichè, una volta, preso il cesto si sedettero e si godettero il premio insieme.
Quando fu loro chiesto perché avessero scelto di correre tutti insieme, visto che uno solo avrebbe potuto prendersi tutto, risposero “UBUNTU”. Come potrebbe uno solo essere felice, se tutti gli altri sono tristi?
“UBUNTU” nella cultura africana significa “io sono perché noi siamo”.
Quanto “UBUNTU” c’è nelle nostre aziende?
3. Le riunioni di lavoro del Comitato Direttivo, composto da dirigenti ed insegnanti locali e dal nostro gruppo. Ho colto alcuni aspetti molto interessanti:
- Si inizia sempre con un breve momento di silenzio (preghiera, un ringraziamento).
- Le riunioni si fanno sempre in cerchio, guardandosi in faccia e senza portatili davanti agli occhi. Spesso semplicemente seduti su una sedia, senza neanche i tavoli davanti. Sembra banale, ma permette ad ognuno di “esporsi” interamente.
- Il tono di voce è sempre pacato e se qualcuno alza il tono, per esempio noi italiani per abitudine, il contesto ti suggerisce immediatamente di abbassarlo.
- A fine riunione, si fa il giro e tutti, ad uno ad uno, sono invitati e si sentono chiamati a dire la propria idea, opinione suggerimento. E’ capitato anche a me che, in realtà, ero un’osservatore. Hanno comunque chiesto, ogni volta, che esprimessi la mia opinione.
Ciò che emerge è che non si sente il giudizio ed ognuno si sente libero di potersi esprimere. Ed effettivamente il giudizio non c’è.
Non c’è il timore di dire la cosa sbagliata, c’è comunque il rispetto di ciò che si dice e la consapevolezza che se oggi la tua opinione non è di grande interesse è comunque utile conoscerla, perché potrebbe essere importante in un altro momento. Hakuna matata è una locuzione swahili, di uso estremamente comune in molte regioni dell’Africa centro-orientale (in particolare nella zona di Kenya e Tanzania). = “non ci sono pensieri, giudizi. Tutto va bene così com’è.
Ci riporta al momento presente, al QUI e ORA. Tutto va bene perchè tutto scorre e si trasforma.
Cio’ che conta e’ la PRESENZA.
Molte persone che incontro mi chiedono :” Come faccio ? Come faccio a farlo ?”
Tutte le tecniche che utilizziamo, pratiche, esercizi,visualizzazioni, mindfulness ecc. sono strumenti per calmare la mente in modo tale da liberarla dalle sua ossessioni, per rivelare la vera essenza, il vero essere, il Sè. Le pratiche sono eccellenti per affinare la capacità della mente di concentrarsi e arrendersi.
Ma riconosciamo anche che la verità di chi siamo è qui, ora e che tutte le nostre tecniche sono modi per cercare ciò che è gia qui, di cercare di incidere un percorso verso il nostro cuore.
Questa è la verità più semplice, semplice e più ovvia.
Questa semplicità è difficile perchè ci viene insegnato, sin dall’infanzia che per ottenere qualcosa, dobbiamo imparare quali sono i passaggi e poi esercitarli.
Funziona perfettamente per moltissime cose.
La mente è uno strumento di apprendimento meraviglioso e va assolutamente onorata ed esercitata.
Ma l’autorealizzazione, come l’ispirazione e la creatività provengono direttamente dalla sorgente della mente, dall’abbandono della mente alla sorgente.
Ecco perchè la mindfulness, lo yoga, il coaching .
E sicuramente una terra così tribale come quella d’Africa, con un’energia “fuoco” così attiva e con una semplicità che abbiamo dimenticato, ha alimentato la mia ricerca e il mio ascolto che oggi spero di fare cosa gradita condividendola.
Simona Santiani
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