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  • Il metodo

    Cosa davvero ci impedisce di mantenerci concentrati al lavoro?

    Essere concentrati al lavoro sembra sempre più difficile, per non dire impossibile.

    Stamane durante una sessione di coaching ad un manager di una multinazionale, è emerso ancora una volta, il tema della concentrazione al lavoro. Dico ancora una volta, perché potrei riassumere quali sono le tematiche principali, che emergono nelle sessioni di coaching individuale e, sicuramente, la difficoltà di concentrarsi quando l’agenda condivisa viene riempita continuamente di riunioni e webcall è uno dei main topic.

    “La concentrazione ed il vuoto mentale sono il preludio della vittoria”.

    Bill Russell

    La definizione di Russell sembra qualcosa di utopistico o quanto meno non di questo sistema aziendale, dove siamo troppo indaffarati. Gli antichi sciamani dicevano “l’intento può nascere dal silenzio interiore” significa che finchè sei oscurato a livello emotivo le azioni sono paralizzate o reiterate come uno schema da cui non si può uscire.

    L’intento mantiene alta la concentrazione al lavoro, cascasse il mondo

    Se ci pensiamo bene, la stessa sensazione che viviamo in ufficio, spesso non è molto diversa anche a casa, soprattutto se abbiamo famiglia e magari figli piccoli. Certo le motivazioni e il coinvolgimento affettivo sono diversi ma dobbiamo sempre fare i conti con le interferenze.

    La nostra organizzazione al mattino, per esempio, quando vorremmo uscire di casa ed accompagnare i figli a scuola rilassati ed organizzati, non subisce spesso lo stesso tipo di pressione? Il figlio che non si alza, la figlia che non si veste, il marito o la moglie che si stanno preparando e ci occupano il bagno, il traffico, il parcheggio, la merenda che ci siamo dimenticati, la firma per l’autorizzazione che non abbiamo fatto, ecc.

    Sono sempre tutte interferenze.

    Possiamo sempre scegliere di restare in balia delle interferenze o di agire per restare coerenti al nostro intento.

    Ma cos’è l’intento?

    L’intento è il nostro focus, dove mettiamo l’attenzione. 

    Per essere concentrato e mantenere alta l’attenzione bisogna sempre sapere per quale motivo lo si fa: per questo pensare ai tuoi obiettivi è un passo fondamentale. Ma prima di pensare agli obiettivi aziendali, proviamo a concentrarci su cosa muove le nostre giornate.

    Il suggerimento personale è, quando ancora sei a letto alla mattina, prima di alzarti, prenditi qualche istante, quando ancora le onde stanno passando da alfa a beta, e fai 2 cose:

    • Esprimi subito gratitudine per questa giornata, nuova di zecca. Una gratitudine che si apre con gioia e curiosità al nuovo, proprio pensando al nuovo giorno come un nuovo inizio. 
    • Formula il tuo intento. Abbiamo già visto più volte l’importanza dell’intento.

    Oggi mi interessa sottolineare l’importanza della forza di volontà.

    L’intento mi aiuta a mantenere alta la mia forza di volontà. Ti ricordo solo le 5 caratteristiche dell’intento:

    Un intento potente ha 5 caratteristiche:

    1. riguarda me stesso e non gli altri
    2. è espresso in forma positiva 
    3. è al presente e in prima persona
    4. semplice e chiaro
    5. fa bene a me e sostiene gli altri e il sistema vivente

    Qual è il mio INTENTO in azienda e nella mia vita di tutti i giorni?

    Non esiste azione efficace senza intento chiaro

    Ti suggerisco, una volta identificato il tuo intento, di alzarti e dopo esserti lavato la faccia, prenditi dai 3 ai 5 minuti di presenza immobile, seduto a terra o su una sedia, in assoluta immobilità restando in ascolto solo del tuo respiro, dell’inspiro che riempie ed espande e dell’espiro che lascia andare tutto ciò che non vuoi, tensioni, conflitti, preoccupazioni ecc.

    Personalmente lo pratico da diversi anni e aggiungo al mio intento una pratica costante mattutina che coinvolge la mia mente, il mio corpo e le mie emozioni.

    Tieniti in forma. Stanchezza e concentrazione non vanno molto d’accordo. Se tieni veramente al lavoro che devi fare, tieniti in forma: migliora il tuo sonno, rendi l’attività fisica un’abitudine irrinunciabile. “I 5 RITI TIBETANI” da fare appena svegli sono un ottimo allenamento per il corpo e soprattutto per la forza di volontà. Si inizia da tre ripetizioni per ogni esercizio ed ogni settimana ne aggiungi 2 fino ad arrivare a 21, puoi saltarne al massimo un giorno, altrimenti dovrai diminuire di 4 se salti due giorni, di 8 se salti da 3 fino a 7 giorni e così via…
    sicuramente ci sono delle mattine che non hai voglia di farli, ma l’idea di perdere ciò che hai conquistato ti fa ignorare i pensieri pigri.

    Un altro suggerimento che ti propongo è di  leggere tutte le mattine 5 pagine (non di più) di un libro che preferibilmente contribuisce alla tua crescita personale.

    Perché ti dico questo?

    Perché allenare in questo modo disciplina e motivazione all’inizio della giornata, sono di grande aiuto, per non dire fondamentali, per riuscire più facilmente a mantenere la rotta durante la giornata. 

    E’ un allenamento a mantenere la presenza. Non basta essere presenti, bisogna esser-ci.

    Non basta essere in ufficio davanti al computer, bisogna allenarsi ad esser-ci con il proprio potere personale. Altrimenti il risultato è che a fine giornata ci sentiamo prosciugati come la canna del pompiere che ha trascorso la sua giornata a spegnere incendi e non ha più acqua.

    L’intento quindi mi richiama al SENSO della mia giornata e alle priorità che devo mettere in campo mantenere concentrazione ed efficacia.

    Una volta formulato il tuo intento, per ognuno è diverso e non è indelebile, può cambiare nel tempo, ma deve sempre essere forte ed incisivo per te e per la vita che vuoi vivere.

    Esempio: io sono calmo e gioioso.

    Come posso mantenere questo intento quando appena arrivo in ufficio, anzi prima ancora di arrivarci, la mia agenda è già piena di dieci attività non previste?

    Il mio intento diventa un continuo richiamo a non farmi distrarre e mantenere la mia direzione, perché ho scelto di voler vivere così la mia giornata. Ebbene sì, si tratta di scelta. 

    Noi scegliamo sempre.

    Come fare? Scrivi una lista di cose che per te, in quella giornata, sono assolutamente importanti. Verificane l’urgenza in termini di priorità. 

    Verifica anche se le tue priorità riguardano solo te o che tipo di ripercussioni hanno sugli altri.

    Una volta identificate le tue priorità secondo criteri “sostenibili” per te e per la tua organizzazione, sposta e posticipa ciò che non rientra in questa categoria.

    Fallo subito ad inizio di giornata e comunica la tua intenzione ai diretti interessati.

    Anche se in principio questo passaggio ti sembra imbarazzante, ti garantisco che offri un’opportunità anche agli altri e, dopo un po’ di tempo, l’intera organizzazione si autoeduca ad un nuovo mindset dove, peraltro, verificherai che ti ritroverai con molto più tempo.

    Lavoriamo tutti come se fossimo i primari del reparto del pronto soccorso del San Raffaele di Milano.

    Una volta scritte le tue priorità, inizia a svolgere il primo compito della lista impostando un timer di 25 minuti. In quei 25 minuti, dovrai impegnarti solamente su quel compito: non sarà ammessa nessuna distrazione. Una volta portato a termine il compito, prenditi una pausa di 5 minuti. Dopodiché, passa al compito successivo.

    Qual è il peggior nemico della mancanza di concentrazione al lavoro?

    Ti sei mai chiesto che differenza c’è tra pausa ed interruzione?

    La pausa è rigenerante, l’interruzione è una distrazione. Noi durante il giorno facciamo tante interruzioni, ma non facciamo pause.

    Per mantenere la concentrazione al lavoro, abbiamo bisogno di pause.

    La pausa è rigenerativa e ha la caratteristica di spostarci da quello che stiamo facendo, aprendoci ad uno “spazio” diverso. Nella pausa devo fare qualcosa che ci nutra, che nutra la nostra energia. Oltre a banalmente bere dell’acqua, allenarsi a momenti di mindfullness, dove esercitare l’esser-ci, la presenza, entrando in contatto con il corpo e le sue tensioni e con il respiro consapevole è un potente e trasformativo strumento per non restare prosciugati a fine giornata.

    Un suggerimento per mantenere la concentrazione è quello di tenere un block notes sulla scrivania. Abbiamo detto che le interruzioni sono il peggior nemico della tua concentrazione. Che si tratti di una richiesta urgente del tuo capo, di una nuova e-mail o dell’sms di un tuo amico, ogni volta che interrompi la tua sessione di lavoro, ritrovare la giusta concentrazione richiede dai 10 ai 15 minuti. Scrivi quindi sul block notes l’attività che stai svolgendo (quando inizi), a che punto sei arrivato (se e quando vieni interrotto), cosa devi fare (se vieni interrotto per qualche richiesta urgente). 

    Mi rendo conto della noiosità di questo esercizio ma è molto utile, perché tenendo traccia delle attività che stiamo svolgendo e delle interruzioni, ci rendiamo conto di quante volte passiamo da un’attività all’altra, faticando a concluderne una. Inoltre, utilizzando gli appunti tornerai più velocemente al tuo lavoro, esattamente dal punto in cui avevi interrotto.

    Un altro esercizio semplice accessibile a tutti per mantenere concentrazione al lavoro è il respiro quadrato:

    Quando liberiamo il nostro respiro, liberiamo le nostre tensioni.” Gay Hendricks

    Sama vritti Pranayama, chiamata anche “Respirazione quadrata”, deriva dal sanscrito “sama” che significa uguale e “vritti” che significa “movimenti o fluttuazioni”. E’ una respirazione in grado di alleggerire e rilassare il flusso dei pensieri che popolano la nostra mente, e ci riesce favorendo la concentrazione su una serie di movimenti – o fluttuazioni, o costruzioni – immaginarie.

    La respirazione quadrata ha anche altri benefici:

    • Ha un’azione calmante sul sistema nervoso
    • Aiuta ad affrontare situazioni difficoltose e impegnative
    • Regolarizza la pressione arteriosa e il battito del cuore
    • Rinforza il sistema immunitario
    • E’ utile per combattere l’insonnia

    La caratteristica principale della respirazione quadrata consiste nell’immaginare di disegnare un quadrato con la mente, e di abbinare alla “costruzione” di ogni lato un atto respiratorio, mantenendo per lo stesso lasso di tempo l’inspirazione, l’espirazione, e le due pause che le separano. Non ha importanza se la durata di lati del tuo quadrato è di 2, 3 o 4 secondi, ciò che importa è trovare il proprio ritmo di respirazione e mantenerlo per tutto l’esercizio.

    • Inspirando, misura la durata del tuo respiro e immagina di disegnare un lato di un quadrato;
    • Trattenendo il respiro, disegna il secondo lato del quadrato;
    • Espirando, disegna il terzo lato;
    • Trattenendo il respiro, disegna il quarto lato.

    Dovresti avvertire la sensazione di poter continuare questa pratica all’infinito, senza stanchezza. Appena ti accorgi che non riesci più a mantenere l’equilibrio con il ritmo della respirazione, interrompi la pratica senza andare oltre. Se hai difficoltà a mantenere le pause del respiro, puoi trasformare i quadrati in rettangoli! Puoi  inspirare per 4 secondi, trattenere per 2, espirare per 4, trattenere per 2. Ti invito a disegnare col respiro almeno quattro quadrati.
    In genere qualche minuto di pratica è sufficiente per calmare la mente. Ricordati di non avere fretta di finire. E’ sempre meglio fare 2 quadrati fatti bene, che dieci senza concentrazione. Durante la gravidanza bisognerebbe evitare di fare le ritenzioni del respiro ma è possibile procedere a disegnare i quadrati inspirando per 2, 3 o più respiri ed espirando per lo stesso lasso tempo. Funziona comunque! Ci sono anche delle varianti che potresti adottare: puoi disegnare i quadrati partendo una volta in senso orario e una volta in senso antiorario, oppure puoi immaginare di disegnare il quadrato una volta di un colore, e una volta di un altro, oppure ogni lato di un colore diverso.

    Quando cedo il mio potere personale la concentrazione al lavoro diminuisce

    A chi si cede il proprio potere personale?  A tutte quelle situazioni esterne a cui lasciamo prendere il sopravvento: l’invasione delle mail, il collega che mi interrompe, la telefonata, whatsapp, i social ecc.

    Ogni volta che provi un’emozione come rabbia, frustrazione, impazienza, tristezza, ansia, paura, invidia o qualsiasi altra emozione che NON sia affine a gioia, senso di rilassamento, pace, quiete, gratitudine, amoreallora significa che hai ceduto il Tuo Potere Interiore a qualcuno o qualcosa di esterno a te. Una persona, una situazione, un agente esterno può avere potere su di Te solo quando tu glielo concedi. Ogni volta che ti ritrovi inconsapevolmente in un’emozione negativa, lasciando che in modo subdolo si insinui dentro di te, stai cedendo il tuo potere, stai perdendo la tua energia. Quale energia? La tua energia innovatrice, creatrice, risolutrice. Stai lasciando che i ladri di potere approfittino del tuo momento di debolezza. E i ladri di potere sono anche tutte quelle situazioni summenzionate, ma non solo. I ladri di potere sono moltissimi, molti più di quanti immaginiamo.

    Esercizi per mantenere la concentrazione al lavoro

    Ci sono diverse tecniche per imparare a non distrarci e a mantenere la nostra concentrazione al lavoro. Di seguito te ne suggerisco alcune.

    Tecnica del mandarino:

    Per applicare questa tecnica di concentrazione dovrai seguire alcuni semplici passi:

    1. Immagina di stringere in mano un mandarino. Concentrati sui dettagli: immagina la consistenza del mandarino, il suo odore, il suo peso, la sua temperatura, liscio, ruvido, ecc.
    2. Passa il mandarino da una mano all’altra, saggiandone ogni piccola sfumatura.
    3. Ora afferra il mandarino con la tua mano destra (la sinistra per i mancini!) e portalo a toccare la parte posteriore della tua testa. Lascia il mandarino in questa posizione: è un mandarino magico, non preoccuparti non cadrà.
    4. Chiudi gli occhi e lascia che il mandarino galleggi in equilibrio la dove lo hai lasciato. Concentrati sul tuo stato fisico e mentale. Probabilmente ti sentirai rilassato ma concentrato allo stesso tempo.
    5. Sempre con gli occhi chiusi immagina che il tuo campo visivo si espanda e riesca ad abbracciare tutto ciò che ti circonda.

    Tecnica del pomodoro

    Applicare la tecnica del pomodoro prevede  5 semplici passi:

    • Scegli un’attività da completare.
    • Imposta il timer a 25 minuti .
    • Lavora sulla tua attività senza distrazioni finché il timer non avrà suonato.
    • Prenditi una pausa di 5 minuti.
    • Ogni 4 “pomodori” prenditi una pausa più lunga di 15-30 minuti.

    Tecnica del mancino

    Secondo uno studio della Case Western Reserve University, piccoli cambiamenti nelle nostre routine quotidiane possono aumentare gradualmente la nostra forza di volontà. La tecnica del mancino è consigliata dalla “neurobica” (una sorta di ginnastica mentale) per favorire la creazione di nuove sinapsi (collegamenti tra le cellule del sistema nervoso), facendo qualcosa di diverso dal solito.

    Ecco alcuni esempi pratici:

    • La mattina appena sveglio, lava i denti utilizzando la mano sinistra (la destra se sei mancino).
    • Sostituisci il primo gesto che compi ogni mattina (fumare una sigaretta, accendere il computer, etc.) con un’azione più sana.
    • Se hai la tentazione di controllare la posta elettronica o Facebook, rimanda di qualche minuto.
    • Rifai il letto.
    • In generale, abituati a fare ciò che non sei abituato a fare, solo perché decidi di farlo; proprio come se dovessi scrivere come un mancino.

    Tecnica del silenzio

    • Ne parla Robin Sharma nel “Il monaco che vendette la sua Ferrari”. La tecnica consiste nel non parlare per un giorno intero, se non in risposta a domande dirette.
    • Rimanendo in silenzio per un’intera giornata non fai altro che condizionare te stesso a fare ciò che decidi consciamente di fare, senza limitarti a reagire continuamente.
    • Più controllo sarai in grado di avere sulla tua forza di volontà, più questa si accrescerà.

    Esercizio del Triangolo

    Per allenare la concentrazione è utilissimo anche l’esercizio del triangolo. Disegna su un pezzo di carta un piccolo triangolo e coloralo di qualunque tonalità. Prendi ora il foglio su cui hai disegnato il triangolo, mettilo davanti a te e concentra tutta la tua attenzione sul disegno che hai creato. In questo momento, non devono esserci pensieri nella tua mente se non la forma geometrica che stai osservando. Mantieni la tua attenzione sul disegno ed evita di pensare a qualsiasi altra cosa. Respira, restaci da 1 a 3 minuti e poi riprendi l’attività.

    Concludendo mantenere il proprio potere personale vuol dire allenare la propria forza di volontà.

    Come dice Miranda Sorgente in “Riprenditi il tuo potere”, noi viviamo sempre in contemporanea 2 realtà, quella esterna e quella interna. Quando c’è contrasto tra le 2 realtà (es. sei in un posto meraviglioso, nel posto in cui volevi proprio essere, eppure nella tua realtà interna stai vivendo qualcos’altro) la realtà interna VINCE sempre. Il viaggio più affascinante che possiamo fare nella vita è dirigerci sempre verso il nostro faro, senza farci troppo distrarre dalle sirene!

  • Il metodo

    La leadership inclusiva abbraccia tutte le forme di intelligenza

    Come la leadership inclusiva  aumenta profitto e benessere in azienda

    In un momento storico come questo, dovuto a scenari pandemici, economici spesso incontrollabili, quella che i leader stanno vivendo nelle organizzazioni è una delle sfide più grandi di sempre: far sì che le persone, pur essendo delocalizzate, lavorando a distanza e spesso in preda ad emozioni di ansia, possano sentirsi comunque unite e motivate.

    Si inizia a ripensare ad un nuovo modello di leadership all’interno delle organizzazioni che è una leadership legata all’essere creatori di senso.

    Oggi trovare il senso da parte del leader vuol dire, nonostante tutti i cambiamenti, rispondere ad alcune significative domande: Come devo vivere? Qual è il valore del mio lavoro e dell’organizzazione presso cui lavoro? Come azienda, che contributo possiamo dare alla società? In cosa facciamo la differenza? 

    Cosa si intende per senso? 

    Il senso ha a che fare con la DIREZIONE (proprio come un cartello stradale ci indica la strada) e il SIGNIFICATO di ciò che facciamo. Se conosco il significato riesco a convogliare tutte le mie energie in ciò che faccio. Nota la differenza tra vagabondo e pellegrino: ha a che fare con il significato.Il vagabondo gira senza meta, il pellegrino ha una meta.

    Ma chi è un leader oggi?

    Il leader è colui che guida, guarda avanti, sa ascoltare e comunicare con tutti coloro che lo seguono ed anche con chi non lo segue, ma potrebbe seguirlo più avanti, qualcuno che vede prima la possibilità di cambiare, in senso positivo.

    Si può essere leader nel proprio gruppo familiare, con amici e in azienda, piccola o grande che sia.

    Formare un leader oggi significa fornire un’educazione intellettuale, associata ad una parte etica ed emotiva.

    Come dice Don Bosco l’educazione è un’azione di cuore.

    Quindi l’istruzione intellettuale deve essere affiancata ad un’educazione emotiva, capacità di ascolto, rispetto verso l’altro, empatia, flessibilità per interagire con tutti, capacità di vedere il cambiamento che arriva e saperlo trasformare, praticare valori come la gratitudine, la contemplazione e la gentilezza.

    Ogni potere deve essere sempre controbilanciato dalla responsabilità.

    Il leader oggi deve integrare, includere tutte le parti di Sé maschile e femminile. Valori come la gratitudine, la gentilezza ecc. sono per lo più legati all’energia femminile. A differenza delle caratteristiche di profitto, determinazione e competitività,  tipici della leadership tradizionale, maschile.

    Il leader oggi deve superare l’ego.

    Il leader oggi deve spingere gli altri al senso del “noi”.

    La leadership inclusiva è un cambio di paradigma

    La leadership di senso o inclusiva si sposta da una precedente visione up down ad una espressione più trasversale e per fare questo passaggio è indispensabile:

    • attingere a nuovi accordi
    • decidere per assenso
    • celebrare 
    • agire
    • dare feedback 

    Il nuovo concetto di leadership risponde a “è abbastanza buono e abbastanza sicuro per provare e lascia spazio al margine d’errore“.

    Non risponde all’idea di perfezione che, peraltro non esiste e ha sempre creato competitività e frustrazione.

    La nuova leadership deve tenere conto che ognuno è una scintilla “divina” ed ognuno è stato ferito. E’ così.

    L’obiettivo della nuova leadership deve tutelare l’equivalenza e l’equanimità. Tutti sono coinvolti.

    Una leadership di senso coinvolge un lavoro di crescita personale. Cambiare dentro per manifestare fuori.

    Significa lavorare con il giudizio. Il primo giudice interiore siamo noi stessi. Il giudizio è una reazione automatica della mente.

    Non possiamo spegnere la mente. Possiamo però osservare lo spazio tra un pensiero e l’altro e nutrirci di quello spazio, perché lì avvengono le migliori intuizioni e chiarezze.

    Abbiamo detto cambiare dentro per manifestare fuori: la gratitudine è la benzina per creare la manifestazione.

    Coltivare la gratitudine e trasformare il giudizio sono 2 aspetti fondamentali per la leadership inclusiva

    E’ necessario trasformare il giudizio in ascolto, rispettare il cammino di ognuno, portare la propria passione e la propria luce.

    Il nostro mondo è palesemente in una crisi di leadership resa manifesta – pienamente e senza eccezioni in tutto il mondo – dal collasso sanitario e sistemico scatenato dal virus COVID19 e dalla conseguente pandemia che ci affligge da qualche mese.
    Le sfide che già stavamo affrontando – il cambiamento climatico, i sempre più frequenti e terribili disastri naturali, l’esaurimento delle risorse, le costanti emergenze sanitarie nei paesi in via di sviluppo, le crisi etiche nelle aziende di tutto il mondo, il sovraffaticamento e burnout dei lavoratori nei paesi sviluppati – dipingono un quadro cupo.
    Aggravato, in moltissimi casi, da una implacabile spinta alla redditività a breve termine, da programmi sociali che si basano sulla crescita continua per garantirne il finanziamento, dal potere – ancora in espansione – delle grandi corporation. Oggi è difficile azzardarsi a ‘prevedere’ un futuro, ma tutti stiamo, ciascuno a suo modo, provando a immaginare, la ripresa nella direzione di una maggiore sostenibilità e un maggiore benessere del pianeta.

    La leadership inclusiva prevede persone – e leader – che possano accedere al meglio di ciò che sono per mettersi/o continuare ad essere al servizio degli altri e creare un cambiamento positivo e duraturo.

    Cosa intendiamo qui per leadership?

    Non è solo l’abilità di guidare, ispirare, influenzare qualcuno, ma è colui che scegli di fare un cammino di crescita personale.

    Siamo sicuri che la leadership inclusiva riguardi solo i “capi”? 

    Direi di no. Tutti noi, per prima cosa, ogni giorno, ‘guidiamo’ noi stessi, diamo una direzione al nostro agire.

    Ciascuno poi, all’interno del proprio contesto sociale, influenza in qualche modo la vita degli altri, nel privato, nel lavoro in maniera consapevole o inconsapevole.

    Quindi a tutti è richiesto di avere leadership, di mettere in campo la propria capacità di guidare altri, sia questo per un giorno, per un anno, per tutta la vita.
    Essere il proprio leader significa cercare di assumersi la piena responsabilità di se stessi, della propria motivazione, della salute, della felicità, dello sviluppo e degli sforzi per ispirare e motivare se stessi (e gli altri) a raggiungere un obiettivo o uno stile di vita dotato di senso.

    La figura dei leader sta evolvendo dall’essere l'”eroe” posto su un piedistallo, all’imparare ad essere anche “ospite” creatore di contesti in cui sia possibile facilitare lo sviluppo della self-leadership nelle altre persone.

    Ecco che il nuovo paradigma di leadership implica un ‘movimento autentico del Sé inside-out’ (da dentro a fuori di noi) integrando e valorizzando le proprie parti maschili e femminili di ognuno e concependola più armonica e completa.

    La leadership di senso risponde alla domanda: «Qual è il mio contributo al Mondo?».

    Presupposto indispensabile per esercitare una leadership di senso, sia verso se stessi che verso gli altri, è sviluppare la percezione e la conoscenza e di sé e curare il proprio sviluppo in un’ottica sistemica. L’individuo va considerato, quindi, nella sua completezza, come risultato di una integrazione di tutte le dimensioni – mentale, emotiva, fisica – che, riguardando l’intero Essere. 

    Le competenze fondamentali della leadership inclusiva

    Apprendere la leadership inclusiva  significa includere ed integrare a tre competenze fondamentali:
    1) ‘presenza autentica (mente). La presenza autentica può essere coltivata attraverso diverse pratiche contemplative, come ad esempio la meditazione, lo yoga o il movimento, che aiutano ad allenare la mente e ad accedere alla propria esperienza peculiare e unica.
    2) relazione autentica (cuore). La relazione autentica si attiva attraverso il dialogo, l’ascolto attivo, le pratiche sistemiche di risoluzione 

    3) azione autentica (corpo). L’azione efficace consiste nel guidare il cambiamento e nel saper mobilitare, dall’interno, le risorse per riuscire, per ‘farcela’. E’ l’azione forte e radicata, perché fondata, maturata, nelle prime due che la rendono possibile.

    Coltivare la propria leadership di senso è oggi una pratica e necessita di disciplina, esercizio costante e consapevole teso al miglioramento continuo, al superamento quotidiano di un limite, all’evoluzione del proprio Sé. 

    La leadership inclusiva o di senso è anche etica. Ovvero è necessario che ciascuno – soprattutto quando si trovi a guidare anche altri – non solo curi i propri interessi e quelli della propria organizzazione ma si ‘prenda cura’ del Bene comune.

    I leader etici promuovono la cultura etica e favoriscono la crescita delle organizzazioni e delle comunità, offrono buone risposte ai bisogni reali della società, hanno la capacità di affrontare i problemi prima che diventino disastri e, di conseguenza, risultano anche competitivi rispetto ai rivali, facendo da traino e da esempio per gli altri.
    I leader virtuosi praticano, quelle che Hackett e Wang2 hanno definito come le sei virtù fondamentali estrapolandole da una gamma di 54 virtù confuciane e aristoteliche. Queste sono: il coraggio, la temperanza, la giustizia, la prudenza, l’umanità e la sincerità.
    Nella loro pratica i leader etici trovano la propria felicità, la propria soddisfazione e anche l’efficacia del proprio agire.
    – Il coraggio è la capacità di agire in modi che superano l’opportunità costituita dal momento per capitalizzare il potenziale e l’impatto della visione sistemica a lungo termine. Il coraggio è la capacità di agire in un modo che serve il bene superiore, quando c’è un’immensa pressione a servire sè stessi e la ‘bottom line’. Il coraggio ha a che fare con cor-agire, azione del cuore.
    – La temperanza è il potere di controllare sè stessi in modi che portano a risultati morali e benefici per tutti.
    – La giustizia è la capacità di agire in modo equo, di ascoltare e difendere coloro che sono spesso indifesi, o in uno stato di difficoltà. La giustizia è la capacità di usare il potere personale e quello derivante dalla posizione ricoperta in modi che mirano a realizzare il bene comune piuttosto che un guadagno egoistico. “Il mondo è il mio regno e non c’è nulla che ne resti fuori” diceva Draco Daatson
    – La prudenza è la capacità di far leva sulla saggezza per scegliere non solo il buono per le persone, il pianeta e l’economia, ma anche il meglio.
    – L‘umanità è la capacità di esercitare il principio africano ‘Ubuntu’. Ubuntu significa semplicemente che “io sono in virtù di molti”. È ospitalità reciproca e non solo. Ubuntu, o umanità, suggerisce che «quando tu vinci, io vinco, e quando tu fai del male, io faccio del male».
    – La sincerità è la capacità di agire in modo autentico, di parlare onestamente e di sforzarsi di sostenere e fare il bene, anche quando queste azioni possono essere impopolari o difficili.


    Socrate ha detto: «La vita non esaminata non è degna di essere vissuta per un essere umano». Nei tempi di grande incertezza e ambiguità che stiamo attraversando è necessario, da parte di tutti coloro che si occupano dell’apprendimento della leadership, anche saper creare il giusto spazio per consentire alle persone di trascorrere più tempo nella riflessione e nell’autosviluppo e saper difendere un tale spazio dagli attacchi quotidiani della velocità e dell’urgenza.

    “Se hai un problema grosso vuol dire che tu sei piccolo, non sei sufficientemente ampio da contenere il problema. Se davvero vuoi cambiare concentrati sulla dimensione tua, non sulla dimensione del problema” Salvatore Brizzi.

    La leadership inclusiva  non è un optional.

    Quando si attraversa un mare in tempesta la leadership di senso ci garantisce l’entrata in porto.

    La leadership di senso deve essere creata, generata, nutrita.

    E’ stata fatta una ricerca in Google quasi 200 team: Qual’era il fattore più importante che determinava il successo della produttività? Al di là della performance individuale, ciò che ha fatto la differenza sono state 2 cose: la fiducia e la gentilezza. I team che avevano sviluppato più fiducia e gentilezza hanno prodotto di più in azienda.

    Questo perché è significativo? Perché per la prima volta possiamo invertire un paradigma e mettere i valori al servizio del numero e fare esattamente il contrario e mettere il numero al servizio dei valori.

    Il leader gentile quindi crea più successo, crea più salute, più benessere, più inclusività. 

    Padre Brescianini, monaco benedettino camaldolese che ha scelto di diffondere la sua spiritualità attraverso il coaching, definisce la leadership di senso attraverso 4 aree fondamentali:

    • Prendersi Cura
    • Educare
    • Bene comune
    • Visione

    Ora ti invito a fare un esercizio:

    Prova a prendere carta e penna e scrivere una descrizione di:

    • Cosa significa per me prendersi cura?
    • Cosa significa per me educare?
    • Cosa significa per me bene comune?
    • Cosa significa per me visione?

    Poi ad ogni area, associa un simbolo/ disegno simbolico

    La leadership inclusiva  è una necessità evolutiva. Non si tratta di una rivoluzione, ma di un’evoluzione.

  • Il metodo

    Assenso e consenso aumentano la leadership e amplificano l’unione nel team

    L’assenso e consenso non sono la stessa cosa. Il consenso riguarda un accordo legale e vincolante: es. dò il consenso ai trattamento dei dati, ecc. L’assenso invece è un accordo e, come tale, non è unanimità, bensì una decisione che viene presa quando non ci sono obiezioni, quando non si vedono più motivi per non agire in quel modo. L’assenso è lo spirito che informa il processo, ovvero la volontà di venirsi incontro, più che la forma del processo stesso.

    Ho trovato diverse definizioni di vocabolari, dove spesso le definizioni assenso e consenso sono utilizzate indifferentemente.

    Per il mio argomentare in questa sede, mi affascina restare più significativamente vicina alla definizione etimologica, assensus, da assentire, essere del medesimo avviso. Acquietamento della mente ad una cosa che viene proposta o affermata.

    Che bella cosa! Acquietare la mente, non disperdere più altra energia in inutili commenti, lamenti ecc. e concentrarsi per dare espressione al proprio Sé.

    In quest’ultimo periodo sento il bisogno di ascoltarmi più intensamente, cercando di non disperdere le mie energie, chiedendomi, in particolare, cosa posso fare, cosa devo comprendere, di più e meglio, grazie al lavoro di coach nella relazione di aiuto, per poter essere uno strumento di luce, affinchè tutto ciò che faccio sia allineato al massimo bene e porti i migliori risultati per me e per tutti gli esseri.

    Il tema del lavoro a distanza o del lavoro ibrido, che sta creando un nuovo assestment nelle aziende, e la difficoltà di far sentire i team coesi e compresi tra loro e con gli altri stakeholder, da ormai qualche settimana mi attiva interiormente soprattutto ricollegandomi al tema a me tanto caro del SENSO di quello che faccio e di come lo faccio.

    Definire cosa è bene e cosa è male per un’azienda e per le persone che vi lavorano ha a che fare con i valori e con la volontà del singolo manager di voler scrivere una pagina di storia dell’azienda di cui è entrato a far parte. Il bene di un’azienda spesso viene fatto coincidere con i risultati di lungo periodo. Il “long term” costituisce spesso l’ultima spiaggia nelle discussioni su situazioni di business complesse e controverse. Non sono convinta che questo sia esaustivo. Al mondo d’oggi, come ci insegna la geometria, il lungo periodo non è che una retta composta da un’infinita sequenza di tanti brevi periodi.

    Il bene di un’organizzazione ha piuttosto, secondo me a  che fare con la coerenza e l’alleanza verso l’esecuzione della strategia. Se un team crede nella propria strategia, questa stessa diventa il bene da proteggere.

    La strategia per definizione si propone o di superare una barriera (ammesso che questa sia stata ben identificata) o di cogliere un’opportunità significativa. In ambedue i casi la strategia ha lo scopo di traghettare l’azienda verso la prosperità.

    La prosperità, secondo il vocabolario, è “uno stato di benessere e di sviluppo, uno svilupparsi e svolgersi felicemente e con buoni frutti” 

    La prosperità porta buoni frutti quando il terreno è fertile.

    A tal proposito vorrei citare Igor Sibaldi quando ci parla di successo facendo riferimento alla felicità e ci chiede se il potere è legato al successo. Successo come participio passato di succidere, far succedere, creare, far germogliare…

    Sibaldi continua ponendo l’attenzione sulla differenza degli aggettivi contento (da continere, trattenere, contenere) e felice (da felix nel senso di fertile, che crea le condizioni per far succedere). La persona contenta non può avere successo. Solo la persona felice ha successo.

    Avere un terreno fertile è la prima preoccupazione anche dei permacultori.

    La permacultura è un insieme di pratiche mirate per progettare e gestire paesaggi antropizzati che soddisfino i bisogni della popolazione quali cibo, fibre ed energia e al contempo presentino la resilienza, ricchezza e stabilità di ecosistemi naturali.

    L’azienda è un sistema vivente e l’assenso e consenso sono linfa vitale

    Oggi l’azienda è decisamente un sistema vivente integrato e mai come ora vedo nella  contaminazione con altri sistemi organizzativi spunti di crescita stimolanti.

    Nel mondo no profit, in quello associazionistico, nei nuovi modelli di ecovillaggi e nella permacultura viene spesso applicato il metodo dell’assenso e consenso che ha origini in Olanda negli anni 70, con la sociocrazia.

    Ho fatto la scorsa estate 2021, in Umbria, un ‘esperienza molto interessante, con un facilitatore della sociocrazia nei sistemi no profit che mi ha molto affascinato, perchè esperendola, in prima persona, ho compreso non solo il mio cambiamento di coinvolgimento e partecipazione, ma il mio sentirmi responsabile rispetto all’altro collega, applicando il metodo dell’assenso. Il risultato per me e per il mio gruppo è stato entusiasmo, impegno e condivisione, ma soprattutto sentirci parte importante di un Tutto che senza di noi non avrebbe avuto risoluzione. Alla base di questo senso di appartenenza c’era una condivisione di valori comuni.

    Con l’assenso, la decisione finale, di solito, non coincide con la prima preferenza di ciascun individuo del gruppo, e ci saranno persone a cui il risultato finale non piacerà parzialmente o del tutto, ma sarà una decisione a cui tutti avranno acconsentito e a cui ciascuno sarà disposto, a livelli diversi, a cooperare. 

    ll metodo dell’assenso è una forma per prendere decisioni di modo che esse siano cooperative e non coercitive.

    L’ assenso e consenso è definito come “nessuna obiezione”, le obiezioni sono valutazioni sull’efficacia della linea guida nel realizzare gli scopi dell’organizzazione. I membri che discutono di un’idea, e che si basano sul principio dell’assenso, si chiedono se è “sufficientemente buona per ora, sufficientemente sicura per essere provata”. Se la risposta è negativa, vuol dire che c’è un’obiezione da porre, che inizia la ricerca di un adattamento e una evoluzione della proposta originale per risolvere l’obiezione e trovare l’assenso.

    Questo scenario ci apre a 2 spunti di riflessione:

    1. L’ubuntu. E’ un principio etico africano che ho sempre incontrato durante le mie passate spedizioni africane con le organizzazioni umanitarie. Un valore esistenziale che spinge all’interconnessione, alla convivenza e al rispetto. Tra i nativi dell’Africa meridionale esiste un bellissimo detto popolare che recita “umuntu, ngumuntu, ngabantu” e che può essere tradotto come “una persona è una persona a causa degli altri”.

    2. L’azzeramento del margine d’errore o comunque la sua riduzione ed eventualmente facile gestione. Arrivare alla decisione “sufficientemente buona per ora, sufficientemente sicura per essere provata” comporta consapevolezza che non è perfetta e che può essere ancora modificabile, ma anche sicurezza di avere tutti dalla stessa parte e di essere abbastanza saldi nel poter intraprendere al meglio la decisione presa. Si tratta di far emergere nella fase delle obiezioni tutte le paure che bloccano sia mentalmente che emotivamente le persone ad andare avanti, ed è molto stimolante che il gruppo sostenga e faccia proprie timori e resistenze comuni. In questo modo automaticamente si rafforza e aumenta la capacità di resilienza.

    Come si prendono decisioni con l’assenso e consenso?

    1. Identificare elementi dello scenario che vogliamo prendere in considerazione (Qual è il quadro della situazione?)

    2. Creare una proposta (quale sarà il nostro approccio?) Solitamemte si chiede ad una o più persone di preparare una bozza di proposta e farla circolare perché sia commentata e rivista prima dell’incontro successivo.

    A. Analisi del problema / delle opportunità [Bisogni / Risorse / Limiti]

    B. Dialogo con i portatori di interesse / persone informate

    C. Stesura della proposta con elementi essenziali (5W – What, Who, Where, When, Why )

    D. Feedback con criteri/obiettivo

    1. Assenso alla proposta (qual è la nostra decisione?)

    a. Presentare la proposta

    b. Chiarificazione (giro di) (solo domande di chiarificazione) “La proposta è chiara?”. “Ci sono domande?” “E se…?”

    c. Reazioni rapide (giro di) un feedback veloce sulla proposta, se necessario modificare la proposta in base alle reazioni Vi interessa questo argomento? C’è energia?” (Breve reazione, anche solo una parola, un gesto o una frase breve – focus se l’argomento è di interesse – c’è energia/interesse rispetto al problema/opportunità affrontato)

    a. Assenso (giro di): Se ci sono obiezioni vanno registrate su un foglio /lavagna senza aprire il dibattito, finche il giro non sarà completato. Se necessario modificare la proposta e ripetere il giro dell’assenso (aprire un confronto libero a volte può essere utile per far emergere modifiche in risposta alle obiezioni). “Ci sono obiezioni a questa proposta?” Dopo aver finito il giro si chiedono le motivazioni a chi ha portato un’obiezione

    6 Ragioni per obiettare:

    1. Uno o più aspetti della proposta confliggono con lo scopo del cerchio;

    2. uno o più punti deboli o aspetti non affrontati, prendendo in considerazione lo scopo del cerchio;

    3. non sono espressi criteri o date di valutazione/misura future;

    4. potenziali conseguenze inaspettate se la proposta viene implementata, prendendo in considerazione lo scopo del cerchio;

    5. uno o più aspetti non sono ben pensati o sono espressi in modo confuso;

    6. uno o più aspetti non permettono di portare avanti i tuoi compiti, prendendo in considerazione lo scopo del cerchio.

    6 modi per risolvere le obiezioni

    ·   DURANTE LA RIUNIONE

    ·   A. Aggiungere le preoccupazioni in forma di nuovi criteri di valutazione,

    ·   e/o avvicinare la data della prima valutazione;

    ·   B. il facilitatore modifica la proposta;

    ·   C. chi ha scritto la proposta la modifica;

    ·   D. le persone che hanno obiettato, uno o più, o tutto il cerchio modificano la proposta;

    ·   E. un giro con la domanda: “come lo risolvereste?”;

    ·   F. “fishbowl” con due o tre persone al centro del cerchio.

    Proposta modificata

    Riparto dal punto 4.

    Annunciare la decisione presa e celebrare

    ⇒ SUCCESSIVAMENTE ALLA RIUNIONE

    A. Affidare ad un gruppo di ricerca;

    B. affidare ad un gruppo di risoluzione;

    C. affidare ad un cerchio superiore.

    Nuova proposta

    Riparto dal punto 1.

    Annunciare la decisione presa e celebrare

    Implementazione (Fare)

    Feedback

    Quando si usa l’assenso non è necessario avere “vincitori e vinti” in una discussione: potrà esserci un’idea totalmente nuova che terrà insieme le prospettive ed i desideri di tutti e tutte.

    La sociocrazia dell’assenso e consenso in azienda

    La Sociocrazia è un modello organizzativo molto vicino alla gestione agile caratterizzata da livelli diversi di scopo, responsabilità e competenza: questo modello è fortemente caratterizzato dal principio che ogni persona per competenza e ruolo ha diritto ad essere ascoltata e presa in considerazione nei processi decisionali che la riguardano. Proprio in questo vedo una forte assomiglianza con l’ubuntu africano.

    Il modello si sostanzia in alcuni semplici principi di funzionamento volti a conciliare efficacia, efficienza e qualità dei modelli organizzativi, partendo da un’ idea di leadership diffusa verso tutte le persone che partecipano all’organizzazione; si tratta di un modello che incoraggia la valorizzazione e distribuzione della leadership per aree di competenza, secondo principi dinamici e modalità di decisione in gruppo che fanno leva sul l’ascolto diretto e consapevole e sul coinvolgimento delle persone, nonché sulla condivisione delle informazioni e del potere in modo equilibrato.

    Sociocrazia deriva dal latino socius, che significa compagno, collega o associato, e dal greco kratein che significa potere. Il termine fu coniato nel 1851 dal sociologo Auguste Comte. Comte supponeva che un governo guidato da sociologi avrebbe usato metodi scientifici per soddisfare i bisogni di tutte le persone, non solo quelli della classe dominante 

    Il sociologo americano Lester Frank Ward ampliò successivamente il concetto e riteneva che la democrazia si sarebbe così evoluta in una forma più avanzata di governo, la Sociocrazia.

    Nota anche come Governance Dinamica, è un sistema di gestione che ha lo scopo di arrivare a soluzioni che creino sia un ambiente socialmente armonioso, che organizzazioni ed imprese produttive. Utilizza l’ “assenso” piuttosto che il voto di maggioranza nel momento della presa di decisioni, e per il momento di dibattito che avviene, prima del momento decisionale, tra le persone coinvolte che hanno un rapporto di collaborazione, conoscenza e uno scopo comune.

    Il pacifista olandese, educatore e operatore di pace Kees Boeke e sua moglie, l’attivista pacifista inglese Beatrice Cadbury, aggiornarono e ampliarono le idee di Ward a metà del XX secolo, implementando la prima struttura organizzativa sociocratica in una scuola a Bilthoven, in Olanda. 

    Boeke vide nella Sociocrazia una forma di management che presupponeva l’equivalenza degli individui e si basava sul consenso. Questa equivalenza non è espressa con la legge democratica di “un uomo, un voto” ma piuttosto dal gruppo di individui che, ragionando insieme, arrivano ad una decisione che soddisfi ognuno di loro.

    Boeke definì tre “regole di base”:

    1. Gli interessi di tutti i membri devono essere considerati e l’individuo deve rispettare gli interessi della collettività.

    2. Nessuna azione può essere intrapresa se non c’è una soluzione che tutti possano accettare,

    3. Tutti i membri devono accettare queste decisioni quando prese unanimemente.

    Qualora un gruppo non riuscisse a prendere una decisione, questa è data in carico ad un gruppo di rappresentanti di “livello superiore”, scelti da ciascun gruppo. Le dimensioni di un gruppo decisionale non dovrebbero superare le 40 persone, con commissioni più piccole formate da 5-6 persone che prendano decisioni più di “dettaglio”. Per gruppi più numerosi, viene scelta, dallo stesso gruppo, una struttura di rappresentanti per poter prendere decisioni. Questo modello dà molta importanza al ruolo che gioca la fiducia. Affinché il processo risulti efficace, i membri che formano il gruppo devono fidarsi l’uno dell’altro e, viene affermato, che questa fiducia si costruisce nel tempo, a condizione che si utilizzi questo metodo decisionale. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, Gerard Endenburg, un ingegnere elettronico ed ex allievo della scuola di Boeke, sviluppò ulteriormente e applicò i principi nell’azienda di ingegneria elettronica/elettrotecnica di proprietà dei suoi genitori, che avrebbe poi ereditato. Endenburg volle replicare in un ambiente di lavoro l’atmosfera di cooperazione e armonia che aveva sperimentato nella scuola di Boeke. Inoltre riconobbe che in un ambiente produttivo di tipo industriale, con una forza lavoro varia e mutevole, non ci si poteva aspettare che i lavoratori si fidassero l’un l’altro prima che potessero prendere decisioni. Per risolvere questo problema, Endenburg lavorò per analogia per integrare la sua comprensione della fisica, della cibernetica e del pensiero sistemico con lo scopo di sviluppare ulteriormente le teorie sociali, politiche ed educative di Comte, Ward e Boeke. Attingendo alla sua competenza nei principi di funzionamento di sistemi meccanici ed elettrici, la applicò ai sistemi umani.

    Endenburg sviluppò un metodo organizzativo formale chiamato Metodo Sociocratico di Organizzazione in Cerchi, basato sul processo di feedback (retroazione circolare), quindi fu chiamato “processo di feedback causale circolare”, ora definito comunemente come processo di feedback loops.

    L’approccio è basato su una gerarchia di cerchi corrispondente a unità o reparti di un’organizzazione, ma è una gerarchia circolare: i collegamenti tra ciascun cerchio si combinano per formare circuiti di feedback che collegano tutta l’organizzazione.

    Il metodo di Endenburg  fu originariamente diffuso sulla base di quattro principi essenziali.

    1 Assenso e consenso consenso governano il processo decisionale sulle linee guida

    Le decisioni vengono prese quando c’è un assenso informato da parte di tutti i partecipanti. Le obiezioni devono essere ragionate, argomentate e basate sulle competenze di chi lavora proficuamente alla realizzazione degli obiettivi dell’organizzazione. Tutte le decisioni sulle policy aziendali sono prese con l’assenso. Tuttavia,le decisioni operative quotidiane vengono normalmente prese nel modo tradizionale.

    2 Organizzazione in cerchi

    L’organizzazione sociocratica è composta da una gerarchia di cerchi semi-autonomi.

    Questa gerarchia, tuttavia, non costituisce una struttura di potere poiché l’area di responsabilità di ogni cerchio è delimitata. Ogni cerchio ha la responsabilità di eseguire, misurare e controllare i propri processi nel raggiungimento dei propri obiettivi. Ha inoltre l’autorità su uno specifico ambito all’interno delle linee guida dell’intera organizzazione. I cerchi sono anche responsabili del loro proprio sviluppo formativo. Il cerchio e i suoi membri sono tenuti a determinare ciò che devono sapere per rimanere competitivi nel loro campo e raggiungere gli obiettivi del loro cerchio.

    3 Doppio collegamento

    Gli individui che agiscono da collegamento sono membri a pieno titolo nei processi decisionali sia del proprio cerchio che del cerchio collegato superiore. Il leader operativo di un cerchio è per definizione un membro del cerchio superiore collegato rappresenta l’organizzazione nel suo insieme nel processo decisionale del cerchio che conduce. Ogni cerchio elegge anche un rappresentante per rappresentare gli interessi del cerchio nel cerchio superiore collegato. Questi collegamenti formano un circuito di feedback tra i cerchi.

    Al livello più alto dell’organizzazione, esiste un “cerchio superiore” (“top circle”), analogo a un consiglio d’ amministrazione tranne per il fatto che funziona seguendo le linee guida dell’organizzazione in cerchi invece che imporsi al di sopra di essi. 

    4 Elezioni per assenso

    Gli individui vengono eletti a ruoli e responsabilità tramite una discussione aperta e trasparente, seguendo gli stessi criteri dell’assenso usati nelle decisioni sulle linee guida. I membri del cerchio possono nominare se stessi o altri membri del cerchio argomentando le ragioni della loro scelta. Dopo questa fase, le persone possono (e spesso lo fanno) cambiare le loro nomine; la persona che facilita la discussione, a questo punto propone la persona per la quale sono state presentate le argomentazioni più rilevanti. I membri del cerchio possono obiettare a questa proposta e può seguire un’ulteriore discussione

    La Sociocrazia fornisce stabilità al processo di autoregolazione: ciò avviene attraverso la doppia rappresentanza per ogni gruppo, un sistema di feedback continuo (riscontri periodici sull’andamento di ogni singolo gruppo e tra gruppi che interagiscono) e le linee guida per due processi fondamentali per ogni organizzazione: quello elettivo e quello decisionale.

    Un’altra caratteristica fondamentale della Sociocrazia è che essa è ispirata e per certi versi simile ai principi della Comunicazione Non Violenta: chi assume il ruolo di facilitatore cura le dinamiche con cui le persone parlano, lasciando a tutti i partecipanti un adeguato tempo per esprimersi ed evitando che nella conversazione entrino dinamiche non pertinenti o in grado di influenzare in modo violento il processo decisionale. 

    Vantaggi e Svantaggi dell’assenso e consenso in azienda

    La Sociocrazia è un processo veramente orientato all’uomo.

    Gli Svantaggi potrebbero essere:

    ·   Richiede uno scrupoloso piano di adozione con un facilitatore esperto

    ·   Necessita di formazione in nuovi concetti

    ·   Può suscitare emozioni interne e diverse durante l’adozione (scetticismo, entusiasmo, ansia ecc)

    ·   Può risultare inizialmente difficile per chi non è abituato a condividere la responsabilità di decisioni difficili

    Ma i benefici sono decisamente maggiori:

    ·   Promuove la creatività e la capacità di risoluzione a tutti i livelli dell’organizzazione

    ·   Supporta gli interessi di investitori, management e personale

    ·   Velocizza l’adattamento al cambiamento

    ·   Coinvolge e utilizza l’energia di ogni membro dell’organizzazione

    ·   Genera prodotti e servizi di alta qualità

    ·   Aumenta l’impegno e il senso di appartenenza dei collaboratori

    ·   Riduce il numero delle riunioni, rendendole anche più piacevoli

    ·   Riduce l’assenza di malattia

    ·   Aumenta la consapevolezza dei costi

    ·   Riduce le probabilità di born out

    ·   Sruttura l’auto disciplina

    ·   Supporta la leadership evoluta tra pari

    Un aspetto decisamente interessante è la circolarità del feedback. Il feedback viene dato da tutti i partecipanti al cerchio, in modalità responsabilizzante e costruttiva, evidenziando cosa poteva essere migliorato, modificato e/ o addirittura variazioni pratiche, Nel feedback agisce fortemente il sostegno dei membri.

    Decisamente è un contributo per lavorare sulla complessità o come qualcuno dice per tagliare a fette l’elefante. Questa volta però come tagliarlo lo si decide insieme ed ognuno taglia!

    La Sociocrazia è un processo, un processo di gruppo. Ogni volta diverso, nonostante struttura definita, perché la mente e i sentimenti delle persone cambiano continuamente.

    Il collante forte che si attiva nella sociocrazia è lo scopo comune condiviso e la fiducia.

    Pratica possibile:

    Riprendendo un po’ da dove sono partita, e cogliendo la difficoltà di creare consolidamento e comprensione lavorando a distanza o con il nuovo modello ibrido si potrebbe pensare ad allargare un poco, soprattutto nei web meeting, lo spazio breve di intro e di chiusura sul proprio stato emotivo:

    ·   1 minuto in apertura per dire agli altri con quale stato d’animo o pensieri si approda in riunione – 1 minuto in chiusura per sapere cosa si portano a casa.

    Buon assenso a tutti!

  • Il metodo

    DIRE FARE ABBRACCIARE: l’inclusione lavorativa è un abbraccio di vitalità e benessere

    Come può l’inclusione lavorativa essere considerata un abbraccio strategico? 

    Abbracciare è una parola “poliedrica” in azienda, che va dall’abbraccio fisico tra colleghi, alla pacca sulla spalla, all’accettazione ed accoglienza, sino all’inclusione e trasformazione.

    Abbracciare è una parola di ampio respiro.

    C’è un denominatore comune in tutte queste definizioni, abbracciare=apertura.

    Quindi, se mi apro respiro.

    Se non abbraccio, non mi apro, resto chiuso e non respiro.

    Se non respiro sto male e “muoio”.

    Se abbraccio poco, respiro male.

    Abbracciare quindi è un compito vitale per l’essere umano.

    L’ Inclusione lavorativa quindi ha a che fare con l’abbracciare  e significa:

    • accogliere
    • accettare
    • includere/integrare
    • amare
    • trasformare

    Accogliere racchiude tutte le sfumature dell’apertura all’altro. Dal latino: accolligere, derivato da colligere- raccogliere. A sua volta composto da co– insieme e lègere- raccogliere. Dunque accogliere significa “raccogliere insieme”, ricevere qualcuno o qualcosa, accettare, creare un legame.

    Accogliere vuol dire mettersi in gioco, che esprime una sfumatura maggiore rispetto al supremo buon costume dell’ospitalità.

    Accogliere è un atto di saggezza, nel senso di:

    • imparare che nella vita ci sono cose che non puoi controllare e che ti tocca invece imparare a gestire, dandogli un significato.

    Accogliere significa dunque aprire la porta a chi ti sta bussando, che si tratti di un ospite in casa o di un collega in ufficio. 

    Accogliere per fare entrare, per condividere un’esperienza, per creare scambio.  

    A volte è piacevole ed è molto semplice, altre invece ci chiediamo che senso abbia farlo… 

    Perché dovrei accettare e accogliere l’età che passa, una persona che non mi ispira o gli eventi imprevedibili che arrivano nella mia vita per esempio? 

    Perché fare la fatica di accogliere anche gli errori, i fallimenti o un ambiente che non mi aggrada?

    Talvolta accogliere significa ascoltare non solo ciò che vogliamo sentire, ma anche ciò che ci fa arrabbiare, che non condividiamo o che vorremmo zittire. 

    Per me accogliere è decisamente  più difficile dell’accettare. Significa aprirsi all’ipotesi che, forse, avevamo bisogno di quello che è accaduto per imparare qualcosa di nuovo. Personalmente  vorrei, a volte, imparare senza ripetizioni, buona la prima, invece di essere “ rimandata a settembre”.

    Tuttavia nell’inclusione lavorativa, con l’accezione che ci stiamo dando di accoglienza e accettazione, ci sono sempre 2 aspetti fondamentali:

    • Bellezza e Apprendimento. 

    La bellezza della scoperta, dell’incontro tra persone e culture diverse, l’arricchimento dello scambio, l’apprendimento di esperienze nuove.

    Inclusione lavorativa  significa avere il desiderio profondo di conoscere chi ci sta di fianco, che può essere che ci camminiamo a fianco da anni ma che in realtà non gli abbiamo mai stretto le mano. O non lo abbiamo mai abbracciato. Che siamo rimasti fermi alla prima impressione, o alla seconda, o all’immagine che avevamo di lui anni fa. Mentre fortunatamente evolviamo tutti, ogni giorno, e talvolta dobbiamo fermarci per riconoscerci di nuovo.

    Perché ci risulta così difficile l’inclusione lavorativa

    Quando mi trovo di fronte a questo dilemma, nel lavoro come nella vita, ringrazio il mio amore e la mia passione per lo yoga.

    Nella tradizione orientale Santhosa (= accoglienza, accettazione) è il secondo Nyama (disciplina) degli 8 principi dello yoga. Il termine deriva dal sanscrito sam, che significa “completamente” o “del tutto”, e tosha, che significa “soddisfazione” o “accettazione”.

    Questa pratica è caratterizzata da un generale appagamento e contentezza per ciò che è così com’è. Santosha è strettamente legata all’equanimità, in quanto praticarla permette di accettare qualunque circostanza si presenti, inclusi piacere, dolore, successo o fallimento.

    L’Hatha Yoga Pradipika, uno dei testi più antichi della filosofia dei Veda, la descrive così: “Santosha significa appagamento in qualunque circostanza. Possiamo possedere molto o nulla, guadagnare o perdere ma in ogni caso dovremmo coltivare la consapevolezza di possedere più che abbastanza. La situazione opposta è l’insicurezza, che genera stanchezza e instabilità…”. Letteralmente può essere tradotto con “contentezza”: stato d’animo (e le relative dimostrazioni) di chi è molto soddisfatto o si rallegra di una situazione o di un fatto.

    Santhosa consiste nell’arte di sentirsi contenti e appagati, indipendentemente dalle condizioni esterne. 

    Come si fa?

    Non significa non provare mai tristezza, rabbia ecc. ma coltivare la capacità di vedere le cose per come sono, anche se non sono come vorremmo noi e coglierne l’aspetto positivo.

    La perdita del lavoro, le relazioni difficili, le difficoltà economiche rendono spesso arduo coltivare l’accettazione ma Santosha vuol dire anche sviluppare la speranza mantenendo un atteggiamento positivo verso il futuro: se adesso stiamo attraversando un periodo duro, non è detto che duri per sempre. 

    Sviluppare fiducia, equanimità, non farsi sopraffare dalle aspettative ma osservare ciò che la vita ci offre, vedere sempre la metà piena del bicchiere, non scoraggiarsi se le difficoltà perdurano, sono tutti aspetti che riguardano il Santosha.

    Spesso la non-accettazione nasce dalla paura, dal non sentirti all’altezza, pensare che non hai la forza o le capacità per superare una determinata situazione. 

    Nel Sutra 42 di Patanjieli troviamo questa bellissima definizione “il risultato dell’appagamento (santhosa) è la felicità totale”

    Dunque accogliere, in questa ottica, risponde ai nostri scettici perché. 

    Accogliere non equivale a subire passivamente gli eventi, ma diventa una scelta strategica: accolgo quello che ho davanti, perché solo accettandolo posso conoscerlo meglio. E quando conosco meglio qualcosa o qualcuno, le mie difese si abbassano e riesco anche ad essere più lucido e creativo, riesco a trovare nuovi spunti e soluzioni.

    Lavorare sull’inclusione lavorativa significa ispirare, innovare e creare

    Dovrei lasciare che le cose siano così come sono? 

    Dovrei rinunciare al cambiamento e rassegnarmi che tutto rimanga com’è?

    L’idea che l’accettazione sia rassegnazione è molto forte perchè tendiamo ad avere una visione cristallizzata delle posizioni emotive. Così se accettiamo rimaniamo fermi ad accettare per sempre, se rifiutiamo, rifiutiamo per tutta la vita. 

    L’idea che la posizione emotiva sia un passaggio di un processo che si sviluppa e muta sembra improbabile.

    Accettare è un passaggio emotivo in cui riconosciamo che qualcosa è avvenuto; qualcosa che è già avvenuto. Non abbiamo il potere di rifiutarlo perchè è già presente. Non lo cambieremo attraverso il rifiuto, che, spesso è proprio anche il rifiuto della sua esistenza. 

    Lo cambieremo attraverso il riconoscimento del fatto che c’è già nella nostra vita.

    Accettare = fare i conti con quello che è già avvenuto con tutto l’impatto che ha su di noi. 

    Non significa che dobbiamo mantenerlo con noi per sempre, né significa rassegnarsi alle sue conseguenze. 

    Se desideriamo che il cambiamento sia possibile, il punto di partenza fondamentale è accettare ciò che è già avvenuto, e focalizzarci sull’inclusione lavorativa con una visione aperta a tutto ciò che è.

    Altrimenti continueremo a combattere contro i mulini a vento, per negarlo. 

    La strada dell’accettazione è un percorso, non una meta, e inizia proprio dalla non-accettazione, dalla rabbia, dalla frustrazione e dalla voglia di mandare tutto a quel paese.

    L’inclusione lavorativa è proprio  l’opposto dell’evitamento esperienziale, significa aprirsi all’esperienza di tutte le emozioni e i pensieri, senza cercare di combatterli o scacciarli a forza. 

    Quali sono le strategie automatiche che mettiamo in campo per “evitare di sentire”?

    Qual è stata l’ultima volta che ti sei accorto di compensare con qualcos’altro per non abbracciare l’emozione che stavi vivendo?

    D’altro canto, anche l’approccio occidentale di una terapia comportamentale di terza generazione mette al centro del percorso di inclusione e trasformazione lavorativa l’accettazione e l’impegno. Si tratta dellAcceptance and Commitment Therapy, conosciuta anche come ACT (pronunciata come una singola parola, in inglese “azione”). L’ACT è stata fondata da Steven C. Hayes, professore di Psicologia dell’Università del Nevada, negli Stati Uniti.

    L’Acceptance and Commitment Therapy, (ACT)  trae le sue origini dalla psicologia comportamentista ed è ispirata dalla psicologia buddhista.  L’ACT è una psicoterapia basata su evidenze sperimentali, che usa strategie di accettazione e mindfulness insieme a strategie di impegno nell’azione e modificazione del comportamento. 

    I processi fondamentali sono sei e sono interconnessi gli uni con gli altri.

    1. il contatto con il momento presente 
    2. la defusione
    3. l’accettazione
    4. il Sè come contesto
    5. i valori
    6. l’azione impegnata

    L’interazione di questi 6 processi determinano la flessibilità psicologica, che è la capacità di stare nel momento presente con piena consapevolezza e apertura alle esperienze interne ed esterne, e di intraprendere azioni orientate da ciò che per noi è realmente importante.

    1. “Essere in contatto con il momento presente” significa essere pienamente consapevoli di ciò che ci sta accadendo momento per momento. E’ molto difficile nella nostra quotidianità rimanere nel momento presente. Molto spesso veniamo infatti rapiti da preoccupazioni che ci portano a preoccuparci del futuro o a rimpiangere il passato.
    2. Per defusione si intende quella particolare capacità della mente, tipica degli stati di meditazione, di potersi osservare mentre sperimenta il suo stesso funzionamento. Defondeersi significa togliersi dalla fusione con quell’emozione, stato, situazione ecc., fare un “passo indietro” ed osservare i propri pensieri guardandoli per quello che sono.Significa prendere la distanza senza reprimere le emozioni che stiamo vivendo, ma riducendo così l’impatto che queste hanno sulla nostra vita. Riuscire a prendere questa distanza aiuta a gestire meglio pensieri ed emozioni e a migliorare lo stato psicologico generale della persona.
    3. Il processo cardine è anche per ACT Accettare Significa aprirsi e fare spazio a sentimenti, emozioni e sensazioni anche dolorose. Significa smettere di combattere le emozioni negative, smettere di non volerle sentire e lasciare che semplicemente si manifestino per quello che sono.Secondo l’ACT infatti la causa di gran parte della sofferenza psicologica che proviamo è legata al nostro tentativo di evitare di provarla.
    4. Il Sè come contesto detto anche il “sé che osserva” è quella parte di noi che osserva la nostra mente mentre questa è in azione. Mentre tutti abbiamo consapevolezza del sè che pensa (quello con cui ragioniamo, progettiamo, immaginiamo e ricordiamo), molta meno consapevolezza abbiamo di un’altra parte della nostra mente che è in grado di osservarci mentre ragioniamo, progettiamo, immaginiamo etc. E’ il sé come contesto, quella parte della nostra mente che osserva il suo stesso funzionamento.
    5. Valori chiarificazione dei valori personali. Ogni persona ha infatti i propri valori, ma spesso, soprattutto quanto siamo molto sofferenti, facciamo fatica a ricordarli o vivere in accordo con questi.Fare chiarezza sui valori personali e operare di conseguenza delle scelte orientate da questi è uno degli aspetti centrali del percorso.
    6. Action Plan un’azione decisa mirata verso una nuova  direzione maggiormente soddisfacente. 

    Cosa fare concretamente per allenarci a migliorare l’inclusione lavorativa?

    Per quanto mi riguarda, non ho dubbi. Da questa breve riflessione fatta possiamo considerare come tutto, da qualsiasi approccio ci si avvicini, tutto ci riporta all’importanza di lavorare su di Sè.

    Non possiamo parlare di inclusione lavorativa  considerandola come una strategia da acquisire dall’esterno. Utilizzare Santosha in pratica significa lavorare su 3  diversi livelli:

    • Intento: impegnati al massimo in qualsiasi tua azione, quindi accetta qualsiasi risultato ne derivi. Potremmo riassumere questo principio nella frase “fai del tuo meglio.”
    • Stato interiore: adotta una mentalità di appagamento supportata anche da altre virtù come la compassione, l’assenza di invidia e il non rubare.
    • Espressione: la manifestazione esteriore di santosha è la serenità e la totale soddisfazione, senza desideri superflui.

    Uno dei modi per “fare spazio” e accettare pensieri e emozioni è attraverso la pratica della mindfulness.

    La mindfulness, pratica meditativa nata in oriente più di 2000 anni fa, consente infatti di sviluppare un atteggiamento curioso e non giudicante verso i propri contenuti mentali.

    l’accettazione  è un atteggiamento che va sviluppato e va scoperto; significa imparare ad accogliere quello che viviamo, con atteggiamento proattivo e aperto. Anche di fronte a momenti difficili della vita. La pratica della mindfulness può aiutarci in questo, a sviluppare un atteggiamento più aperto, per riconnettersi con se stessi e favorire un maggiore slancio nel cammino della vita.” Dott. Maffini, psicologo e psicoterapeuta

     “Non c’è colpa più grande che assecondare i desideri. Non c’è sventura più grande che non sapersi accontentare. Non c’è difetto più grande della sete di guadagno. Perché chi sa che abbastanza è abbastanza ha sempre a sufficienza.”

    Lao Tse

    Ascolta ora questa meditazione direttamente dalla voce di Simona e prova a seguirla e praticarla fino alla fine:

    Meditazione del fiume

    ​​

     Se ti sei perso i precedenti articoli ecco i link:

    IL DIRE E LA COMUNICAZIONE EMPATICA E POTENZIANTE

    IL DIRE E L’AVERE SUCCESSO IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE E IL RISPETTARE LE REGOLE IN AZIENDA E NELLA VITA

    IL DIRE IMPLICA IL VERBO SBAGLIARE

    IL FARE E LA ROUTINE DEL MATTINO

    IL FARE E LA MIA ROUTINE QUOTIDIANA

    . Il FARE E IL CIBO CHE DA’ ENERGIA

    . IL FARE E L’INTELLIGENZA CREATIVA IN AZIENDA

    Se invece sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • Il metodo

    TRASFORM-AZIONE VERA: Il FARE e la MIA routine quotidiana

    Mi sveglio ogni giorno facendomi un regalo: la mia routine quotidiana.

    Tutti i giorni mi faccio un regalo. Tutti i giorni. 

    E come si sta solitamente quando ci facciamo o riceviamo un regalo? 

    Benissimo, anzi, strabene direbbe mia figlia.

    Dei benefici della routine del mattino abbiamo parlato la settimana scorsa in questo articolo che ti invito a leggere, se ancora non lo hai fatto.

    Pronti quindi a passare all’azione del fare consapevole, che ha il “magico” potere di cambiare in meglio la nostra giornata?

    Tu come cominci la tua nuova giornata?

    Eh si, perchè un’altra grande motivazione, che mi spinge ad alzarmi desiderosa di vivere la giornata, è  la consapevolezza che ogni giorno è un nuovo inizio e che anche la routine non è mai la stessa, perchè io non sono mai la stessa. 

    Per esempio ieri mattina avevo un dolore al ginocchio che ha inficiato tutta la mia pratica…oppure qualche giorno fa mi sono alzata più a fatica del giorno prima ecc.

    Una cosa però non cambia mai: il risultato. Anche se prima di iniziare approccio con  differenti stati sia fisici che d’animo, dopo la routine quotidiana, sto sempre meglio, la mia energia è più alta e sono più leggera, gioiosa e …con più energia in circolo.

    La mia Routine Quotidiana è un tempo sacro, sacrum facere!

    Spesso mi viene chiesto quale è la mia pratica mattutina.

    Come già anticipato, ricordo che la routine quotidiana è personale e allineata ad uno stato di benessere che va ricercato e costruito giorno dopo giorno, in assenza di sforzo, ma con determinazione e costanza. Sono ormai più di vent’anni che mi sveglio al mattino con una routine. All’epoca non esistevano libri, non se ne parlava nemmeno, se non in alcuni specifici contesti (ritiri di crescita personale, seminari di yoga ecc.)

    Non esiste la routine giusta e quella sbagliata. Esiste quella giusta per ognuno di noi. Quindi la mia abitudine del mattino vuole solo essere una condivisione e, nel migliore dei casi, un’ispirazione per chi avesse bisogno di uno stimolo per  iniziare.

    Ecco la mia routine quotidiana oggi :

    • Sveglia alle 06:00 (a volte anche 05:45). Ogni giorno tranne la domenica, giorno in cui non utilizzo la sveglia. Svegliarsi a quest’ora mi permette di dedicare 2 ore piene a me stessa.
    • Intento o Sankalpa: resto qualche minuto sotto le coperte e mi focalizzo su una visualizzazione: come voglio essere, come mi voglio sentire durante la mia nuova giornata?  Metto un intento. es. Oggi voglio essere disponibile e attenta. L’intento mi dà la direzione, sposta la mia attenzione su cosa voglio e come voglio essere.
    • Gratitudine: se non ho scritto 3/5 motivi di gratitudine per la giornata trascorsa la sera prima sul quaderno accanto al comodino, ci penso al mattino appena sveglia. Allenarmi alla gratitudine mi ha aiutato a spostare l’asse della mia attenzione dal lamento all’opportunità.
    • Lettura: 15/20 minuti, leggo libri di crescita personale e/o spirituale che mi sostengono e rafforzano il mio intento. Ho appena finito “Le abitudini della felicità”di Brian Colbe e quello precedente è stato “Mente Zen, mente di principiante” di Shunryu Suzuki-roshi. Alcuni recenti studi considerano che puoi leggere circa 29 libri all’anno, leggendo solo 5 pagine al giorno. Solitamente le leggo in bagno, non dico dove.
    • Nettalingua: come ci insegna la medicina ayurvedica, durante la notte il corpo si rigenera e, attraverso il metabolismo notturno, si deposita una patina sulla nostra lingua, frutto di residui del giorno prima. Pulisco la lingua con un nettalingua (puo’ andar bene anche la parte inferiore di un cucchiaino da caffè, o lo spazzolino) faccio 7 movimenti dal fondo della lingua alla punta e 7 risciacqui con l’acqua fresca. In questo modo mi preparo sia fisicamente che energicamente a lasciare completamente andare la giornata precedente, senza portarmi residui e mi apro alla nuova giornata con un senso di maggiore leggerezza e pulizia.
    • Un bel bicchierone di acqua calda:  A volte anche 2 bicchieri e solitamente alterno l’utilizzo di un limone spremuto, in 2 stagioni dell’anno: primavera e autunno. L’acqua al mattino è importante per reidratare il corpo dopo la notte e liberare le tossine dall’intestino.
    • Meditazione: alterno la meditazione ad esercizi di respirazione. In genere almeno 20 minuti. Mi aiuta ad iniziare la giornata con calma, senza fretta e ansia. Resto per un po’ di minuti ancorata al mio respiro, seguendone il sentiero di entrata ed uscita e osservandolo in termini di temperatura, fresco quendo entra più tiepido quando esce.Mi aiuta a “fare spazio” a ”riempirmi di vuoto”. Mi torna molto utile poi anche nei momenti di sovraffollamento mentale.
    • Frase di potere. Leggo o ripeto  le mie affermazioni positive che mi aiutano a ricordare le mie priorità e ad impostare il tono della giornata. Sono frasi di potere che nel corso degli anni ho scritto e fatto mie a seconda dei momenti della vita. Quella di questo momento è: Sono luminosa, in fiducia e leggera.
    • Pratica yoga: in genere un’ora tutte le mattine. Inizio con i 5 riti tibetani, procedo con 21 saluti al sole e poi, a seconda della giornata, aggiungo sempre delle asana diverse su cui voglio concentrarmi e migliorare. E’ incredibile come la costanza nel tempo mi ha dato risultati nel corpo fisico ed energetico che non avevo neanche a 30 anni.
    • Frizioni a secco: un semplice guanto di spugna frizionato senza acqua su tutta la pelle del corpo aiuta ad eliminare le tossicità accumulate sulla pelle e ad energizzare il corpo, rendendo la pelle morbida.
    • Doccia energetica: gli ultimi 3 minuti, passarli sotto l’acqua fredda. Vi ricordo che è bene fare la doccia ( rapida per non consumare troppa acqua) 2 volte al giorno: la sera calda per lasciare andare tensioni e tutto il peso della giornata, la mattina fredda ed energizzante per cominciare con un buon livello di energia. Se posso al mattino faccio la doccia ascoltando musica.
    • Colazione da Re: colazione da re, pranzo da principe, cena da povero…questo è il mio mantra da oltre 20 anni. Se qualcuno fosse interessato, lascio qui la ricetta della mia colazione del mattino, che seguo dal  luglio 2019. Ottima, per quanto mi riguarda, perché nutre senza farmi sentire appesantita, mi da molta energia per la giornata e non ho mai buchi allo stomaco per la fame, posso tirare tranquillamente anche le 14:00 senza accorgermi. Insomma, una bomba!

    E’ una proposta di una nutrizionista che si chiama Miam O Fruit di  France Guillarme.    

    Ingredienti :

    • 3 mezzi frutti di stagione, di cui uno però deve sempre essere mezza mela
    • mezza banana;
    • 3 cucchiai  di semi oleaginosi misti ( girasole, zucca, papavero,  chia, ecc.);
    • un cucchiaio di olio di lino e un cucchiaio di olio di sesamo;
    • il succo di 1 limone;
    • 3 cucchiai misti di frutta secca ( preferibilmente noci e mandorle );

    Preparazione:

    Prima di tutto schiacciate mezza banana almeno mezz’ora prima di mangiare … e lasciatela ossidare all’aria. Dopo almeno mezz’ora aggiungere 2 cucchiai di olio e mescolate bene in modo che la banana assorba bene tutto l’olio … non lo sentirete neanche e in questo modo verrà trasportato velocemente a tutto il sistema epiteliale. Aggiungete poi il succo di limone spremuto e continuate a mescolare.

    A parte preparate: la frutta di stagione lavata e tagliata a pezzetti per poi metterla in un recipiente + semi ( almeno 2 cucchiai di semi misti) + frutta secca ( almeno 2 cucchiai tra noci e mandorle ). Unire tutto il composto alla banana schiacciata e mescolare.

    Ecco pronta la vostra colazione a chiusura della routine quotidiana!

    Benefici di questa colazione:

    E’ un tesoro di nutrienti e vede al primo posto una riserva di sali minerali eccellente soprattutto nella quantità di potassio, calcio, ferro, magnesio, zinco e fosforo. Inoltre è ricchissima in acidi grassi essenziali come omega 3 e omega 6 oltre che di antiossidanti polifenolici e vitamine sia idro che liposolubili. 

    Tra le vitamine troviamo in particolare la vitamina A, la E, la F e nello specifico il succo di limone è un ricco di vitamina C che è utile per sostenere il sistema immunitario e ha altre numerose attività benefiche per il nostro organismo.

    Ancora la presenza di frutta di stagione e semi porta una carica di zuccheri lenti  a indice glicemico medio basso. 

    La presenza di fibre è ottima e in particolare sono comprese anche le fibre non solubili. Infine anche la porzione di proteine è molto cospicua ed è tutta di origine vegetale.

    Ti  invito a provarla e farmi sapere se anche a te apporta benefici di energia personale e concentrazione.

    Così davvero tutte le mattine? Siiii… così tutte le mattine. Fantastico.

    Non mi pesa per nulla, anzi, mi sveglio proprio presto perchè per me è un godimento! ho voglia di alzarmi e praticare!

    Mi piace vivere la gioia del mattino, di silenziosi pensieri e di emozioni espanse, che mi aiutano e mi sostengono anche quando il momento non è dei migliori.

    Durante il giorno poi è sempre tutto più concentrato e “ristretto”.

    La gratitudine del mattino, per esempio, sposta subito la mia energia su pensieri di prosperità che mi accompagnano anche durante il giorno e mi sono particolarmente di aiuto quando mi trovo in situazioni dove, in apparenza, è difficile cogliere spunti di gratitudine.

    Ma la gratitudine va allenata, esattamente come un muscolo!

    Non potrei più fare a meno di questo momento prezioso del mattino. Le poche volte che mi succede di saltarla, immediatamente sento la difficoltà di mantenere vigile la presenza, il contatto con la voce del mio sentire e di ritrovarmi immediatamente assorbita da FARE.

    E’ un FARE però che mi allontana da me, è un FARE che si traduce nell’azione esterna e, quando succede, mi sembra di aver vissuto la giornata di altri, ma non la mia!

    Mi ha sempre sostenuto un pensiero che 20 anni fa imparai da una mia coach: 

    Quando in certe mattine fredde e piovose, mi manca la motivazione, mi appello alla disciplina. Certo, quando ci sono entrambe, ho fatto bingo! 

    Con la mia routine quotidiana il tempo si espande. 

    Aggiungo tempo al tempo e sto bene. 

    Si innalza il livello della mia energia, il mio buon umore e la chiarezza mentale.

    Il mio corpo “ risponde” e partecipa alla vita.

    Intense ed ispirazionali le parole di Daniel Goleman

    “L’unico tratto che accomuna davvero tutti i leader efficaci, se mai ne esiste uno, è la motivazione, una forma di gestione del sé che ci consente di mobilitare le nostre emozioni positive per proiettarci verso un obiettivo.”

    Cosa ti impedisce ancora di creare la tua nuova sana routine del mattino?

    Nel prossimo appuntamento di questo percorso di allenamento al benessere, concreto, facile e di sicuro successo parleremo di nutrimento e cibo.

    Se ti sei perso i precedenti articoli ecco i link:

    . IL DIRE E LA COMUNICAZIONE EMPATICA E POTENZIANTE

    . IL DIRE E L’AVERE SUCCESSO IN AZIENDA E NELLA VITA

    . IL DIRE E IL RISPETTARE LE REGOLE IN AZIENDA E NELLA VITA

    . IL DIRE IMPLICA IL VERBO SBAGLIARE

    . IL FARE E LA ROUTINE DEL MATTINO

    Se invece sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in  azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • Il metodo

    Migliorare la performance aziendale con la disintossicazione digitale

    Nell’articolo della settimana scorsa abbiamo parlato di  J.O.M.O. (Joy of missing out) che è la gioia di perdersi qualcosa ed accettare la realtà. 

    La scelta di chi pratica J.O.M.O è la gioia di perdersi con quello che è, lasciando andare la paura di non essere abbastanza (F.O.M.O.)

    Per migliorare le performance aziendale bisogna scegliere.

    Scegliere di allenarsi a stare nel flow e allentare lo stato di tensione continua, che si manifesta con la sensazione di non essere mai abbastanza, di dover dimostrare, di essere in balia del giudizio altrui.

    Stare nel flow ai giorni nostri, implica una digital detox, implica vivere, come lo definisce Mihaly Csikszentmihalyi  “un’esperienza di gioia vivissima, un sentimento di estasi apparentemente senza motivo, dove la concentrazione è così intensa che non rimane più attenzione da dedicare ad altro.”

    Durante lo stato di flusso, le persone in genere sperimentano un profondo godimento, creatività e un totale coinvolgimento con la vita, ed entrano direttamente in contatto con il proprio Sé e con il senso di pienezza.

    Tutto ciò ha a che fare con 2 elementi fondamentali: l’attenzione e lo stato di pienezza.

    Lo stato di flow sta all’attenzione, come l’attenzione sta alla digital detox.  

    L’attenzione migliora la performance aziendale attenuando l’ansia

    L’attenzione e’ localizzata nella neo corteccia pre-frontale.

    Quando la nostra attenzione si focalizza su un determinato oggetto, interno od esterno, c’è un addensamento di neuroni (aumenta lo spessore).

    Grazie alla neuroplasticità cerebrale, più attenzione portiamo, più il nostro cervello diventa capace di attenzione stabile. 

    In questo modo aumentano i neuroni che si traducono in brain wellness.

    L’attenzione può essere diretta in modo volontario oppure in modo automatico.

    Nella nostra quotidianità accade spesso che le componenti di orientamento volontario e quelle di orientamento automatico dell’attenzione siano compresenti. 

    Ad esempio, se il nostro obiettivo è cercare qualcosa, soprattutto nel mondo web, capita spesso che la nostra attenzione venga distratta dalla presenza di un altro oggetto. 

    In generale, si ritiene che l’attenzione possa essere catturata automaticamente da eventi, stimoli e informazioni irrilevanti, rispetto allo scopo e al compito del soggetto.

    Per attenzione stabile si intende la capacità di concentrarsi sull’oggetto di interesse, e di elaborare in modo privilegiato le informazioni rilevanti, per il raggiungimento di uno specifico scopo. 

    L’informazione a cui si presta attenzione viene selezionata ed elaborata in maniera più efficiente, ha accesso alla coscienza e guida la risposta.

    L’attenzione stabile entra in gioco solo quando bisogna selezionare una risposta da emettere. 

    In tal senso, l’attenzione stabile consente di controllare l’accesso dell’informazione alla coscienza, ci porta all’interno di noi, ci fa stare nella presenza e genera benessere.

    I vantaggi dell’attenzione stabile sono :

    • Efficienza ed efficacia operativa: dedicati al 100% all’attività specifica entrando in stato di flow
    • Miglioramento della qualità delle relazioni umane: quando siamo più attenti, siamo presenti
    • Attivazione della contemplazione: meraviglia, ampliamento della percezione, senso di appartenenza e benessere 
    • Osservazione di Sé: migliora la consapevolezza perchè impariamo a notare le nostre esperienze mentali, fisiche ed emotive

    Quindi :

    +contenuti mentalI-attenzione = stress.

    -contenuti mentali (o meglio contenuti mentali scelti ), +attenzione= migliori performance aziendali.

    Lo stato di pienezza migliora la performance aziendale, non c’è dubbio

    Che differenza c’è tra pensare ed agire da uno stato di pienezza o da uno stato di bisogno?

    Il 20 aprile del 1986 nella partita tra Boston Celtics e Chicago Bulls  il giovane 23enne Michael Jordan segnò 63 punti, attuale record dei playoff.

    Quel giorno Jordan era in chiaro stato di flow, qualsiasi tiro gli entrava, schiacciava in testa a tutti e non sbagliava mai, sembrava un adulto che giocava con dei bambini e questi erano i grandissimi Boston Celtics (che poi vinsero il titolo NBA dell’86).

    Il grande Larry Bird dopo quella partita disse: “Ho visto Dio travestito da Michael Jordan”.

    Questa performance lasciò un segno e la ricordiamo raccontata nella famosa serie di Netflix “The Last Dance”.

    Quando sei nel flow si nota! 

    Perchè le tue prestazioni migliorano notevolmente.

    Csikszentmihalyi spiega come il forte focus mentale porta a un senso di estasi, un senso di chiarezza, hai il pieno controllo della situazione, ti dimentichi di te stesso. Ti senti parte di qualcosa di più grande. In questo spazio anche la percezione del tempo si trasforma.

    Ti è mai capitato di lavorare, studiare o giocare così intensamente da perdere la cognizione del tempo? 

    Ovviamente non dobbiamo essere tutti Michael Jordan e neanche grandi scienziati.

    Se le nostre abilità non sono all’altezza della sfida avremo uno stato di ansia e stress e al contrario saremo troppo rilassati.

    Quando abbiamo un livello medio di conoscenza, ma poche sfide, entra in gioco la noia.

    In qualsiasi campo siamo occorrono anni per raggiungere il giusto livello di esperienza/conoscenza: esso è la base per attivare lo stato di flusso.

    “Mi ci sono voluti quattro anni per dipingere come Raffaello, ma una vita per dipingere come un bambino”. Pablo Picasso

    Lo stato di pienezza ha a che fare con la passione e il senso

    Sono pieno e pago di me. 

    Non significa che sono arrogantemente nella presunzione di non aver più nulla da imparare. 

    Tutt’altro, significa che sono in un flusso tra il mio amore per ciò che sono e la mia voglia di scambiare, tra la mia passione che mi spinge a migliorarmi sempre più e il desiderio di rendere utile agli altri, di fare sharing.

    Quando lo scambio avviene da uno stato di pienezza ad un altro stato di pienezza, il risultato è arricchente per entrambe le parti.

    Avviene sia nelle relazioni affettive, che nelle relazioni lavorative.

    Quando l’ansia da prestazione, la paura di non essere all’altezza, sottende il mio agire, lo scambio parte sempre da una vibrazione di scarsità o di bisogno e si mantiene ad una frequenza bassa, o addirittura prosciuga energia da una o da entrambe le parti.

    A quel punto scatta la fear of missimg out (FOMO) che spesso riguarda più la nostra parte egoica.

    Voler generare, è diverso da dover generare

    Volere è potere, ma dovere non è volere.

    Il volere avvicina al senso. Il dovere allontana dal Sé.

    Ognuno di noi può percepire la propria giornata come una serie di attività che deve svolgere, o che vuole svolgere, anche quando ha la sensazione che tutto sia un to do list.

    Cosa succede se alla parola “devo” sostituisco la parola “ voglio”? 

    Che emozione si muove dentro di me, quando inizio osservando la sensazione?

    Questo non significa che tutte le nostre prestazioni lavorative debbano essere tese a migliorare la performance ma che l’intento, la volontà e la disciplina con la quale svolgiamo i nostri compiti, siano allineati al nostro sentire e alla nostra unicità.  Anche nel limite e nell’errore che, vale la pena ricordarlo, sono parte fondamentale di ogni processo migliorativo.

    Quando a scuola ci fecero leggere questa poesia di Douglas Malloch, l’insegnamento trasmesso fu quello di risplendere della propria migliore luce per il proprio benessere, e quello di chi con noi si relaziona.

    Se non puoi essere un pino in cima alla collina, sii una macchia nella valle,

     ma sii la migliore, piccola macchia accanto al ruscello; 

    sii un cespuglio, se non puoi essere un albero.

    Se non puoi essere un cespuglio, sii un filo d’erba,e rendi più lieta la strada;

    se non puoi essere un luccio, allora sii solo un pesce persico, ma il persico più vivace del lago!

    Non possiamo essere tutti capitani, dobbiamo essere anche un equipaggio,

    C’è qualcosa per tutti noi qui, ci sono grandi compiti da svolgere e ce ne sono anche di più piccoli,

    e quello che devi svolgere tu è li, vicino a te.

    Se non puoi essere un’autostrada, sii solo un sentiero, se non puoi essere il sole, sii una stella;

    Non è grazie alle dimensioni che vincerai o perderai: sii il meglio di qualunque cosa tu possa essere.

    Oggi spesso sostituiamo al nostro Sé, la sua imitazione: ci esibiamo e ci mostriamo attraverso una narrazione di superficie, uno storytelling che sia accettabile dagli altri, che comunichi il nostro senso (accettabile) di benessere e che ci dia visibilità.

    L’esistenza oggi significa presenza, ma non a se stessi: soprattutto agli altri.

    A volte succede perchè molti di noi faticano a ad avere chiarezza su chi sono e cosa vogliono.

    Nella vita, come sul lavoro.

    Il significato etimologico di performance ‹pëfòomëns› s. ingl. [der. di (to) perform «compiere, eseguire», dal fr. ant. performer «compiere», che è dal lat. tardo performare «dare forma», ci riporta quindi al senso non solo di compiere, ma generare, dare forma, che è ancora prima della creatività.

    Cosa attiva la paura di performare in azienda?

    Lasciare andare una dimensione che non ci appaga e non ci soddisfa, ma della quale conosciamo limiti e vantaggi, è più facile che mettere in atto un cambiamento: decidere di “metterci sempre la faccia” e portare al mondo il nostro valore, condividerlo per migliorare se stessi richiede coraggio!

    Coraggio nel dimensionare le nostre aspettative su noi stessi, nel confrontarsi realmente con gli altri ed essere predisposti ad accogliere critiche e commenti.

    Oggi, nel grande cambiamento, abbiamo un’occasione unica: possiamo attingere da tecniche di consapevolezza, centrarci e immetterci nel flusso che si muove verso una nuovo setting del mondo del lavoro e della vita.

    Senza dimenticare che non siamo soli.

    Questo ci dovrebbe ricordare che, in una visione cosciente e solida del Sé, l’altro ci completa sempre, non ci mina ne ci boicotta. L’altro è sempre messaggero di opportunità di miglioramento.

    L’essere connessi, se prodotto di una scelta consapevole, ci sostiene nel migliorare la performance della nostra vita. 

    Inclusione, relazione, condivisione, crescita collettiva sono gli obiettivi oggi realmente conseguibili.

    E’ tempo dunque di lasciare andare ciò che ci siamo imposti di essere o che gli altri hanno scelto per noi, e stare.

    E’ tempo di valorizzare il diamante grezzo che si cela dentro di noi: stare in silenzio ad ascoltare, stare in ascolto del Sé, stare in pacifica attesa affinché il valore, i talenti, possano trovare lo spazio necessario per manifestarsi.

    E poi agire.

    Dalla disintossicazione digitale al benessere digitale per migliorare la performance aziendale

    E’ quindi necessario, alla luce di quanto sin qui detto, prendersi una pausa. 

     «Prima di pensare a cambiare il mondo, fare le rivoluzioni, meditare nuove costituzioni, stabilire un nuovo ordine, scendete prima di tutto nel vostro cuore, fatevi regnare l’ordine, l’armonia e la pace. Soltanto dopo, cercate delle anime che vi assomigliano e passate all’azione» così scriveva Platone (più o meno 2400 anni fa).

    Chiunque intenda intraprendere una disintossicazione digitale dovrebbe:

    • avere una motivazione: non importa che sia riprendere finalmente contatto con la natura, avere un po’ più di tempo per sé o per la famiglia e gli amici ecc.
    • accettare un limite di tempo per il proprio rehab: perché sia di qualche utilità, si dovrebbe stare lontani dai social non meno di ventiquattro ore. 

    Una bella sfida potrebbe essere farlo per una settimana. In questo caso potrebbe essere necessario avvertire in anticipo i propri contatti e reinventarsi modi un po’ “vintage” per non restare isolati e far sì che la propria sfera affettivo-relazionale non ne risulti danneggiata.

    • Programmare le proprie giornate analogiche e riempire il tempo normalmente dedicato ai social: si potrebbe fare una lunga passeggiata, approfittarne per visitare quel museo in cui non si è mai stati, per rivedere amici di vecchia data, finire i libri dimenticati sul comodino, scrivere una lettera a qualcuno, ecc. 

    Gli step visti fin qua dovrebbero aiutare a godersi davvero la propria pausa dagli ambienti digitali: all’inizio è normale provare un senso di smarrimento e la voglia di tornare immediatamente al mondo e alle proprie abitudini digitali; bisogna pazientare però perché, passato lo sconvolgimento iniziale, si comincerà a godere della sensazione di essere finalmente disconnessi e di riprendersi il proprio potere, il potere del Sé.

    Anche il ritorno al mondo digitale potrebbe essere straniante, non fosse altro che per le numerose notifiche accumulate, le email arretrate a cui rispondere, le informazioni e le news da recuperare. 

    Fare selezione è altrettanto importante in questa fase e il proprio rehab dovrebbe aver insegnato, del resto, a sentirsi più centrati, nella propria forza, ad aver recuperato consapevolezza rispetto al digitale come strumento e non come fine.

    Riprendersi il proprio potere significa tornare in azienda con quello stato di flow e di pienezza che caratterizza il migliorare le performance e renderle la conseguenza dell’ essere vicini alla nostra unicità, con passione  e vitalità in tutti gli aspetti della nostra vita.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.