Nell’era dell’agile, della flessibilità, della cura e dell’ascolto, della leadership non più top-down, essere leader senza autorità è un privilegio.
Chi meglio dei manager delle risorse umane, grazie e/o a causa della pandemia e di tutto il pre e il post, sono stati capaci di agire concretamente la trasform-azione (cambiamento di forma)? Proprio tutti? Sicuramente no.
Quali caratteristiche aiutano chi si occupa di risorse umane ad essere un leader di successo senza autorità?
Ovviamente, lungi da me l’idea di avere la formula o i 4 ingredienti magici per essere un leader di successo senza autorità. Soprattutto perché mi sto rivolgendo a persone che investono la loro giornata lavorativa su questi temi.
Ma, forse, proprio perché mi trovo, “fuori dai giochi”, ma tutto sommato “anche dentro”, riflettere insieme può offrirci uno spunto di maggiore chiarezza.
Mi è piaciuto moltissimo Il libro di Joseph M. Marshall III dal titolo Il potere del quattro. Qui la risposta ci arriva da un modello, la società lakota, che aveva un concetto di leadership molto interessante e, a mio parere, archetipico del genere umano. Sicuramente un modello ben diverso dal nostro europeo ma, proprio perché il nostro cervello limbico e creativo ha bisogno di divergere per poi convergere, proviamo ad andare un po’ “lontano”. La società lakota produsse alcuni dei capi più noti e ammirati della storia, come Cavallo Pazzo, Toro Seduto o Nuvola Rossa.
Partendo dal significato etimologico di leadership, voce inglese, dal verbo to lead, ‘guidare’, ‘condurre’, di fatto, nella società lakota non si accenna all’autorità, ma a caratteristiche diverse.
D’altro canto, da noi, un capo, un politico, un manager, un sindaco sono automaticamente leader?
Nel libro di Marshall si evince che è il carattere, e non la posizione occupata, che può trasformare in leader. Addirittura, nella loro società, non esisteva né il concetto, né la “parola” autorità. Un capo lakota non poteva costringere nessuno a seguirlo.
Non aveva neppure i social, poverino!
Tutto si basava sul carattere e l’esperienza. E la storia ci conferma che i lakota non mancavano di capi.
Essere leader delle risorse umane come un lakota, senza autorità
Nel “potere dei quattro” si menzionano quattro filosofie, così le definisce, che i lakota applicavano per essere capi capaci:
1) Conosci te stesso
Mi piace molto condividere la nostra consapevolezza di cosa significhi essere leader senza autorità, ritrovando le fonti nella storia e nelle discipline orientali. Come ritroviamo sul frontone del tempio di Apollo a Delfi l’oracolo – con l’efficacia mediatica che avevano a quel tempo i santuari – che rivolgeva all’uomo di allora l’invito a indagare dentro di sé, per scoprire che l’essenza della nostra vita è dentro, non al di fuori di noi. Così successivamente la valorizzazione dell’interiorità offrirà motivi di riflessione a Socrate, che sulla conoscenza di se stesso costruirà uno dei cardini del suo pensiero. Ma non solo, lo stesso Sun Tzu ne L’arte della guerra “Se non conosci né il nemico, né te stesso, ogni battaglia significherà per te sconfitta certa. Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari a quelle di sconfitta. Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo.” Il meglio che ciascuno di noi può fare è affrontare la vita con tutte le sue forze e le sue debolezze, ma per farlo dobbiamo essere assolutamente sinceri con noi stessi riguardo a entrambe.
Ogni azione dissipa energia, ogni pensiero costa fatica, così che è necessario cercare un’armonia tra lo sforzo e l’obiettivo, in modo da ordinare i mezzi nel modo migliore. Per fare questo, occorre conoscere bene se stessi e il nemico, perché solo a queste condizioni potremo operare nell’ottica di capitalizzare ogni nostro vantaggio. Realismo costruttivo, questa è l’ottica, l’unica verso la quale la nostra mente deve tendere per giungere al massimo vantaggio, il solo scopo per cui valga la pena imbarcarsi in uno scontro, quale che sia.
Con il passare del tempo dovremmo diventare sempre più capaci di affrontare le sfide della vita, la consapevolezza di sé, quindi, dovrebbe essere una continua disciplina. Mai, nella nostra vita personale o professionale, arriveremo al punto di avere imparato tutto. Questo è sintetizzato dal pensiero lakota che un uomo smetteva di migliorare la sua esperienza con l’arco solo il giorno in cui moriva. Lo stesso Omraam Mikhaël Aïvanhov in “Conosci te stesso” racchiude in questa frase tutta la scienza e tutta la saggezza: conoscersi, ritrovarsi, realizzare la fusione tra il Sé superiore e il Sé inferiore. Conoscersi equivale a possedere la scienza dei diversi corpi di cui si compone l’uomo (il corpo fisico, eterico, astrale, mentale, causale, spirituale, coscienziale) e delle condizioni indispensabili al loro sviluppo”.
E’ un viaggio per scoprire quello che siamo e le mille sfaccettature che nascondiamo dentro noi stessi, per vivere con consapevolezza le nostre emozioni e il nostro “io” pulsante. Un percorso per scavare dentro di noi, giocare con i nostri pregi e difetti, diventando coscienti che fanno parte del nostro essere, più forti e consapevoli. Camminare mano nella mano con le nostre paure e i nostri pensieri imparando ad osservarli e a non giudicarli. Quando siamo consapevoli di quello che realmente siamo potremo affacciarci al mondo e agli altri e scoprire quanto la realtà intorno a noi è uno specchio delle nostre volontà, paure ecc.
La mente conscia, a cui noi appelliamo grandissimo potere nella nostra vita professionale agisce solo per il 7% delle nostre potenzialità?
Come possiamo iniziare a conoscere meglio noi stessi?
Quali sono le cose che sai fare bene senza averle imparate?
2) Conosci i tuoi amici
I leader non possono fare niente da soli. Compito del leader è identificare le persone dedite a uno scopo e in possesso degli strumenti e delle capacità per raggiungerlo e motivarle a realizzarlo. Alleanze e amicizie non sono fatte per i momenti belli. Le creiamo per aiutarci a vicenda nei momenti difficili e nelle situazioni più irte di ostacoli. Stando vicino agli amici nei momenti difficili, dimostriamo loro che possono fidarsi di noi, e ciò ci garantisce che saranno al nostro fianco quando saremo noi ad avere bisogno di loro. Lo scrittore Robert Greenleaf già nel 1970 coniò il termine “servant leader”
In genere, nel business, i leader seguono gli interessi degli azionisti (Shareholder), mentre un servant leader si concentra sulle persone.
Le relazioni sono l’ingrediente fondamentale, la scuola dell’obbligo della nostra crescita: possiamo non essere interessati ad un percorso di crescita personale, ma le relazioni coinvolgono tutti, nessuno escluso.
Mettersi a servizio della relazione, significa sviluppare strategia, visione e trasformazione, ma significa anche entrare nella relazione come espansione e nutrimento di Sé, osservare gli altri come opportunità. Essere leader significa migliorare la chiarezza di obiettivi, ispirare e comunicare la vision e la mission aziendali, ma osservare gli altri e le relazioni come opportunità di incontrare parti di Sé.
Questo viene molto facile quando le relazioni funzionano ed, in tal caso, l’invito è di amplificare questo aspetto, ma ci risulta più complesso quando ci sono delle criticità.
L’altro è sempre un potenziale interiore che io non ho ancora attivato.
Ci vuole sicuramente un forte spirito di osservazione per affermare che l’altro è uno specchio di me. Un conto dirlo a parole e un conto è incarnare questo aspetto tutti i giorni. Ma l’osservazione non basta, ci vogliono anche strumenti di trasformazione. Perché dire che l’altro è uno specchio di me, significa essere responsabile di tutto ciò che avviene “là fuori”.
Se andiamo oltre la separazione, con cui siamo stati per lo più educati (bene e male, io e gli altri,ecc ), e andiamo oltre le nostre credenze subconsce che hanno creato l’altro, perché come dice Gandhi le nostre credenze creano il nostro destino e allora io non ho creato l’altro, ma ho creato il fatto che l’altro con me si esprime in quel modo, che io gli attivi quel comportamento e che lui attivi in me quell’archetipo, perché noi raramente vediamo le persone per come sono, vediamo l’archetipo che ci attivano. Esempio molto semplice: il maschio e la femmina. Ci sono persone che hanno difficoltà a relazionarsi con il maschile o viceversa perche’ attivano l’archetipo mamma o papà, l’archetipo autorità, o maestro di scuole ecc.
L’altro ci attiva sempre qualcosa che nel nostro subconscio c’è già e grazie a questa attivazione ce lo rivela. A volte ci lamentiamo perché il collaboratore non ci rispetta, ma tu ti dai rispetto? ti rispetti? rispetti i tuoi bisogni?
Hai mai sentito parlare della legge dello specchio? Irene Menis, laureata in fisica, ha lavorato per oltre 12 anni nell’esplorazione spaziale, oggi International Certified PSYCH-K® and PER-K® Instructor, di cui anch’io sono certificata facilitatrice definisce 3 tipi di specchio:
– La persona mi mette in difficoltà perché fa, si comporta, dice, pensa o si permette qualcosa che mi è stato impedito di fare da piccolo. Esempio da adulto mi danno fastidio le persone che parlano a voce alta, perche’ i miei genitori mi rimproveravano sempre se alzavo il tono di voce.
– Un secondo specchio sono le cose che mi impedisco di fare da grande. Vorrei prendermi una settimana di vacanza e andarmene via da solo, ma non ho il coraggio di farlo per vari motivi, ognuno ha i suoi, e, quelli che lo fanno, creano in me un sentimento di sottile invidia, mi stanno poco simpatici. La relazione ci rivela quella parte di noi potenziale che noi da adulti non ci diamo il permesso di vivere. E’ un’area fuori dalla nostra zona di comfort dove vorremmo andare ma non ci riusciamo. A meno che siamo davvero in pace con questa parte di noi.
– Mi da fastidio delle altre persone quello che faccio anch’io, ma non me ne accorgo. Questo è lo specchio più difficile da riconoscere. Esempio mi danno fastidio le persona ritardatarie e anch’io sono ritardataria, ma non vorrei esserlo, non ci riesco e mi danno fastidio le persone ritardatarie. Sono le cose non così ovvie, perché hanno a che fare con il subconscio, sono al di sotto della consapevolezza conscia. La mente conscia a volte non se ne accorge, fino a quando la sfida, il disagio della relazione diventa non tollerabile.
Ecco allora che conoscere i tuoi amici ed essere leader senza autorità ci dà il più grande potere autentico e cioè quello che ci riporta, ancora una volta, a noi stessi e ad uno spazio di libertà interiore da cui agire.
3) Conosci i tuoi nemici
Viviamo in un mondo in cui dobbiamo affrontare continue minacce, a livello individuale e collettivo. Anche il folklore dei Lakota è pieno di storie di battaglie. L’odio e l’etnocentrismo erano spesso altissimi, ma i Lakota avevano anche rispetto per i loro nemici, un rispetto che derivava da una profonda conoscenza: benché fossero separate da grandi distanze e da lingue diverse, le tribù conoscevano i reciproci valori culturali, le forze e le debolezze militari. La conoscenza del nemico era parte integrante della difesa. Ciò forniva utili informazioni: le armi di cui disponeva, le passate vittorie o sconfitte, le abilità e le abitudini tattiche, il valore nel combattimento e così via. Conoscere il nemico aumentava sensibilmente le probabilità di vittoria. Ogni relazione può essere sana, o ancora meglio io posso essere sana o sano in ogni relazione, anche in quella dove magari il collaboratore se ne va o il mio capo mi fa vedere potenziali miei inespressi che mi creano disagio. Io non vedo l’altro per come è, ma io vedo l’altro per come io lo percepisco dal mio sistema di credenze. Di questo non dobbiamo mai avere dubbi. Provare a cambiare i nostri sistemi percettivi, le nostre credenze, i nostri paradigmi in modo da stare bene noi. L’altro, il nemico, si comporta così non per farmi dispetto, ma perché lui agisce dal suo sistema di credenze. Quindi agisce perché è veramente il massimo che è capace, che riesce a fare. Nel suo sistema di credenze non è capace di fare il meglio e quello è davvero il massimo, oppure peggio ha paura di quella situazione e quindi va in protezione.
Quando andiamo in protezione, trattiamo male gli altri perché sono un pericolo.
Quindi prendersi la responsabilità della relazione con il “nemico” significa che lui può fare solo così e io posso rispondere in modo consapevole a quel tipo di comportamento e ciò significa cambiare la nostra vita. Attenzione all’accezione che sto utilizzando con il termine “cambiare”: significa modificare il nostro paradigma e cioè, non cambiamo perché non andiamo bene o perché dobbiamo farci andar bene il nostro capo, ma cambiamo perché andiamo già benissimo così e possiamo ancora migliorare. Ecco perché le relazioni sono una grande opportunità. E così noi mettiamo in pratica la quarta filosofia, essere d’esempio.
4) Dai l’esempio
Se accettiamo la definizione di essere leader come una persona che influenza le azioni e gli atteggiamenti degli altri, la logica domanda è: come diventiamo leader se non con l’esempio? Quando l’altro vede che siamo disponibili a cambiare, per la legge dello specchio che abbiamo appena visto, anche lui sarà più disponibile a cambiare. In una relazione in cui entrambi si è disponibili a cambiare rispettando la propria natura, c’è crescita. Noi possiamo solo trasformare le credenze subconscie che ci impediscono di essere la migliore espressione di noi stessi. Non possiamo trasformare le nostre credenze, al fine di diventare adeguati alle aspettative di un altro. Possiamo solo diventare sempre più noi stessi. Ed è un posto comodissimo dove stare. Altrimenti se non sei te stesso spendi il 50% del tuo tempo ad essere come qualcuno ti vuole e l’altro 50% a cercare di essere come gli altri non ti vogliono. E quindi quando hai il tempo di vivere la tua vita?
Personalmente trovo gli strumenti di PSICH-K efficaci e veloci per dialogare con il nostro subconscio. Il subconscio è velocissimo, 40 milioni di volte più veloce della mente conscia. Se noi siamo in grado di delegare l’elaborazione di qualcosa alla mente subconscia è fantastico perchè ci permette di fare cambiamenti velocemente ed efficacemente. PSICH-K è molto rispettoso perché chiede il permesso alla nostra mente conscia, al nostro potere automatico (subconscio) e alla nostra mente spirituale (superconscia) e il risultato è sempre molto potente.
I Lakota davano il loro esempio con un approccio molto semplice e elegante:
“Per ‘portare la giubba’ dovete essere al di sopra degli altri. Dovete aiutare gli altri prima di pensare a voi stessi. Aiutare le vedove e le persone che hanno scarsità di cibo e di vestiti, e che non hanno nessuno che parli per loro. Non guardate dall’alto in basso gli altri e non prestate attenzione a chi guarda dall’alto in basso voi, e non lasciate che la rabbia guidi la vostra mente o il vostro cuore. Siate generosi, siate saggi e dimostrate fermezza, affinché la gente segua quello che fate e quello che dite. Soprattutto, abbiate coraggio e siate i primi a caricare il nemico, perché è meglio giacere come un guerriero nudo nella morte che essere riccamente vestiti ma con dentro un cuore d’acqua”.
Se sei interessato a queste tematiche, seguici nelle prossime settimane per scoprire le prossime novità.
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