L’economia della connessione è alla base dei rapporti umani in azienda.
I rapporti umani sono il fondamento di qualsiasi lavoro e, da sempre, con l’evoluzione degli scenari lavorativi, hanno subito trasformazioni.
Negli ultimi decenni le possibilità di contatto si sono moltiplicate, le “reti” sempre più intersecate e la velocità di scambio accelerata.
Anche gli spazi hanno subito una rivoluzione: l’accelerazione tecnologica, le evoluzioni progettuali, hanno immaginato e creato nuove possibilità.
Parlare di rapporti umani infatti, in ambito lavorativo, oggi ha a che fare con la complessità: dalla condivisione personale, alla connessione virtuale attraverso gli spazi, nei quali queste vengono agite.
Ma cosa significa essere connessi oggi, e come l’accelerazione nella possibilità di contatto influisce nei rapporti umani in azienda, e nella loro gestione da parte dei responsabili delle risorse umane?
Sei connesso? Di quale connessione stiamo parlando?
Il termine connessione è associato principalmente alla generazione Y, quella nata tra il 1980 e il 2000.
In un articolo di Stefano Daelli si vedono riassunte le 4 caratteristiche della generazione connessa.
- Here, there and everywhere – la connessione è caratteristica intrinseca della persona che attraverso strumenti come gli smartphone e tablet comunica da qualunque punto con qualunque altra parte del mondo. La dimensione spaziale è annullata.
- Real time – dalla comunicazione al reperimento di informazioni, agli acquisti online, tutto deve essere istantaneo. Anche la dimensione temporale è annullata.
- Always on – Essere connessi è tratto genetico come l’esser castani, avere gli occhi verdi. Sei sveglio? Sì. Allora sei connesso.
- A double life – sono persone nate già con una doppia identità, una reale e una connessa, in grado di distinguere al primo sguardo cosa appartiene ad uno o cosa all’altro.
A seguito dei cambiamenti dell’ultimo anno, tutti siamo entrati a far parte, di diritto, della generazione Y e i rapporti umani, in ambito lavorativo, si sono allineati a queste caratteristiche:
Tutto è raggiungibile: Here, there and everywhere
Sia in espansione verticale che orizzontale. Qualsiasi persona, che sia disposta a connettersi con noi, è potenzialmente contattabile, per via diretta in ogni momento. Che si tratti di un compagno delle medie, un collega, il capo, il ceo, non solo della nostra azienda ma di qualsiasi azienda al mondo.
La teoria dei 6 gradi di separazione, l’ipotesi secondo la quale ogni persona può essere collegata a qualunque altra persona o cosa, attraverso una catena di conoscenze e relazioni con non più di 5 intermediari, è stata spazzata via da un click.
Tutto è raggiungibile, subito. Real time
In ambito lavorativo le conoscenze oggettive in merito ad un argomento si sono affievolite. Ognuno può, dedicando tempo alla ricerca in rete, diventare competente non solo di un argomento, ma anche di parti specifiche e specializzate dell’argomento stesso o, quanto meno, millantare la padronanza in superficie.
Tutto è raggiungibile, subito e sempre: Always on
I confini di connessione non esistono. Ma sono richiesti e necessari, data la mancanza di strumenti autonomi che consentono alle persone di adattarsi alla eccessiva comunicanza della sfera lavorativa e personale.
Il diritto alla disconnessione è per altro un diritto fondamentale per il lavoratore in smart working: questo è quanto stabilito dalla Risoluzione UE approvata dal Parlamento Europeo il 21 gennaio 2021, specialmente per tutelarne la salute mentale e fisica.
L’identità si sdoppia e gli spazi si adeguano: A double life
Abbiamo necessariamente dovuto riformulare la nostra identità lavorativa adattandola ai nuovi mezzi di comunicazione, pc, tablet, smartphone e riallineare la nostra identità personale agli spazi domestici che, se prima ci percepivano come passeggeri occasionali, ci hanno dovuto accogliere e, con noi, in contemporanea le “doppie” identità di tutti coloro che convivono con noi.
Qui, però a differenza dell’originale generazione Y, non sempre siamo stati in grado di distinguere e bilanciare le due facce della medaglia.
In poche parole è come se avessimo ottenuto in dono potenti “strumenti magici” per essere ovunque, sempre, insieme a chi vogliamo, con conoscenze assimilabili in breve tempo, senza muoverci da casa.
Possiamo volare, creare, teletrasportarci, essere chi vogliamo essere!
Ma allora cos’è che non funziona visto che ansia, frustrazione, stress, solitudine accompagnano le nostre giornate al posto della grandiosa sensazione che la libertà digitale potrebbe infondere?
Il coraggio di essere liberi
Ci sentiamo oppressi, stretti, schiacciati nella nostra quotidianità.
Ci aggrappiamo ai nostri se con tutta la forza: se si potesse andare, se avessi a libertà, se potessi cambiare, se fossi in un altro stato, in un altro ambiente, con altre relazioni.
La nostra libertà di esprimerci è ancora condizionata, non solo dagli interlocutori, dagli ostacoli, dai luoghi. Principalmente da noi stessi.
Essere liberi significa essere se stessi, a prescindere dal luogo o dalle persone con le quali ci relazioniamo.
E’ uno stato di identità e di visione di insieme, del nostro insieme, che presuppone profonda conoscenza del Sé, forte radicamento e vocazione alla missione che la vita ci ha affidato.
Vito Mancuso, teologo e docente italiano, scrive nel suo libro che si diventa veramente liberi quando ci si libera dai fantasmi della mente; quando si mette a tacere l’ego con le sue pretese e le sue paure e si apre la mente all’aria pulita della realtà.
Si tratta di cambiare. Il compito consiste in un’azione, un cambiamento, una trasformazione:
il pensiero-rumore: trasformarlo in pensiero-silenzio.
Il pensiero-sospetto: trasformarlo in pensiero-fiducia.
Il pensiero-conquista: trasformarlo in pensiero-contemplazione.
Il pensiero al servizio dell’io: trasformarlo in pensiero al servizio del mondo.
Il pensiero-ansia che rosica dentro: trasformarlo in pensiero sorgente di pace.
La libertà forma l’individuo che, in relazione con gli altri, forma l’ambiente nel quale poter vivere la sua vita con consapevolezza.
Anche in ambito lavorativo.
Oltre alla libertà, la consapevolezza del nostro ruolo è fondamentale così come il senso che gli diamo.
Il senso che dai al tuo lavoro è alla base dei rapporti umani in azienda
Precedentemente abbiamo parlato di lavoro fatto bene che fa bene a me, fa bene agli altri e all’ambiente.
Questo passaggio è fondamentale per dare valore reale al nostro lavoro e al nostro talento.
Quello che facciamo deve rapportarsi non solo al nostro vantaggio personale, ma anche al vantaggio di chi riceve i frutti del nostro lavoro.
Allo stesso modo i frutti del nostro lavoro andrebbero impegnati in progetti, azioni, acquisti che rispettino la dignità umana e l’ambiente.
Così, quando avremo impiegato i nostri talenti, e lasciate libere le persone con cui lavoriamo di esprimere i propri, scopriremo il senso completo del lavoro e, in piena libertà, ne assumeremo la responsabilità riconoscendola come nostra, non perché qualcuno ce l’ha imposta, ma perché fa parte del nostro essere.
Il valore della connessione e della collaborazione diventa così evidente.
La buona connessione e la collaborazione umana indicano la direzione
Buona connessione con se stessi e con gli altri, a garanzia di un “lavoro ben fatto”.
Il lavoro ben fatto implica una comunione di intenti e una connessione per sentirsi parte del progetto.
Collaborazione chiara, fiduciosa e proiettata al benessere collettivo.
Ecco le visioni di direzione per la gestione dei rapporti umani in azienda ma anche per collaborare tra aziende.
Sì perché, se la connessione e la collaborazione interna vanno allenate ai principi appena accennati, crediamo che ci siano grandi opportunità di crescita generale attraverso le interconnessioni aziendali, lo scambio delle esperienze, dei saperi, degli errori, delle previsioni.
Stevens Johnson nel suo libro “Dove nascono le grandi idee”, parla del reef (la barriera corallina) come luogo eccezionalmente inventivo per il modo in cui i microorganismi hanno imparato a collaborare, anziché lottare.
Da dove cominciare per gettare le basi dei (nuovi) rapporti umani?
Suggeriamo di partire 2 leve fondamentali:
connessione ed ascolto.
La connessione implica la condivisione, il “fare rete”.
Fare rete in termini di economia della connessione implica creare valore, che non è dato dal capitale e dal profitto, ma dal desiderio di crescere e di far crescere, dall’essere complici di un progetto comune che, in quanto uomini d’azienda, ci vede tutti coinvolti.
Necessariamente coinvolti se vogliamo evolvere e trasformare.
Riguarda la “cultura del dare”, del “mettersi a servizio” per qualcosa che ci fa stare nel piacere e nella gioia di vivere e non nel mero capitalismo di profitto.
Salvatore Brizzi, scrittore e alchimista, in uno dei suoi interventi a cui partecipai anni fa, sottolineò come il denaro non ha a che fare con la ricchezza e il successo.
La persona di successo, senza al momento approfondire cosa si intende per successo, (da Berlusconi ad Oriana Fallaci, per fare esempi completamente agli antipodi) ha mai pensato di fare quello amava fare per soldi.
Oriana Fallaci dichiara “campo grazie ai diritti d’autore e ai miei diritti di autore ci tengo, ma non ho mai scritto per soldi. Mi sono sempre resa conto che a scrivere si influenzano i pensieri e le persone, più di quanto lo si possa fare con bombe e baionette e la responsabilità che deriva da tale consapevolezza non può essere esercitata pensando ai soldi.“
Per un’impietosa legge dello specchio, chi critica di più le persone che guadagnano scrivendo sono le persone che lavorano perché si sentono costretti a lavorare.
Scrivere è la passione di Oriana Fallaci e la sua passione è scrivere perché nello scrivere ha trovato il suo senso di vita.
Dalla passione e dalla chiarezza di senso nasce il desiderio di connessione e condivisione, la voglia di mettere a servizio la propria passione, perchè se ha fatto bene a me, potrebbe fare bene anche all’altro.
Ecco il punto di partenza di un’economia di condivisione e connessione.
Sintonizziamoci
L’ascolto in primis riguarda il Sé e la capacità di sintonizzarsi sulla frequenza che vogliamo trasmettere. Solo successivamente potremo essere in grado di ascoltare l’altro.
Essere in ascolto in azienda significa accogliere la complessità come normalità, attraverso la somma delle esperienze delle persone che la compongono.
Un vero ascolto, dice Eckart Tolle, è un’altra via per portare la quiete nella relazione.
Quando ascoltate veramente qualcuno, la dimensione della quiete sorge e diventa una parte essenziale della relazione.
Un vero ascoltare è però un talento raro.
Di solito la maggior parte dell’attenzione di una persona è impegnata nei suoi pensieri.
Nel migliore dei casi la persona sta valutando le vostre parole o si sta preparando per la prossima cosa da dire. O addirittura può darsi che non stia ascoltando per niente, presa dai propri pensieri.
Il vero ascolto va molto al di là della percezione uditiva.
E’ il sorgere di un’attenzione vigile, di uno spazio di presenza in cui le parole vengono ricevute.
Molto più importante di cosa ascoltare è l’atto dell’ascoltare se stesso, lo spazio della presenza consapevole che viene in questo ascoltare.
L’altra persona non è più “l’altra”.
In questo spazio, siete uniti insieme come una sola consapevolezza, una sola coscienza.
ENERGYOGANT
Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.
E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il benessere organizzativo.
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