Mi è piaciuto moltissimo Il libro di Joseph M. Marshall III dal titolo Il potere del quattro. Ho preso spunto da un modello, la società Lakota, popolo nativo americano, e dal suo concetto di leadership, senza in realtà che i Lakota conoscessero la parola “leadership”.
Nella lettura si evince che è il carattere, e non la posizione occupata, che può trasformare in leader. Nella loro società, non esisteva né il concetto, né la “parola” autorità.
Un capo Lakota non poteva costringere nessuno a seguirlo.
Non aveva neppure i social, poverino!
Tutto si basava sul carattere e l’esperienza. La società lakota produsse alcuni dei capi più noti e ammirati della storia, come Cavallo Pazzo, Toro Seduto o Nuvola Rossa.
Leggendo il libro mi è venuta voglia di confrontare il “Il potere del quattro” e la leadership senza autorità, basata su valori profondi e sulla capacità di ispirare gli altri.
Il testo si basa su quattro approcci filosofici, che partono dai concetti di coraggio, saggezza, generosità e resilienza.
- Coraggio (Bravery): Per Marshall si tratta del coraggio di essere autentici, di affrontare situazioni difficili e di agire secondo principi, anche quando non si ha l’autorità formale per farlo. Succede anche nella leadership senza autorità, dove il leader deve spesso fare scelte difficili e portare avanti idee, nonostante le resistenze, senza potersi appoggiare ad un potere gerarchico.
Questo implica la capacità di affrontare critiche e fallimenti, motivando gli altri con il proprio esempio.
- Saggezza (Wisdom): La saggezza nel libro è intesa come la capacità di ascoltare, comprendere e apprendere dalle esperienze, proprie e altrui. Nella leadership senza autorità, la saggezza diventa la capacità di analizzare situazioni complesse, di comprendere i bisogni degli altri e di influenzarli con intuizioni profonde. La saggezza conferisce credibilità e rispetto. Un leader “saggio” riesce a guidare i team attraverso la sua visione e la capacità di vedere il quadro più ampio, piuttosto che imporre la propria volontà.
- Generosità (Generosity): La generosità nel contesto del libro è la capacità di dare senza aspettarsi nulla in cambio. Questo si manifesta nel supportare gli altri, condividere conoscenze e riconoscere il contributo altrui.
Nella leadership senza autorità, essere generosi con il proprio tempo, offrire mentoring e creare un ambiente in cui gli altri possano crescere è essenziale per costruire fiducia e rapporti di reciprocità.
Offrendo disponibilità e supporto disinteressato, i leader guadagnano la fiducia e l’ammirazione del team, creando una base solida per una leadership duratura.
- Resilienza (Fortitude): La resilienza è la capacità di rimanere saldi di fronte alle avversità e ai fallimenti. Ma anche la capacità di accettare il cambiamento e di continuare a crescere nonostante le difficoltà.
Un leader senza autorità deve essere resiliente per affrontare situazioni in cui le proprie idee possono essere messe in discussione, o non si riceve immediatamente il sostegno del gruppo..
Cosa accomuna il “Potere dei quattro” alla leadership senza autorità?
Entrambi mettono l’accento su una leadership che nasce dai valori personali e non dall’autorità formale. Un leader senza autorità, così come descritto da Marshall, ispira gli altri non perché può imporre il proprio volere, ma perché dimostra di essere coerente con i propri valori.
Ecco i punti principali:
- Un leader senza autorità influenza attraverso l’esempio, dimostrando le proprie qualità nelle azioni quotidiane. La leadership non si esercita dall’alto, ma emerge dal comportamento.
- Crea relazioni e fiducia. Sia “Il potere del quattro” sia la leadership senza autorità vedono la fiducia come fondamento della capacità di influenzare. Senza fiducia, non si può esercitare alcun tipo di leadership, specialmente se manca il potere formale.
- La capacità di ascoltare e comprendere il punto di vista degli altri è centrale in entrambi i contesti. La leadership senza autorità si manifesta soprattutto nella capacità di coinvolgere gli altri e di farli sentire parte del processo decisionale.
Quali differenze tra il “Potere dei Quattro” e la leadership senza autorità?
- Il contesto ambientale e culturale: “Il potere del quattro” si basa sui principi della saggezza Lakota, che sono profondamente radicati in una cultura che valorizza l’equilibrio e l’armonia con la natura e con la comunità. La leadership senza autorità, invece, è spesso applicata ai nostri contesti aziendali moderni, dove le dinamiche sono influenzate da fattori economici e strategici.
- Il contesto applicativo: Il libro di Marshall è più orientato alla crescita personale e alla leadership in un senso ampio, che include comunità, famiglia e relazioni. La leadership senza autorità è spesso discussa in azienda, con focus sulla gestione del team, progetti e obiettivi professionali. Di fatto un leader senza autorità emerge come guida non solo sul posto di lavoro, ma anche nelle interazioni quotidiane, mostrando coerenza tra comportamento, valori e pensieri. La leadership è quindi uno stile di vita, in cui le persone sono da ispirare con l’esempio e non con titoli.
Ne “Il potere del quattro” la leadership è intesa come servizio, come volontà di mettere le proprie capacità al servizio della comunità, aiutando gli altri a raggiungere i loro obiettivi. Questo è un principio maieutico che non cerca il controllo o la gloria personale, ma si concentra sulla crescita dei collaboratori e sul bene comune.
Un altro aspetto affascinante è la ricerca costante tra azione e riflessione, evitando di reagire impulsivamente alle situazioni.
Questo implica una buona capacità di imparare a separare l’osservato dall’osservatore: esiste il leader ed esistono i suoi pensieri, comportamenti, ecc. Il leader non è né i suoi pensieri, né i suoi comportamenti, ma molto di più.
Il processo di disidentificazione dovrebbe permettere al leader di essere in grado di fermarsi, analizzare e poi agire. Un leader senza autorità che bilancia azione e riflessione evita decisioni affrettate e può quindi costruire una narrativa solida e coerente. Questo atteggiamento permette al team di apprezzare la profondità del pensiero del leader, vedendolo come un punto di riferimento.
Riassumo qui i 4 approcci filosofici che sono alla base di quanto esposto finora:
- Conosci te stesso
Lo troviamo sul frontone del tempio di Apollo a Delfi l’oracolo che rivolgeva all’uomo di allora l’invito a indagare dentro di sé, per scoprire che l’essenza della nostra vita è dentro, non al di fuori di noi. Così Socrate, che sulla conoscenza di se stesso costruirà uno dei cardini del suo pensiero. Lo stesso Sun Tzu ne L’arte della guerra narra “Se non conosci né il nemico, né te stesso, ogni battaglia significherà per te sconfitta certa. Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari a quelle di sconfitta. Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo.”
Il meglio che ciascuno di noi può fare è affrontare la vita con tutte le sue forze e le sue debolezze. Per farlo dobbiamo essere assolutamente sinceri con noi stessi riguardo a entrambe.
Ogni azione dissipa energia, ogni pensiero costa fatica, è quindi necessario cercare un’armonia tra lo sforzo e l’obiettivo, al fine di ordinare i mezzi nel modo migliore.
Per fare questo, occorre conoscere bene se stessi e il “nemico”, perché solo a queste condizioni potremo operare nell’ottica di “capitalizzare” ogni nostro vantaggio. Per fare tutto ciò ci vuole realismo costruttivo, in cui la nostra mente deve tendere per giungere al massimo vantaggio, il solo scopo per cui valga la pena imbarcarsi in uno scontro, quale che sia.
Con il passare del tempo dovremmo diventare sempre più capaci di affrontare le sfide della vita: la consapevolezza di sé dovrebbe essere una continua disciplina.
Mai, nella nostra vita personale o professionale, arriveremo al punto di avere imparato tutto.
Questo è sintetizzato dal pensiero Lakota: un uomo smetteva di migliorare la sua esperienza con l’arco solo il giorno in cui moriva.
Lo stesso Omraam Mikhaël Aïvanhov in “Conosci te stesso” racchiude in questa frase tutta la scienza e tutta la saggezza: conoscersi, ritrovarsi, realizzare la fusione tra il Sé superiore e il Sé inferiore.
Conoscersi equivale a possedere la scienza dei diversi corpi di cui si compone l’uomo (il corpo fisico, eterico, astrale, mentale, causale, spirituale, coscienziale) e delle condizioni indispensabili al loro sviluppo”.
E’ un viaggio per scoprire quello che siamo e le mille sfaccettature che nascondiamo dentro noi stessi, per vivere con consapevolezza le nostre emozioni e il nostro “io” pulsante.
Un percorso per scavare dentro di noi, “giocare” con i nostri pregi e difetti, diventando coscienti che questi fanno parte del nostro essere, più forti e consapevoli. Camminare mano nella mano con le nostre paure e i nostri pensieri imparando ad osservarli e a non giudicarli.
Quando siamo consapevoli di quello che realmente siamo potremo affacciarci al mondo e agli altri e scoprire quanto la realtà intorno a noi sia uno specchio delle nostre volontà, paure ecc.
Come possiamo iniziare a conoscere meglio noi stessi?
Quali sono le cose che sai fare bene senza averle imparate?
Quali sono le qualità che ti descrivono?
2. Conosci i tuoi amici
I leader non possono fare niente da soli. Creiamo le nostre alleanze per aiutarci a vicenda nei momenti difficili e nelle situazioni più irte di ostacoli. Stando vicino agli amici nei momenti difficili, dimostriamo loro che possono fidarsi di noi, e ciò dovrebbe garantirci che saranno al nostro fianco quando saremo noi ad avere bisogno di loro.
Lo scrittore Robert Greenleaf già nel 1970 coniò il termine “servant leader” In genere, nel business, i leader seguono gli interessi degli azionisti (Shareholder), mentre un servant leader si concentra sulle persone.
Le relazioni sono l’ingrediente fondamentale, la scuola dell’obbligo della nostra crescita: possiamo non essere interessati ad un percorso di crescita personale, ma le relazioni coinvolgono tutti, nessuno escluso.
Mettersi a servizio della relazione, significa sviluppare strategia, visione e trasformazione, ma significa anche entrare nella relazione come espansione e nutrimento di Sé, osservare gli altri come opportunità.
Essere leader significa osservare gli altri e le relazioni come opportunità di incontrare parti di Sé.
Questo viene molto facile quando le relazioni funzionano ed, in tal caso, l’invito è di amplificare questo aspetto, ma ci risulta più complesso quando ci sono delle resistenze.
L’altro è sempre un potenziale interiore che io non ho ancora attivato.
Ci vuole sicuramente un forte spirito di osservazione per affermare che l’altro è uno specchio di Sé.
Un conto dirlo a parole e un conto è incarnare questo aspetto tutti i giorni. Ma l’osservazione non basta, ci vogliono anche strumenti di trasformazione. Riconoscere nell’altro uno specchio significa essere responsabile di tutto ciò che avviene “là fuori”.
Andiamo oltre la separazione con cui siamo stati educati (bene e male, io e gli altri, ecc ). Andiamo oltre le nostre credenze che hanno creato l’altro. Come dice Gandhi le nostre credenze creano il nostro destino: io non creo l’altro, ma creo il fatto che l’altro si esprima con me in quel modo, che io attivi in lui quel comportamento e che lui attivi in me quell’archetipo.
Raramente vediamo le persone per come sono, vediamo l’archetipo che queste attivano in noi. Prendiamo per esempio il concetto di maschio e femmina. Ci sono persone che hanno difficoltà a relazionarsi con il maschile o viceversa, perché attivano l’archetipo mamma o papà, l’archetipo autorità, o maestro di scuole ecc.
L ’altro attiva in noi sempre qualcosa che nel nostro subconscio c’è già e, grazie a questa attivazione, lo fa emergere.
Irene Menis, laureata in fisica, ha lavorato per oltre 12 anni nell’esplorazione spaziale, oggi International Certified PSYCH-K® and PER-K® Instructor, definisce 3 tipi di specchio:
- La persona mi mette in difficoltà perché fa, si comporta, dice, pensa o si permette qualcosa che mi è stato impedito di fare da piccolo. Esempio da adulto mi danno fastidio le persone che parlano a voce alta, perche’ i miei genitori mi rimproveravano sempre se alzavo il tono di voce.
- le cose che mi impedisco di fare da grande. Vorrei prendermi una settimana di vacanza e andarmene via da solo, ma non ho il coraggio di farlo per vari motivi e provo un sentimento di sottile invidia per chi è in grado di farlo. La relazione ci rivela quella parte di noi potenziale a cui da adulti non diamo il permesso di vivere. E’ un’area fuori dalla nostra zona di comfort dove vorremmo andare, ma non ci riusciamo.
- Mi da fastidio delle altre persone le stesse cose che io faccio, ma di cui non mi accorgo. Questo è lo specchio più difficile da riconoscere. Esempio: mi danno fastidio le persone ritardatarie e anch’io sono ritardataria, ma non vorrei esserlo. Sono cose non così ovvie, perché sono al di sotto della consapevolezza conscia. La mente conscia a volte non se ne accorge, fino a quando la sfida, il disagio della relazione diventa non tollerabile.
A volte ci lamentiamo perché il collaboratore non ci rispetta. Tu ti rispetti? Rispetti i tuoi bisogni?
Hai mai sentito parlare della legge dello specchio?
3) Conosci i tuoi nemici
Viviamo in un mondo in cui dobbiamo affrontare continue minacce, a livello individuale e collettivo. Il folklore dei Lakota è pieno di storie di battaglie. L’odio e l’etnocentrismo erano spesso altissimi, ma i Lakota avevano anche rispetto per i loro nemici, un rispetto che derivava da una profonda conoscenza: benché fossero separate da grandi distanze e da lingue diverse, le tribù conoscevano i reciproci valori culturali, le forze e le debolezze militari. La conoscenza del nemico era parte integrante della difesa. Ciò forniva utili informazioni: le armi di cui disponeva, le passate vittorie o sconfitte, le abilità e le abitudini tattiche, il valore nel combattimento e così via. Conoscere il nemico aumentava sensibilmente le probabilità di vittoria.
Ogni relazione può essere sana, o ancora meglio io posso essere sana/o in ogni relazione.
Io non vedo l’altro per come è, ma io vedo l’altro per come io lo percepisco dal mio sistema di credenze.
Di questo non dobbiamo mai avere dubbi.
Provare a cambiare i nostri sistemi percettivi, le nostre credenze, i nostri paradigmi in modo da stare bene noi. L’altro, il nemico, si comporta così non per farmi dispetto, ma perché lui agisce dal suo sistema di credenze. Quindi agisce perché è veramente il massimo che è capace, che riesce a fare. Nel suo sistema di credenze non è capace di fare meglio e quello è davvero il massimo, oppure peggio ha paura di quella situazione e quindi va in protezione.
Cambiare per me significa modificare il nostro paradigma e cioè, non cambiamo perché non andiamo bene o perché dobbiamo farci andar bene il nostro capo, ma cambiamo perché andiamo già benissimo così e possiamo ancora migliorare. Ecco perché le relazioni sono una grande opportunità.
C’è qualcuno e qualcosa che in questo periodo ti urta particolarmente?
Prova ad osservare meglio quel qualcuno e quella situazione, cosa dice di te?
4) Dai l’esempio
Quando l’altro vede che siamo disponibili a cambiare, per la legge dello specchio di cui sopra, anche lui sarà più disponibile a cambiare. In una relazione in cui entrambi si è disponibili a cambiare rispettando la propria natura, c’è crescita.
Noi possiamo solo trasformare le credenze subconscie che ci impediscono di essere la migliore espressione di noi stessi e non i per adeguarci alle aspettative di un altro.
Possiamo solo diventare sempre più noi stessi.
Ed è un posto comodissimo dove stare.
Se non sei te stesso spendi il 50% del tuo tempo ad essere come qualcuno ti vuole e l’altro 50% a cercare di essere come gli altri non ti vogliono.
E quindi quando hai il tempo di vivere la tua vita?
I Lakota davano il loro esempio con un approccio molto semplice e elegante:
“Per ‘portare la giubba’ dovete essere al di sopra degli altri. Dovete aiutare gli altri prima di pensare a voi stessi. Aiutare le vedove e le persone che hanno scarsità di cibo e di vestiti, e che non hanno nessuno che parli per loro. Non guardate dall’alto in basso gli altri e non prestate attenzione a chi guarda dall’alto in basso voi, e non lasciate che la rabbia guidi la vostra mente o il vostro cuore. Siate generosi, siate saggi e dimostrate fermezza, affinché la gente segua quello che fate e quello che dite. Soprattutto, abbiate coraggio e siate i primi a caricare il nemico, perché è meglio giacere come un guerriero nudo nella morte che essere riccamente vestiti ma con dentro un cuore d’acqua”.
Condivido, concludendo, 3 note case study aziendali che illustrano la leadership senza autorità in cui ho ritrovato alcuni principi cari ai Lakota
1. Progetto Manhattan
Il Progetto Manhattan, nonostante fosse formalmente organizzato con una struttura gerarchica, ha visto emergere molte figure di leadership senza autorità ufficiale: il fisico Richard Feynman era uno dei membri più giovani e non aveva alcuna autorità formale, ma grazie alla sua competenza, curiosità e capacità di innovare, è riuscito a guidare varie iniziative e a influenzare il corso del progetto. Anche il suo approccio non convenzionale alla risoluzione dei problemi ha motivato i suoi colleghi a pensare fuori dagli schemi.
Punti chiave della leadership senza autorità:
- Utilizzo delle competenze e dell’innovazione per guidare il team.
- Capacità di influenzare colleghi e superiori grazie alla visione tecnica.
2. “No Boss” in WL Gore & Associates
WL Gore, azienda famosa per i tessuti Gore-Tex, ha implementato una struttura aziendale priva di gerarchie tradizionali. Non esistono manager formali e l’intera organizzazione si basa su gruppi di persone che collaborano su progetti specifici. I leader emergono naturalmente in base alle competenze e alla capacità di ispirare e motivare il gruppo. Le decisioni vengono prese con il consenso e i leader devono ottenere il supporto volontario del team.
Punti chiave:
- Leadership emergente, in base al valore aggiunto che si apporta.
- Cultura basata sulla collaborazione e sulla fiducia reciproca.
3. Zappos e l’Holacracy
Zappos, l’azienda di e-commerce, ha adottato una struttura organizzativa chiamata “Holacracy”, dove l’autorità è distribuita in “cerchi” e non ci sono manager tradizionali.
I dipendenti sono incoraggiati a ricoprire diversi ruoli e a guidare iniziative anche senza titoli formali. Le decisioni vengono prese attraverso un processo di consenso e i ruoli di leadership sono temporanei e flessibili, emergendo in base alle necessità del progetto e alle competenze.
Punti chiave:
- Leadership basata sulla flessibilità dei ruoli e sul consenso.
- Ambiente in cui i dipendenti sono liberi di guidare e proporre iniziative senza barriere gerarchiche.
Il futuro della leadership senza autorità sarà caratterizzato da una crescente rilevanza e diffusione, che richiama in tutti noi un nuovo sguardo verso noi stessi e gli altri.
Noi ci proviamo sin da subito con un’opportunità “out of the box” in merito a quanto descritto in questo articolo: ti aspettiamo dall’8 al 10 novembre al Retreat Libera-mente, un week end esperienziale tra le colline del Monferrato, per sperimentare insieme tecniche e pratiche per allentare il rimuginio mentale, l’overthinking costante e ritrovare il tuo centro e il tuo benessere fisico, mentale e energetico, aprendoti a idee e intuizioni attraverso la creatività.
Il Retreat è quasi sold out, per info, programma e iscrizioni scrivici a info@myhara.it
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