Che noia che barba, che barba che noia!
Oltre ad essere un piacevole ricordo di una coppia illustre nel mondo televisivo per chi, come me, è ormai un baby boomers in uscita annoiarsi al lavoro sembra più frequente di quanto si immagini.
L’idea centrale dell’annoiato è il “non aver nulla da fare” e, allo stesso tempo, la pesante certezza che fare qualcosa sarà troppo faticoso e per altro troppo deludente per impegnarsi.
La noia prende avvio da una situazione in cui nessuna delle possibili cose che una persona potrebbe fare suscita attrattiva.
La noia è il risultato di non avere niente da fare che piace, piuttosto che non avere nulla da fare di per sé.
Il sentimento di noia emerge infatti quando il contesto di vita e le relazioni di una persona smettono di rispondere ai suoi bisogni emotivi e ripetono rigidamente routines che, in precedenza, risultavano invece soddisfacenti.
In questo senso, la noia può essere considerata un’emozione-sentinella che ci allerta sulla necessità di operare un cambiamento nelle modalità con cui ci rapportiamo alle cose.
Ma non sempre l’annoiato coglie questo importante allarme psicologico e tende a riempire l’inquietudine rifugiandosi nella ripetitività del quotidiano e utilizzando di continuo fonti di gratificazione esterna: tv, social-network, videogiochi, cibo, sigarette, alcol ecc.
Annoiarsi al lavoro è di fatto una situazione circolare che si autoalimenta.
- percepito
- inattività
- assenza di stimoli
- assenza di ritorno
- percepito
In azienda si parla proprio di boreout: la sindrome da noia definita come un disturbo psicologico che causa malattie fisiche, principalmente dovute da sottocarico mentale sul posto di lavoro, a causa della mancanza di un carico di lavoro quantitativo o qualitativo adeguato.
Tra le cause scatenati si possono identificare, per esempio:
- la mancanza di stimoli
- il blocco di avanzamento di carriera
- l’isolamento
- il disinteresse e disimpegno verso la mansione richiesta
A generare il boreout però non è solo la natura dell’impiego, ma un ruolo fondamentale lo gioca la percezione che il lavoratore ha di sé, dei suoi colleghi, dello scopo aziendale e dell’impatto che il suo lavoro ha sull’ambiente presente e futuro.
Annoiarsi al lavoro è virale
Annoiarsi al lavoro ha a che fare con le aspettative e il giudizio.
Qual è il mio pensiero quando svolgo qualcosa di solito e ripetitivo?
Anche vedere più volte lo stesso film, o leggere lo stesso libro o frequentare la stessa persona per una vita intera può diventare noioso e ripetitivo se non ascoltiamo e non ci ascoltiamo.
Come dice Nicoletta Cinotti, psicologa ed esperta di Mindfulness, “Se ascoltiamo tutto, tutto è completamente nuovo. Se non ascoltiamo, tutto è completamente uguale.”
Credo sia indiscutibile che noi siamo in continuo cambiamento e che questo cambiamento è la nostra stessa essenza.
Noi siamo esseri umani complessi e in continuo cambiamento.
La stesso cambiamento che avviene in noi, avviene anche nell’altro.
Non c’è un giorno uguale all’altro.
Non c’è nulla di uguale e ripetitivo, se non il nostro giudizio e pregiudizio.
Si tratta della nostra mente: è il nostro isolamento mentale che produce la noia.
La noia è della mente, non del cuore. Il cuore non si annoia.
Essere curiosi ed esploratori della vita non ci porta alla noia.
“Se non ritornerete come bambini, non entrerete nel regno dei Cieli”.
Questa frase di Gesù, al di là del nostro credo religioso, attiva la nostra mente principiante, di colui che si meraviglia, che prova stupore, che si sorprende, che non dà nulla per scontato e che ogni giorno si sveglia resettando il giorno precedente…non può cadere nella noia.
La mente curiosa ascolta, proprio come fa un bambino.
Non può trovare ripetizione perchè nella sua esplorazione incontrerà diversi livelli di profondità e novità.
Non possiamo fare a meno della mente curiosa, come non possiamo fare a meno dell’ascolto. Senza curiosità e ascolto si cade nella routine e ripetizione.
Tutto perde sapore e allora si cerca da un’altra parte: un altro lavoro, un’altra partner, ecc. Ma se non ci occupiamo della nostra relazione profonda con il senso di ciò che facciamo, anche il nuovo lavoro o il nuovo compagno reitererà lo stesso schema.
Essere curiosi nella ripetizione, attingere allo stupore e alla meraviglia come la mente di un bambino è l’opportunità di trasformare la noia a nostro vantaggio.
La noia è quello che proviamo quando dentro di noi si muovono contemporaneamente due aspetti: da un lato il bisogno di far qualcosa, dall’altro il non sapere cosa fare.
La noia è appunto l’incapacità di canalizzare il nostro intento in qualcosa di specifico.
L’intento, abbiamo visto più volte, corrisponde al senso.
Quando siamo annoiati, è come se avessimo fame ma senza sapere di cosa.
La noia è un’ emozione e, come tale, non è nè buona nè cattiva, nè giusta, nè sbagliata.
Siamo noi, con le nostre proiezioni ed i nostri vissuti che la definiamo negativa o positiva.
Questa è una buona notizia!
Perché, anche la noia, come tutte le emozioni ha una funzione evolutiva.
L’impatto dell’annoiarsi al lavoro può anche avere una manifestazione esterna.
La noia infatti, sul lungo periodo, genera stati come:
- Paura di perdere le abilità
- Le difficoltà relazionali con i colleghi
- Perdita di autostima
- Paura di perdere il lavoro
- Stress
- Depressione
Il rischio di malattie cardiovascolari sarebbe moltiplicato per tre per coloro che sono esposti alla noia e alla frustrazione.
Prima di combattere la noia occorre comprenderla e comprendersi.
Cosa fai mentre ti intrattieni con la noia?
In che modo cerchi di placarla?
Chi o cosa, aggrava o allevia questo sentimento impreciso e fluttuante?
E chi o cosa, potrebbe produrre una variazione, anche lieve, nel piano grigio e continuo della noia?
Annoiarsi al lavoro è evolutivo
Il primo passo da fare è quello di vivere realmente la noia, non cedendo a delle facili distrazioni.
Provate a concedervi cinque minuti di noia al giorno o imparate ad accettare la noia quando viene a trovarvi, non la allontanate e non la riempite con chiunque o con qualsiasi cosa.
Gradualmente imparerete a temerla di meno e farete delle interessanti scoperte.
Provare a capire cosa stai provando. E’ semplicemente noia o c’è dell’altro dietro? Farti questa domanda può aiutarti ad essere più consapevole dei tuoi pensieri, dei sentimenti e ad affrontare le tue paure.
Esplora il vuoto. Un senso di non-presenza e non attività. Se noi impariamo ad accogliere il vuoto, come opportunità di stop consapevole riusciamo anche a percepire l’energia e la vibrazione che ci può sostenere se non la combattiamo.
Potremmo associare lo stato emotivo che stiamo vivendo a quello di un bambino. Molti bambini si annoiano, non sanno che gioco fare, e se hanno qualche idea non sanno come metterla in pratica quindi si bloccano, si ritirano dal campo di gioco.
Per noi occidentali parlare di “vuoto” significa indicare il nulla, ovvero la fine di ogni cosa, per gli orientali invece è esattamente il contrario, questo rappresenta la possibilità di ogni cosa. Per esempio, per poter riempire una brocca d’acqua è necessario prima svuotarla completamente.
Avete mai provato a riempire una brocca già piena?
Questo è il principio su cui si fonda la pratica Zen. Superare il corpo e la mente, cioè la realtà delle sole sensazioni o il mondo esclusivamente intellettuale, per poter raggiungere il proprio “centro“, il proprio “vero sè”, l’essenza, il “vuoto“, cioè la “sorgente” di ogni possibilità di vita reale.
Quando ti trovi in una situazione di vuoto, non avere fretta di riempirlo.
Ci sono diversi modi in cui puoi esercitare il vuoto e trarne vantaggio.
Resta in silenzio. Il silenzio è una forma di vuoto. Scegliere di non aggiungere la propria voce a un coro di sottofondo ci aiuta a entrare meglio in contatto con il nostro Sé e ad attivare la nostra energia creativa.
Lascia parlare i tuoi pensieri e ascolta cosa hanno da dirti. Molto spesso si tratta di verità su di te e sulla tua vita che di solito tendi a ignorare perché affrontarle significa impiegare risorse per rimettere in discussione certezze che credi consolidate.
Concedi una chance alla tua voce critica. Se a parlare è la voce del tuo critico interiore, lasciala libera di esprimersi e poi prenditi del tempo per capire cosa c’è di vero nelle sue parole — sono aspetti su cui puoi lavorare con calma —, per confutare le critiche non vere e per rassicurarla del fatto che sei in grado di gestire al meglio tutte le tue emozioni.
Mettiti in ascolto di tutto ciò che emerge nel vuoto. Di frequente arrivano illuminazioni, soluzioni che cercavi da tempo e che eludono finalmente la severa sorveglianza del pensiero logico e razionale.
Accogli quello che arriva, non spaventarti. Il vuoto non è assenza, favorisce un processo di elaborazione che ha bisogno di un tempo, diverso per ciascuna di noi. Nel vuoto riusciamo a tornare alle origini, alle verità archetipiche, alla nostra essenza.
Annoiarsi al lavoro: non è più tempo!
Nella sua analisi del tempo Bergson, filosofo francese, distingue il tempo della scienza da quello che coincide con quello della vita, quello vissuto con istanti sempre qualitativamente diversi con un loro specifico significato.
La relazione tra noia e tempo sottende al sentimento stesso della percezione noiosa.
Su questa distinzione bergsoniana si basa l’analisi di Vladimir Jankélévitch che riporta la noia nell’ambito di quei sentimenti mediatori tra l'”avventura” e la “serietà”, tra una vita estetica basata sull’attimo e una vita etica basata sulla durata dell’accettazione di valori regolatori dell’esistenza umana.
“L’avventura, la noia e la serietà sono tre diversi modi di concepire il tempo. Ciò che si vive e si spera appassionatamente nell’avventura è il sorgere dell’avvenire. La noia, al contrario, è piuttosto vissuta nel presente…”
Ed è in questo presente che siamo chiamati ad agire per sostenere le avventure del futuro.
Certamente tutti abbiamo buone scuse per sentirci annoiati, ma adesso non è tempo.
E’ importante essere consapevoli della differenza tra definirsi annoiati o avere un atteggiamento annoiato.
I significati ( intesi come frequenze vibratorie delle nostre parole) agiscono sia all’interno che all’esterno di noi.
Piuttosto è il tempo della creatività, dello stupore, della felicità della mente del principiante!
Il nuovo, quasi sempre, sorge esattamente nel luogo in cui siamo sempre stati.
Nella mente di principiante ci sono molte possibilità, in quella da esperto poche. Se discriminate troppo, vi limitate.
(Shunryu Suzuki-Roshi )
ENERGYOGANT
Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.
E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il benessere organizzativo.
No Comments