Come può l’inclusione lavorativa essere considerata un abbraccio strategico?
Abbracciare è una parola “poliedrica” in azienda, che va dall’abbraccio fisico tra colleghi, alla pacca sulla spalla, all’accettazione ed accoglienza, sino all’inclusione e trasformazione.
Abbracciare è una parola di ampio respiro.
C’è un denominatore comune in tutte queste definizioni, abbracciare=apertura.
Quindi, se mi apro respiro.
Se non abbraccio, non mi apro, resto chiuso e non respiro.
Se non respiro sto male e “muoio”.
Se abbraccio poco, respiro male.
Abbracciare quindi è un compito vitale per l’essere umano.
L’ Inclusione lavorativa quindi ha a che fare con l’abbracciare e significa:
- accogliere
- accettare
- includere/integrare
- amare
- trasformare
Accogliere racchiude tutte le sfumature dell’apertura all’altro. Dal latino: accolligere, derivato da colligere- raccogliere. A sua volta composto da co– insieme e lègere- raccogliere. Dunque accogliere significa “raccogliere insieme”, ricevere qualcuno o qualcosa, accettare, creare un legame.
Accogliere vuol dire mettersi in gioco, che esprime una sfumatura maggiore rispetto al supremo buon costume dell’ospitalità.
Accogliere è un atto di saggezza, nel senso di:
- imparare che nella vita ci sono cose che non puoi controllare e che ti tocca invece imparare a gestire, dandogli un significato.
Accogliere significa dunque aprire la porta a chi ti sta bussando, che si tratti di un ospite in casa o di un collega in ufficio.
Accogliere per fare entrare, per condividere un’esperienza, per creare scambio.
A volte è piacevole ed è molto semplice, altre invece ci chiediamo che senso abbia farlo…
Perché dovrei accettare e accogliere l’età che passa, una persona che non mi ispira o gli eventi imprevedibili che arrivano nella mia vita per esempio?
Perché fare la fatica di accogliere anche gli errori, i fallimenti o un ambiente che non mi aggrada?
Talvolta accogliere significa ascoltare non solo ciò che vogliamo sentire, ma anche ciò che ci fa arrabbiare, che non condividiamo o che vorremmo zittire.
Per me accogliere è decisamente più difficile dell’accettare. Significa aprirsi all’ipotesi che, forse, avevamo bisogno di quello che è accaduto per imparare qualcosa di nuovo. Personalmente vorrei, a volte, imparare senza ripetizioni, buona la prima, invece di essere “ rimandata a settembre”.
Tuttavia nell’inclusione lavorativa, con l’accezione che ci stiamo dando di accoglienza e accettazione, ci sono sempre 2 aspetti fondamentali:
- Bellezza e Apprendimento.
La bellezza della scoperta, dell’incontro tra persone e culture diverse, l’arricchimento dello scambio, l’apprendimento di esperienze nuove.
Inclusione lavorativa significa avere il desiderio profondo di conoscere chi ci sta di fianco, che può essere che ci camminiamo a fianco da anni ma che in realtà non gli abbiamo mai stretto le mano. O non lo abbiamo mai abbracciato. Che siamo rimasti fermi alla prima impressione, o alla seconda, o all’immagine che avevamo di lui anni fa. Mentre fortunatamente evolviamo tutti, ogni giorno, e talvolta dobbiamo fermarci per riconoscerci di nuovo.
Perché ci risulta così difficile l’inclusione lavorativa?
Quando mi trovo di fronte a questo dilemma, nel lavoro come nella vita, ringrazio il mio amore e la mia passione per lo yoga.
Nella tradizione orientale Santhosa (= accoglienza, accettazione) è il secondo Nyama (disciplina) degli 8 principi dello yoga. Il termine deriva dal sanscrito sam, che significa “completamente” o “del tutto”, e tosha, che significa “soddisfazione” o “accettazione”.
Questa pratica è caratterizzata da un generale appagamento e contentezza per ciò che è così com’è. Santosha è strettamente legata all’equanimità, in quanto praticarla permette di accettare qualunque circostanza si presenti, inclusi piacere, dolore, successo o fallimento.
L’Hatha Yoga Pradipika, uno dei testi più antichi della filosofia dei Veda, la descrive così: “Santosha significa appagamento in qualunque circostanza. Possiamo possedere molto o nulla, guadagnare o perdere ma in ogni caso dovremmo coltivare la consapevolezza di possedere più che abbastanza. La situazione opposta è l’insicurezza, che genera stanchezza e instabilità…”. Letteralmente può essere tradotto con “contentezza”: stato d’animo (e le relative dimostrazioni) di chi è molto soddisfatto o si rallegra di una situazione o di un fatto.
Santhosa consiste nell’arte di sentirsi contenti e appagati, indipendentemente dalle condizioni esterne.
Come si fa?
Non significa non provare mai tristezza, rabbia ecc. ma coltivare la capacità di vedere le cose per come sono, anche se non sono come vorremmo noi e coglierne l’aspetto positivo.
La perdita del lavoro, le relazioni difficili, le difficoltà economiche rendono spesso arduo coltivare l’accettazione ma Santosha vuol dire anche sviluppare la speranza mantenendo un atteggiamento positivo verso il futuro: se adesso stiamo attraversando un periodo duro, non è detto che duri per sempre.
Sviluppare fiducia, equanimità, non farsi sopraffare dalle aspettative ma osservare ciò che la vita ci offre, vedere sempre la metà piena del bicchiere, non scoraggiarsi se le difficoltà perdurano, sono tutti aspetti che riguardano il Santosha.
Spesso la non-accettazione nasce dalla paura, dal non sentirti all’altezza, pensare che non hai la forza o le capacità per superare una determinata situazione.
Nel Sutra 42 di Patanjieli troviamo questa bellissima definizione “il risultato dell’appagamento (santhosa) è la felicità totale”
Dunque accogliere, in questa ottica, risponde ai nostri scettici perché.
Accogliere non equivale a subire passivamente gli eventi, ma diventa una scelta strategica: accolgo quello che ho davanti, perché solo accettandolo posso conoscerlo meglio. E quando conosco meglio qualcosa o qualcuno, le mie difese si abbassano e riesco anche ad essere più lucido e creativo, riesco a trovare nuovi spunti e soluzioni.
Lavorare sull’inclusione lavorativa significa ispirare, innovare e creare
Dovrei lasciare che le cose siano così come sono?
Dovrei rinunciare al cambiamento e rassegnarmi che tutto rimanga com’è?
L’idea che l’accettazione sia rassegnazione è molto forte perchè tendiamo ad avere una visione cristallizzata delle posizioni emotive. Così se accettiamo rimaniamo fermi ad accettare per sempre, se rifiutiamo, rifiutiamo per tutta la vita.
L’idea che la posizione emotiva sia un passaggio di un processo che si sviluppa e muta sembra improbabile.
Accettare è un passaggio emotivo in cui riconosciamo che qualcosa è avvenuto; qualcosa che è già avvenuto. Non abbiamo il potere di rifiutarlo perchè è già presente. Non lo cambieremo attraverso il rifiuto, che, spesso è proprio anche il rifiuto della sua esistenza.
Lo cambieremo attraverso il riconoscimento del fatto che c’è già nella nostra vita.
Accettare = fare i conti con quello che è già avvenuto con tutto l’impatto che ha su di noi.
Non significa che dobbiamo mantenerlo con noi per sempre, né significa rassegnarsi alle sue conseguenze.
Se desideriamo che il cambiamento sia possibile, il punto di partenza fondamentale è accettare ciò che è già avvenuto, e focalizzarci sull’inclusione lavorativa con una visione aperta a tutto ciò che è.
Altrimenti continueremo a combattere contro i mulini a vento, per negarlo.
La strada dell’accettazione è un percorso, non una meta, e inizia proprio dalla non-accettazione, dalla rabbia, dalla frustrazione e dalla voglia di mandare tutto a quel paese.
L’inclusione lavorativa è proprio l’opposto dell’evitamento esperienziale, significa aprirsi all’esperienza di tutte le emozioni e i pensieri, senza cercare di combatterli o scacciarli a forza.
Quali sono le strategie automatiche che mettiamo in campo per “evitare di sentire”?
Qual è stata l’ultima volta che ti sei accorto di compensare con qualcos’altro per non abbracciare l’emozione che stavi vivendo?
D’altro canto, anche l’approccio occidentale di una terapia comportamentale di terza generazione mette al centro del percorso di inclusione e trasformazione lavorativa l’accettazione e l’impegno. Si tratta dell’Acceptance and Commitment Therapy, conosciuta anche come ACT (pronunciata come una singola parola, in inglese “azione”). L’ACT è stata fondata da Steven C. Hayes, professore di Psicologia dell’Università del Nevada, negli Stati Uniti.
L’Acceptance and Commitment Therapy, (ACT) trae le sue origini dalla psicologia comportamentista ed è ispirata dalla psicologia buddhista. L’ACT è una psicoterapia basata su evidenze sperimentali, che usa strategie di accettazione e mindfulness insieme a strategie di impegno nell’azione e modificazione del comportamento.
I processi fondamentali sono sei e sono interconnessi gli uni con gli altri.
- il contatto con il momento presente
- la defusione
- l’accettazione
- il Sè come contesto
- i valori
- l’azione impegnata
L’interazione di questi 6 processi determinano la flessibilità psicologica, che è la capacità di stare nel momento presente con piena consapevolezza e apertura alle esperienze interne ed esterne, e di intraprendere azioni orientate da ciò che per noi è realmente importante.
- “Essere in contatto con il momento presente” significa essere pienamente consapevoli di ciò che ci sta accadendo momento per momento. E’ molto difficile nella nostra quotidianità rimanere nel momento presente. Molto spesso veniamo infatti rapiti da preoccupazioni che ci portano a preoccuparci del futuro o a rimpiangere il passato.
- Per defusione si intende quella particolare capacità della mente, tipica degli stati di meditazione, di potersi osservare mentre sperimenta il suo stesso funzionamento. Defondeersi significa togliersi dalla fusione con quell’emozione, stato, situazione ecc., fare un “passo indietro” ed osservare i propri pensieri guardandoli per quello che sono.Significa prendere la distanza senza reprimere le emozioni che stiamo vivendo, ma riducendo così l’impatto che queste hanno sulla nostra vita. Riuscire a prendere questa distanza aiuta a gestire meglio pensieri ed emozioni e a migliorare lo stato psicologico generale della persona.
- Il processo cardine è anche per ACT Accettare Significa aprirsi e fare spazio a sentimenti, emozioni e sensazioni anche dolorose. Significa smettere di combattere le emozioni negative, smettere di non volerle sentire e lasciare che semplicemente si manifestino per quello che sono.Secondo l’ACT infatti la causa di gran parte della sofferenza psicologica che proviamo è legata al nostro tentativo di evitare di provarla.
- Il Sè come contesto detto anche il “sé che osserva” è quella parte di noi che osserva la nostra mente mentre questa è in azione. Mentre tutti abbiamo consapevolezza del sè che pensa (quello con cui ragioniamo, progettiamo, immaginiamo e ricordiamo), molta meno consapevolezza abbiamo di un’altra parte della nostra mente che è in grado di osservarci mentre ragioniamo, progettiamo, immaginiamo etc. E’ il sé come contesto, quella parte della nostra mente che osserva il suo stesso funzionamento.
- Valori chiarificazione dei valori personali. Ogni persona ha infatti i propri valori, ma spesso, soprattutto quanto siamo molto sofferenti, facciamo fatica a ricordarli o vivere in accordo con questi.Fare chiarezza sui valori personali e operare di conseguenza delle scelte orientate da questi è uno degli aspetti centrali del percorso.
- Action Plan un’azione decisa mirata verso una nuova direzione maggiormente soddisfacente.
Cosa fare concretamente per allenarci a migliorare l’inclusione lavorativa?
Per quanto mi riguarda, non ho dubbi. Da questa breve riflessione fatta possiamo considerare come tutto, da qualsiasi approccio ci si avvicini, tutto ci riporta all’importanza di lavorare su di Sè.
Non possiamo parlare di inclusione lavorativa considerandola come una strategia da acquisire dall’esterno. Utilizzare Santosha in pratica significa lavorare su 3 diversi livelli:
- Intento: impegnati al massimo in qualsiasi tua azione, quindi accetta qualsiasi risultato ne derivi. Potremmo riassumere questo principio nella frase “fai del tuo meglio.”
- Stato interiore: adotta una mentalità di appagamento supportata anche da altre virtù come la compassione, l’assenza di invidia e il non rubare.
- Espressione: la manifestazione esteriore di santosha è la serenità e la totale soddisfazione, senza desideri superflui.
Uno dei modi per “fare spazio” e accettare pensieri e emozioni è attraverso la pratica della mindfulness.
La mindfulness, pratica meditativa nata in oriente più di 2000 anni fa, consente infatti di sviluppare un atteggiamento curioso e non giudicante verso i propri contenuti mentali.
“l’accettazione è un atteggiamento che va sviluppato e va scoperto; significa imparare ad accogliere quello che viviamo, con atteggiamento proattivo e aperto. Anche di fronte a momenti difficili della vita. La pratica della mindfulness può aiutarci in questo, a sviluppare un atteggiamento più aperto, per riconnettersi con se stessi e favorire un maggiore slancio nel cammino della vita.” Dott. Maffini, psicologo e psicoterapeuta
“Non c’è colpa più grande che assecondare i desideri. Non c’è sventura più grande che non sapersi accontentare. Non c’è difetto più grande della sete di guadagno. Perché chi sa che abbastanza è abbastanza ha sempre a sufficienza.”
Lao Tse
Ascolta ora questa meditazione direttamente dalla voce di Simona e prova a seguirla e praticarla fino alla fine:
Se ti sei perso i precedenti articoli ecco i link:
. IL DIRE E LA COMUNICAZIONE EMPATICA E POTENZIANTE
. IL DIRE E L’AVERE SUCCESSO IN AZIENDA E NELLA VITA
. IL DIRE E IL RISPETTARE LE REGOLE IN AZIENDA E NELLA VITA
. IL DIRE IMPLICA IL VERBO SBAGLIARE
. IL FARE E LA ROUTINE DEL MATTINO
. IL FARE E LA MIA ROUTINE QUOTIDIANA
. Il FARE E IL CIBO CHE DA’ ENERGIA
. IL FARE E L’INTELLIGENZA CREATIVA IN AZIENDA
Se invece sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile
Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it
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