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imparare a fidarsi

  • Il metodo

    Imparare a fidarsi

    L’azienda è un corpo vitale unico. Imparare a fidarsi di sé e degli altri è il punto di partenza per darle energia e partecipare alla sua evoluzione e crescita.

    Come in un albero la capacità di svilupparsi in altezza dipende dalle radici, anche in un organismo aziendale la potenzialità di crescita, e resistenza, si basa sulla sua essenza “sommersa”: quella delle persone che la compongono, che ne alimentano l’anima.

    In Natura le radici rappresentano la parte più energica dell’albero e sostengono il tronco dando vita a chiome ampie e rigogliosità di foglie.

    In Azienda le radici sono i principi vitali sui quali si basa il pensiero, l’azione e l’interazione, il nutrimento delle persone.

    Questi principi  generano i risultati, la soddisfazione, la sostenibilità, la bellezza, il senso di appartenenza, la prospettiva di crescita.

    E’ grazie alla forza del sommerso che si dà valore al manifesto.

    Quali sono i principi vitali da applicare, per gestire e indirizzare l’energia in azienda?

    Entriamo nell’esplorazione del “ sommerso”, le radici aziendali, le fonti di nutrimento quotidiano e scopriamo insieme i principi che rafforzano e generano energia. 

    Ne abbiamo individuati 8 . 

    Non esiste priorità del primo sull’ultimo, esiste UNITA’ nella loro ricerca e applicazione .

    Gli 8 principi principi vitali dell’azienda: 

    • FIDUCIA
    • PAZIENZA
    • NON VIOLENZA
    • ATTENZIONE
    • ASCOLTO
    • AZIONE
    • SCELTA
    • SENSO

    Come in ogni sistema vitale anche in questo caso la singola parte influenza il TUTTO, e viceversa.

    Partendo da queste basi l’azienda può manifestarsi in forma nuova, positiva, elastica.

    Il radicamento delle basi tenderà a generare, nel futuro, risultati nuovi, metodologie flessibili e capacità di resistenza nei momenti avversi.

    Oggi vogliamo approfondire il tema della FIDUCIA.

    Imparare a fidarsi in azienda. Di chi?

    Innanzi tutto di se stessi.

    L’affidamento è un atto volontario. 

    E’ la risultante di un processo di analisi che ci porta ad una decisione: assumere il rischio che la fiducia riposta non sarà tradita e che il risultato atteso si realizzerà.

    Il rischio è calcolato in base a informazioni che abbiamo elaborato e che riguardano il passato ( esperienza), e sensazioni che ci fanno elaborare il futuro ( proiezioni).

    Il processo si concretizza nella nostra mente, un attimo prima di esprimerlo verbalmente, attraverso un immagine.

    E’ così che la fiducia in sé stessi parte dall’immagine che abbiamo di noi.

    Lo sapevi che il cervello non è in grado di distinguere tra realtà e immaginazione?

    Le immagini mentali influenzano il corpo, le emozioni e il comportamento.

    Non ha importanza se l’immagine riguarda la realtà o qualcosa di totalmente mentale.

    In te avverranno cambiamenti corporei che saranno coerenti con l’immagine stessa e che ti spingeranno ad agire nello stesso modo.

    Ecco perchè avere fiducia in sé parte dall’immagine che abbiamo di noi.

    Fermarsi e “guardarsi” ci porta ad imparare a fidarsi di noi

    E’ il primo passo per poi fidarsi dell’altro, anche in azienda.

    Le visualizzazioni positive sono una tecnica potente, nota ed applicata, che nutre la mente con immagini e sensazioni predisponendo la persona a diventare ciò che desidera essere.

    L’importante è che l’intento sia chiaro e la spinta motivazionale sentita : così si può  sostenere l’immagine di sé. 

    Occorre quindi visualizzarsi nella situazione che ci crea criticità e trasformarla nella nostra mente al fine di generare un’azione positiva nella realtà.

    “E’ la mente  il principale motore che ti spinge ad agire: se non la predisponi positivamente – in una direzione costruttiva e finalizzata alla realizzazione dei tuoi obiettivi – difficilmente potrai attuare azioni efficaci per realizzare ciò che desideri. Ecco perché nutrire la propria mente con immagini e visualizzazioni positive è fondamentale.”

    Oltre all’elaborazione dell’immagine di chi vogliamo essere esiste un altro punto di fuoco/ focus determinante: avere la visione consapevole di cosa siamo.

    Le tecniche di esplorazione del corpo e del respiro ci accompagnano in questa ricerca: 

    la consapevolezza della propria forma/ energia e del proprio respiro diventano un’ ulteriore risorsa interiore che sostiene l’energia positiva dell’immaginazione e ne amplifica il potere.

    Ora la domanda la faccio a te: quanto sei disposto a cambiare la tua immagine per proiettarti in una situazione attuale, positiva e vincente?

    Il periodo che stiamo vivendo porta con sé dubbi ed incertezze che minano la nostra capacità di andare oltre il momento, con visioni positive e prospettive di crescita.

    Questa sensazione limitante e di confusione, rispetto agli schemi che da sempre ci hanno proposto e sulla base dei quali ci siamo formati, ha un’incidenza a livello trasversale.

    La fiducia cioè l’atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità è oggi un obiettivo ricercato da tutti:  manager, collaboratori, aziende.

    Il distanziamento ha portato con sé nuove criticità : in azienda il non poter vedere i propri colleghi / collaboratori può creare sfiducia nel fatto che stiano effettivamente lavorando. 

    Il dubbio porta a maggiori richieste da parte dei manager che si riversano sul benessere dei collaboratori intenti a ricercare un nuovo equilibrio tra vita e lavoro.

    Risultato : lo stress lavorativo di ognuno di noi si accentua.

    Si genera così da un lato la paura di non godere la fiducia dei capi, e dall’altro quella di non avere strumenti a cui affidarsi per attuare dinamiche di controllo e microgestione a distanza.

    Dobbiamo (ri) imparare a fidarci

    Occorre un “cambiamento di direzione” della forma – pensiero.

    Sostenere la nostra capacità di generare immagini e costruire azioni.

    Sostenere una maggiore creatività e apertura mentale, recuperando l’entusiasmo in noi stessi, e nell’ambiente che ci circonda.

    Ma non solo: la motivazione, ora più che mai, deve creare un sistema unico che ingloba quello aziendale e quello di vita affinché si possa avanzare insieme, uniti ma separati, anche a distanza.

    Nella vita come in azienda vanno sviluppate capacità nuove e specifiche :

    • Maggiore creatività, entusiasmo e motivazione
    • Nuovi schemi mentali
    • Ampliamento capacità di osservazione
    • Trasformare le re-azioni in azioni consapevoli
    • Incremento capacità di lavorare in team

    Capacità che ci permettono di affiardci: a sé , agli altri , a quello che l’oggi ci propone e, con fiducia rafforzare le basi sulle quali costruiamo il domani, senza limiti e paure.

    “Pensa, credi, sogna e osa.” – Walt Disney

    Esercizio:

    Ti suggeriamo di approfondire questo tema, leggendo uno di questi libri:

    • Fiducia e sfiducia. Imparare dalle delusioni della vita” di Krishnananda e Amana
    • Sullamore e la solitudine” di Krishnamurti
    • Manuale del Guerriero della luce” di Paulo Coelho

    oppure guardando il film “I sogni segreti di Walter Mitty“.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

  • Il metodo

    Il potere dei Quattro: la via Lakota alla Leadership senza autorità

    Mi è piaciuto moltissimo Il libro di Joseph M. Marshall III dal titolo Il potere del quattroHo preso spunto da un modello, la società Lakota, popolo nativo americano, e dal suo concetto di leadership, senza in realtà che i Lakota conoscessero la parola “leadership”.

    Nella lettura si evince che è il carattere, e non la posizione occupata, che può trasformare in leader. Nella loro società, non esisteva né il concetto, né la “parola” autorità. 

    Un capo Lakota non poteva costringere nessuno a seguirlo.

    Non aveva neppure i social, poverino!

    Tutto si basava sul carattere e l’esperienza. La società lakota produsse alcuni dei capi più noti e ammirati della storia, come Cavallo Pazzo, Toro Seduto o Nuvola Rossa.

    Leggendo il libro mi è venuta voglia di confrontare il “Il potere del quattro” e la leadership senza autorità, basata su valori profondi e sulla capacità di ispirare gli altri. 

    Il testo si basa su quattro approcci filosofici, che partono dai concetti di  coraggio, saggezza, generosità e resilienza

    1. Coraggio (Bravery): Per Marshall si tratta del coraggio di essere autentici, di affrontare situazioni difficili e di agire secondo principi, anche quando non si ha l’autorità formale per farlo. Succede anche nella leadership senza autorità, dove il leader deve spesso fare scelte difficili e portare avanti idee, nonostante le resistenze, senza potersi appoggiare ad un potere gerarchico.

    Questo implica la capacità di affrontare critiche e fallimenti, motivando gli altri con il proprio esempio.

    1. Saggezza (Wisdom): La saggezza nel libro è intesa come la capacità di ascoltare, comprendere e apprendere dalle esperienze, proprie e altrui. Nella leadership senza autorità, la saggezza diventa la capacità di analizzare situazioni complesse, di comprendere i bisogni degli altri e di influenzarli con intuizioni profonde. La saggezza conferisce credibilità e rispetto. Un leader “saggio” riesce a guidare i team attraverso la sua visione e la capacità di vedere il quadro più ampio, piuttosto che imporre la propria volontà.
    2. Generosità (Generosity): La generosità nel contesto del libro è la capacità di dare senza aspettarsi nulla in cambio. Questo si manifesta nel supportare gli altri, condividere conoscenze e riconoscere il contributo altrui

    Nella leadership senza autorità, essere generosi con il proprio tempo, offrire mentoring e creare un ambiente in cui gli altri possano crescere è essenziale per costruire fiducia e rapporti di reciprocità.

    Offrendo disponibilità e supporto disinteressato, i leader guadagnano la fiducia e l’ammirazione del team, creando una base solida per una leadership duratura.

    1. Resilienza (Fortitude): La resilienza è la capacità di rimanere saldi di fronte alle avversità e ai fallimenti. Ma anche la capacità di accettare il cambiamento e di continuare a crescere nonostante le difficoltà

    Un leader senza autorità deve essere resiliente per affrontare situazioni in cui le proprie idee possono essere messe in discussione, o non si riceve immediatamente il sostegno del gruppo.. 

    Cosa accomuna il “Potere dei quattro” alla leadership senza autorità?

    Entrambi mettono l’accento su una leadership che nasce dai valori personali e non dall’autorità formale. Un leader senza autorità, così come descritto da Marshall, ispira gli altri non perché può imporre il proprio volere, ma perché dimostra di essere coerente con i propri valori.

    Ecco i punti principali:

    1. Un leader senza autorità influenza attraverso l’esempio, dimostrando le proprie qualità nelle azioni quotidiane. La leadership non si esercita dall’alto, ma emerge dal comportamento.
    2. Crea relazioni e fiducia. Sia “Il potere del quattro” sia la leadership senza autorità vedono la fiducia come fondamento della capacità di influenzare. Senza fiducia, non si può esercitare alcun tipo di leadership, specialmente se manca il potere formale.
    3. La capacità di ascoltare e comprendere il punto di vista degli altri è centrale in entrambi i contesti. La leadership senza autorità si manifesta soprattutto nella capacità di coinvolgere gli altri e di farli sentire parte del processo decisionale.

    Quali differenze tra il “Potere dei Quattro” e la leadership senza autorità?

    1. Il contesto ambientale e culturale: “Il potere del quattro” si basa sui principi della saggezza Lakota, che sono profondamente radicati in una cultura che valorizza l’equilibrio e l’armonia con la natura e con la comunità. La leadership senza autorità, invece, è spesso applicata ai nostri contesti aziendali moderni, dove le dinamiche sono influenzate da fattori economici e strategici.
    2. Il contesto applicativo: Il libro di Marshall è più orientato alla crescita personale e alla leadership in un senso ampio, che include comunità, famiglia e relazioni. La leadership senza autorità è spesso discussa in azienda, con focus sulla gestione del team, progetti e obiettivi professionali. Di fatto un leader senza autorità emerge come guida non solo sul posto di lavoro, ma anche nelle interazioni quotidiane, mostrando coerenza tra comportamento, valori e pensieri. La leadership è quindi uno stile di vita, in cui le persone sono da ispirare con l’esempio e non con titoli.

    Ne “Il potere del quattro” la leadership è intesa come servizio, come volontà di mettere le proprie capacità al servizio della comunità, aiutando gli altri a raggiungere i loro obiettivi. Questo è un principio maieutico che non cerca il controllo o la gloria personale, ma si concentra sulla crescita  dei collaboratori e sul bene comune.

    Un altro aspetto affascinante è la ricerca costante tra azione e riflessione, evitando di reagire impulsivamente alle situazioni. 

    Questo implica una buona capacità di imparare a separare l’osservato dall’osservatore: esiste il leader ed esistono i suoi pensieri, comportamenti, ecc. Il leader non è né i suoi pensieri, né i suoi comportamenti, ma molto di più. 

    Il processo di disidentificazione dovrebbe permettere al leader di essere in grado di fermarsi, analizzare e poi agire. Un leader senza autorità che bilancia azione e riflessione evita decisioni affrettate e può quindi costruire una narrativa solida e coerente. Questo atteggiamento permette al team di apprezzare la profondità del pensiero del leader, vedendolo come un punto di riferimento.

    Riassumo qui i 4 approcci filosofici che sono alla base di quanto esposto finora:

    1. Conosci te stesso

    Lo troviamo sul frontone del tempio di Apollo a Delfi l’oracolo che rivolgeva all’uomo di allora l’invito a indagare dentro di sé, per scoprire che l’essenza della nostra vita è dentro, non al di fuori di noi. Così Socrate, che sulla conoscenza di se stesso costruirà uno dei cardini del suo pensiero. Lo stesso Sun Tzu ne L’arte della guerra narra “Se non conosci né il nemico, né te stesso, ogni battaglia significherà per te sconfitta certa. Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari a quelle di sconfitta. Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo.” 

    Il meglio che ciascuno di noi può fare è affrontare la vita con tutte le sue forze e le sue debolezze. Per farlo dobbiamo essere assolutamente sinceri con noi stessi riguardo a entrambe.

    Ogni azione dissipa energia, ogni pensiero costa fatica, è quindi necessario cercare un’armonia tra lo sforzo e l’obiettivo, al fine di ordinare i mezzi nel modo migliore. 

    Per fare questo, occorre conoscere bene se stessi e il “nemico”, perché solo a queste condizioni potremo operare nell’ottica di “capitalizzare” ogni nostro vantaggio. Per fare tutto ciò ci vuole realismo costruttivo, in cui la nostra mente deve tendere per giungere al massimo vantaggio, il solo scopo per cui valga la pena imbarcarsi in uno scontro, quale che sia.

    Con il passare del tempo dovremmo diventare sempre più capaci di affrontare le sfide della vita: la consapevolezza di sé dovrebbe essere una continua disciplina. 

    Mai, nella nostra vita personale o professionale, arriveremo al punto di avere imparato tutto. 

    Questo è sintetizzato dal pensiero Lakota: un uomo smetteva di migliorare la sua esperienza con l’arco solo il giorno in cui moriva

    Lo stesso Omraam Mikhaël Aïvanhov in “Conosci te stesso” racchiude in questa frase tutta la scienza e tutta la saggezza: conoscersi, ritrovarsi, realizzare la fusione tra il Sé superiore e il Sé inferiore. 

    Conoscersi equivale a possedere la scienza dei diversi corpi di cui si compone l’uomo (il corpo fisico, eterico, astrale, mentale, causale, spirituale, coscienziale) e delle condizioni indispensabili al loro sviluppo”.

    E’ un viaggio per scoprire quello che siamo e le mille sfaccettature che nascondiamo dentro noi stessi, per vivere con consapevolezza le nostre emozioni e il nostro “io” pulsante. 

    Un percorso per scavare dentro di noi, “giocare” con i nostri pregi e difetti, diventando coscienti che questi fanno parte del nostro essere, più forti e consapevoli. Camminare mano nella mano con le nostre paure e i nostri pensieri imparando ad osservarli e a non giudicarli. 

    Quando siamo consapevoli di quello che realmente siamo potremo affacciarci al mondo e agli altri e scoprire quanto la realtà intorno a noi sia uno specchio delle nostre volontà, paure ecc.

    Come possiamo iniziare a conoscere meglio noi stessi?

    Quali sono le cose che sai fare bene senza averle imparate?

    Quali sono le qualità che ti descrivono?

    2. Conosci i tuoi amici

    I leader non possono fare niente da soli. Creiamo le nostre alleanze per aiutarci a vicenda nei momenti difficili e nelle situazioni più irte di ostacoli. Stando vicino agli amici nei momenti difficili, dimostriamo loro che possono fidarsi di noi, e ciò dovrebbe garantirci che saranno al nostro fianco quando saremo noi ad avere bisogno di loro. 

    Lo scrittore Robert Greenleaf già nel 1970 coniò il termine “servant leader” In genere, nel business, i leader seguono gli interessi degli azionisti (Shareholder), mentre un servant leader si concentra sulle persone.

    Le relazioni sono l’ingrediente fondamentale, la scuola dell’obbligo della nostra crescita: possiamo non essere interessati ad un percorso di crescita personale, ma le relazioni coinvolgono tutti, nessuno escluso.

    Mettersi a servizio della relazione, significa sviluppare strategia, visione e trasformazione, ma significa anche entrare nella relazione come espansione e nutrimento di Sé, osservare gli altri come opportunità. 

    Essere leader significa osservare gli altri e le relazioni come opportunità di incontrare parti di Sé.

    Questo viene molto facile quando le relazioni funzionano ed, in tal caso, l’invito è di amplificare questo aspetto, ma ci risulta più complesso quando ci sono delle resistenze.

    L’altro è sempre un potenziale interiore che io non ho ancora attivato.

    Ci vuole sicuramente un forte spirito di osservazione per affermare che l’altro è uno specchio di Sé. 

    Un conto dirlo a parole e un conto è incarnare questo aspetto tutti i giorni. Ma l’osservazione non basta, ci vogliono anche strumenti di trasformazione. Riconoscere nell’altro uno specchio significa essere responsabile di tutto ciò che avviene “là fuori”.

    Andiamo oltre la separazione con cui siamo stati educati (bene e male, io e gli altri, ecc ). Andiamo oltre le nostre credenze che hanno creato l’altro. Come dice Gandhi le nostre credenze creano il nostro destino: io non creo l’altro, ma creo il fatto che l’altro si esprima con me  in quel modo, che io attivi in lui quel comportamento e che lui attivi in me quell’archetipo.

    Raramente vediamo le persone per come sono, vediamo l’archetipo che queste attivano in noi. Prendiamo per esempio il concetto di maschio e femmina. Ci sono persone che hanno difficoltà a relazionarsi con il maschile o viceversa, perché attivano l’archetipo mamma o papà, l’archetipo autorità, o maestro di scuole ecc.

    L ’altro attiva in noi  sempre qualcosa che nel nostro subconscio c’è già e, grazie a questa attivazione, lo fa emergere. 

    Irene Menis, laureata in fisica, ha lavorato per oltre 12 anni nell’esplorazione spaziale, oggi International Certified PSYCH-K® and PER-K® Instructor, definisce 3 tipi di specchio:

    1. La persona mi mette in difficoltà perché fa, si comporta, dice, pensa o si permette qualcosa che mi è stato impedito di fare da piccolo. Esempio da adulto mi danno fastidio le persone che parlano a voce alta, perche’ i miei genitori mi rimproveravano sempre se alzavo il tono di voce.
    2. le cose che mi impedisco di fare da grande. Vorrei prendermi una settimana di vacanza e andarmene via da solo, ma non ho il coraggio di farlo per vari motivi e provo un sentimento di sottile invidia per chi è in grado di farlo. La relazione ci rivela quella parte di noi potenziale a cui da adulti non diamo il permesso di vivere. E’ un’area fuori dalla nostra zona di comfort dove vorremmo andare, ma non ci riusciamo. 
    1. Mi da fastidio delle altre persone le stesse cose che io faccio, ma di cui non mi accorgo. Questo è lo specchio più difficile da riconoscere. Esempio: mi danno fastidio le persone ritardatarie e anch’io sono ritardataria, ma non vorrei esserlo. Sono cose non così ovvie, perché sono al di sotto della consapevolezza conscia. La mente conscia a volte non se ne accorge, fino a quando la sfida, il disagio della relazione diventa non tollerabile.

    A volte ci lamentiamo perché il collaboratore non ci rispetta. Tu ti rispetti? Rispetti i tuoi bisogni?

    Hai mai sentito parlare della legge dello specchio? 

    3) Conosci i tuoi nemici

    Viviamo in un mondo in cui dobbiamo affrontare continue minacce, a livello individuale e collettivo. Il folklore dei Lakota è pieno di storie di battaglie. L’odio e l’etnocentrismo erano spesso altissimi, ma i Lakota avevano anche rispetto per i loro nemici, un rispetto che derivava da una profonda conoscenza: benché fossero separate da grandi distanze e da lingue diverse, le tribù conoscevano i reciproci valori culturali, le forze e le debolezze militari. La conoscenza del nemico era parte integrante della difesa. Ciò forniva utili informazioni: le armi di cui disponeva, le passate vittorie o sconfitte, le abilità e le abitudini tattiche, il valore nel combattimento e così via. Conoscere il nemico aumentava sensibilmente le probabilità di vittoria. 

    Ogni relazione può essere sana, o ancora meglio io posso essere sana/o in ogni relazione.

    Io non vedo l’altro per come è, ma io vedo l’altro per come io lo percepisco dal mio sistema di credenze. 

    Di questo non dobbiamo mai avere dubbi. 

    Provare a cambiare i nostri sistemi percettivi, le nostre credenze, i nostri paradigmi in modo da stare bene noi. L’altro, il nemico, si comporta così non per farmi dispetto, ma perché lui agisce dal suo sistema di credenze. Quindi agisce perché è veramente il massimo che è capace, che riesce a fare. Nel suo sistema di credenze non è capace di fare meglio e quello è davvero il massimo, oppure peggio ha paura di quella situazione e quindi va in protezione.

    Cambiare per me significa modificare il nostro paradigma e cioè, non cambiamo perché non andiamo bene o perché dobbiamo farci andar bene il nostro capo, ma cambiamo perché andiamo già benissimo così e possiamo ancora migliorare. Ecco perché le relazioni sono una grande opportunità. 

    C’è qualcuno e qualcosa che in questo periodo ti urta particolarmente? 

    Prova ad osservare meglio quel qualcuno e quella situazione, cosa dice di te? 

    4) Dai l’esempio

    Quando l’altro vede che siamo disponibili a cambiare, per la legge dello specchio di cui sopra, anche lui sarà più disponibile a cambiare. In una relazione in cui entrambi si è disponibili a cambiare rispettando la propria natura, c’è crescita. 

    Noi possiamo solo trasformare le credenze subconscie che ci impediscono di essere la migliore espressione di noi stessi e non i per adeguarci  alle aspettative di un altro. 

    Possiamo solo diventare sempre più noi stessi. 

    Ed è un posto comodissimo dove stare

    Se non sei te stesso spendi il 50% del tuo tempo ad essere come qualcuno ti vuole e l’altro 50% a cercare di essere come gli altri non ti vogliono.

    E quindi quando hai il tempo di vivere la tua vita?

    I Lakota davano il loro esempio con un approccio molto semplice e elegante:

    Per ‘portare la giubba’ dovete essere al di sopra degli altri. Dovete aiutare gli altri prima di pensare a voi stessi. Aiutare le vedove e le persone che hanno scarsità di cibo e di vestiti, e che non hanno nessuno che parli per loro. Non guardate dall’alto in basso gli altri e non prestate attenzione a chi guarda dall’alto in basso voi, e non lasciate che la rabbia guidi la vostra mente o il vostro cuore. Siate generosi, siate saggi e dimostrate fermezza, affinché la gente segua quello che fate e quello che dite. Soprattutto, abbiate coraggio e siate i primi a caricare il nemico, perché è meglio giacere come un guerriero nudo nella morte che essere riccamente vestiti ma con dentro un cuore d’acqua”.

    Condivido, concludendo, 3 note case study aziendali che illustrano la leadership senza autorità in cui ho ritrovato alcuni principi cari ai Lakota

    1. Progetto Manhattan

    Il Progetto Manhattan, nonostante fosse formalmente organizzato con una struttura gerarchica, ha visto emergere molte figure di leadership senza autorità ufficiale: il fisico Richard Feynman era uno dei membri più giovani e non aveva alcuna autorità formale, ma grazie alla sua competenza, curiosità e capacità di innovare, è riuscito a guidare varie iniziative e a influenzare il corso del progetto. Anche il suo approccio non convenzionale alla risoluzione dei problemi ha motivato i suoi colleghi a pensare fuori dagli schemi.

    Punti chiave della leadership senza autorità:

    • Utilizzo delle competenze e dell’innovazione per guidare il team.
    • Capacità di influenzare colleghi e superiori grazie alla visione tecnica.

    2. “No Boss” in WL Gore & Associates

    WL Gore, azienda famosa per i tessuti Gore-Tex, ha implementato una struttura aziendale priva di gerarchie tradizionali. Non esistono manager formali e l’intera organizzazione si basa su gruppi di persone che collaborano su progetti specifici. I leader emergono naturalmente in base alle competenze e alla capacità di ispirare e motivare il gruppo. Le decisioni vengono prese con il consenso e i leader devono ottenere il supporto volontario del team.

    Punti chiave:

    • Leadership emergente, in base al valore aggiunto che si apporta.
    • Cultura basata sulla collaborazione e sulla fiducia reciproca.

    3. Zappos e l’Holacracy

    Zappos, l’azienda di e-commerce, ha adottato una struttura organizzativa chiamata “Holacracy”, dove l’autorità è distribuita in “cerchi” e non ci sono manager tradizionali.

    I dipendenti sono incoraggiati a ricoprire diversi ruoli e a guidare iniziative anche senza titoli formali. Le decisioni vengono prese attraverso un processo di consenso e i ruoli di leadership sono temporanei e flessibili, emergendo in base alle necessità del progetto e alle competenze.

    Punti chiave:

    • Leadership basata sulla flessibilità dei ruoli e sul consenso.
    • Ambiente in cui i dipendenti sono liberi di guidare e proporre iniziative senza barriere gerarchiche.

    Il futuro della leadership senza autorità sarà caratterizzato da una crescente rilevanza e diffusione, che richiama in tutti noi un nuovo  sguardo verso noi stessi e gli altri.

    Noi ci proviamo sin da subito con un’opportunità “out of the box” in merito a quanto descritto in questo articolo: ti aspettiamo dall’8 al 10 novembre al Retreat Libera-mente, un week end esperienziale tra le colline del Monferrato, per sperimentare insieme tecniche e pratiche per allentare il rimuginio mentale, l’overthinking costante e ritrovare il tuo centro e il tuo benessere fisico, mentale e energetico, aprendoti a idee e intuizioni attraverso la creatività.

    Il Retreat è quasi sold out, per info, programma e iscrizioni scrivici a info@myhara.it

  • Il metodo

    A braccetto con la paura in azienda. Vincerla non serve a niente.

    Vincere la paura in azienda o attraversarla?

    Noi si tratta solo di termini linguistici, ma di approccio alla paura.

    • Quale parte di noi ha paura?
    • Cosa fai quando hai paura in azienda?
    • A cosa ti serve avere paura?

    La paura è unemozione primaria, presente da sempre sia nel genere umano che nel regno animale. Come tutte le emozioni, la paura ha una funzione adattiva, protegge l’individuo di fronte a un pericolo o a una minaccia (reale o immaginaria che sia) ed è preziosissima sin dai primi anni di vita. Essa è tra le emozioni una delle più antiche.

    Assolve a fondamentali funzioni evolutive e senza tale meccanismo metteremmo continuamente a rischio la nostra incolumità. Il nostro “sistema organismo” attribuisce una importanza gerarchica fondamentale a questa emozione perché legata alla nostra sicurezza e sopravvivenza. L’evoluzione ha predisposto il sistema nervoso umano in modo tale che una forte paura abbia la precedenza su qualsiasi altra cosa nella mente e nel corpo. L’organismo di fronte ad un evento minacciante reagisce con comportamenti che l’essere umano ha in comune con numerosi altri animali. 

    Fiutare il pericolo, allertare l’attenzione, esaminare la situazione bloccare ogni altra attività.

    Ecco perché non ha senso vincere la paura, gestire la paura, ecc.

    E’ più vantaggioso invece cercare di viverla in maniera appropriata ed il primo passo da fare è accettarla. Accettare non ha nulla a che fare con la rassegnazione.

    Eckart Tolle scrive:

    “È la nostra mente a causare i nostri problemi, non le altre persone, non “il mondo esterno”. È la nostra mente, con il suo flusso di pensieri pressoché costante, che pensa al passato e si preoccupa del futuro. Noi commettiamo il grave errore d’identificarci con la nostra mente, pensando che questa sia la nostra identità, mentre in realtà noi siamo esseri ben più grandi.”

    Cosa succede quando abbiamo paura in azienda e nella vita?

    Facciamo l’esempio di quando stiamo camminando in un bosco e a un certo punto ci sembra di scorgere nelle vicinanze un animale pericoloso. Già prima di iniziare a correre il cervello ha avvertito il pericolo. L’immediata attivazione del sistema nervoso autonomo e il successivo rilascio di adrenalina determinano una reazione definita di attacco o fuga, a cui sono collegati una serie di cambiamenti fisiologici:

    • incremento della quantità di ossigeno disponibile per i muscoli;
    • aumento del ritmo cardiaco e della pressione sanguigna;
    • aumento della sudorazione;
    • blocco della digestione, bocca secca e nodo allo stomaco;
    • rallentamento del sistema immunitario.

    Oltre alla fuga, in una situazione di pericolo sono possibili altri due tipi di reazioni naturali: il freezing e il faint

    Freezing sta per “congelamento”. L’essere vivente si nasconde dal predatore e si immobilizza mentre valuta l’azione più adatta da intraprendere. 

    Faint sta per la “finta morte”, una condizione di irrigidimento totale del corpo. 

    Il faint sembra verificarsi nelle situazioni in cui non si riesce a trovare una via di fuga o una strategia difensiva utile. È molto frequente nel regno animale, poiché i predatori preferiscono le prede vive a quelle morte, la cui carne potrebbe essere in putrefazione.

    Nell’essere umano la paura spesso si manifesta come faint per cui c’è una riduzione del tono muscolare e il distacco dall’esperienza e dalla realtà

    La paura è un’importante funzione dell’organismo, ma a volte può diventare eccessiva e condizionare negativamente la nostra vita.

    Spesso, soprattutto in azienda, nel parlare utilizziamo i termini ansia e paura allo stesso modo. 

    L’ansia e la paura in azienda possono essere considerate come due tonalità di uno stesso colore: hanno in comune la percezione di una minaccia o di un danno futuro (reale o potenziale). La principale differenza consiste nell’oggetto della minaccia. 

    Per la paura è specifico e concreto, mentre per l’ansia risulta generalmente meno definito, inoltre è presente l’incertezza sul da farsi, a causa della maggiore indefinitezza dell’oggetto/situazione da affrontare.

    Ma ciò che fa la differenza non è né l’agente esterno, né l’emozione stessa.

    L’emozione di per sé è neutra. Ciò che cambia è la narrazione che facciamo di quella emozione.

    La narrazione va a toccare uno dei 4 temi esistenziali del genere umano: conoscenza, appartenenza, sopravvivenza e autorealizzazione.

    La paura in azienda può essere attraente

    Se da un lato il nostro istinto ci suggerisce di stare alla larga dai pericoli, dall’altro gli stimoli di paura possono anche risultare attraenti, perché sono in grado di aumentare i livelli di adrenalina e di generare una sensazione di “brivido”. Non è raro osservare comportamenti a rischio tra alcuni manager work alcholic i quali sono spinti dal desiderio di sperimentare emozioni forti, superare i limiti, sfidarsi e confrontarsi con se stessi per sentirsi importanti e più riconosciuti.

    E così c’è proprio chi per natura, se non c’è adrenalina in tutto quello che fa, c’è noia.

    E quella noia fa paura sentirla. 

    Ecco allora che torniamo al tema della paura, come regina delle nostre emozioni.

    Noi agiamo o non agiamo per paura.

    Così anche in azienda.

    Proviamo a comprendere meglio come interagisce la nostra mente con l’emozione della paura in azienda e nella vita.

    Tutte le volte che i nostri 2 emisferi (destro e sinistro) non sono in integrazione, noi siamo nella paura.

    Se sono nella paura sono o in freezing o in faint e so che ho delle risorse che non sto utilizzando o che non utilizzo come potrei.

    L’emisfero destro mi aiuta a vedere la paura nella sua immagine completa (è il cervello poetico) l’emisfero sinistro mi aiuta a vedere il dettaglio (è il cervello intellettuale). Avete presente quel gioco della settimana enigmistica dove bisogna unire tutti i puntini per vedere l’immagine?

    Ecco l’emisfero sinistro vede i puntini, quello destro l’immagine.

    Ho un intervento da fare in pubblico, sono preparata, so tutto, l’emisfero sinistro sa tutto, quando sono davanti a tutti pronta per parlare in pubblico, l’emisfero destro va in tilt.

    Il nostro cervello è un hardware, ma noi siamo molto di più dell’hardware, siamo anche il software (le emozioni) ma ben oltre anche il nostro software.

    Il cervello lo possiamo definire e la scienza oggi sempre più ci aiuta, ma la mente è un campo.

    Il cervello è l’organo che abbiamo nel cranio ma la mente è un campo che abbiamo ovunque.

    Come affrontare la paura in azienda?

    Con la collaborazione della nostra mente.

    Immaginiamo la nostra mente come un capitano che guida il suo veliero.

    • La mente conscia (il capitano) corrisponde alla nostra personalità, la nostra parte egoica. E’ volitiva, stabilisce questo o quell’obiettivo, giudica i risultati, prende le decisioni. E’ legata al tempo (il dramma del passato influenza presente e futuro) Ha una capacità limitata di elaborazione. La memoria è a breve termine (20 sec.) da 1 a 3 eventi contemporaneamente ed elabora 40 bit informazioni al secondo. Corrisponde al 5% della punta dell’iceberg che manifestiamo.
    • La mente subconscia (il veliero sulla quale sta il capitano) Molti pensano che il subconscio ci faccia fallire. E’ invece il più grande amico che possiamo avere. Dobbiamo solo dirgli dove andare. Monitora la quantità di corrente che dal cervello va ai muscoli. Pensa in modo letterale. E’ abitudinario, non vuole il cambiamento. Percepisce la realtà attraverso i sensi. Non è legato al tempo, vive solo unicamente nel presente (un successo di 30 anni fa o di oggi per il subconscio è lo stesso). Non giudica, esegue. Ha una capacità elevata di elaborazione. Può gestire migliaia di eventi in contemporanea. Processa 40 milioni di bit al secondo.
    • La mente superconscia è il vento che soffia nelle vele e che ci porta nella direzione giusta se lo ascoltiamo. Sa tutto di noi. Vede il grande obiettivo della nostra vita. Sa perché siamo qua. Qualcuno lo identifica come sé superiore, Dio, Anima, Vita. Il primo a parlare di superconscio è stato Roberto Assaggioli, padre della psicosintesi.

    Se questi tre livelli della mente sono in armonia riusciamo ad accogliere l’emozione della paura.

    Abbiamo il meraviglioso compito di entrare in contatto con questo vento, alla guida del nostro timone per navigare nel mare delle credenze potenzianti e depotenzianti rispetto alla narrazione che ci facciamo dell’emozione della paura.

    La paura è un messaggio.

    • Cosa ci sta dicendo?
    • Dove la riconosco nel mio corpo? spalle, schiena, stomaco?

    Ecco alcuni punti su cui provare ad allenarsi in autonomia per tenere a bada la paura:

    • Ridurre le condotte di evitamento e allenarsi ad affrontare le situazioni temute a piccole dosi, prima programmando esposizioni a stimoli che generano meno paura, poi a quelle man mano più spaventose. 
    • Immaginare lo scenario peggiore, in modo da prepararsi al peggio ma al tempo stesso osservando come la realtà è meno dura di come la si era immaginata. Chiudi gli occhi ed entra in contatto con il tuo worst case: prova a immaginare proprio la peggior situazione che ti potrebbe capitare, riempi l’immagine di dettagli, come se tu fossi già lì al momento presente.
    • Imparare a non giudicarsi troppo severamente per le proprie paure. Avere paura è umano. Non è utile riempire la mente di giudizi inutili. Meglio prendere contatto con le proprie qualità personali che possono aiutare ad affrontare quei timori. Quando è stata l’ultima volta che hai avuto paura e che ne sei uscito, perché altrimenti non saresti qui a leggere questo articolo. Cosa ti ha aiutato in quel momento? Richiama quell’emozione e sentila nel corpo fisico. Come ti sei sentito?
    • Chiedere aiuto, condividere le proprie paure con le persone fidate. Chiedere aiuto infatti può essere un modo per cominciare ad affrontare con coraggio ciò che si teme.  Dichiarare la propria fragilità e vulnerabilità è un atto di forza, apre lo spazio di una maggiore connessione reale con i tuoi collaboratori, apre anche lo spazio sicuramente alla possibilità di essere attaccato, ma quanto ti costa mantenere sempre in piedi la corazza? Molto di più ed oltretutto ti allontana da te stesso prima di tutto e dagli altri. 

    Ricordiamoci che il subconscio non vuole il cambiamento, perché per il subconscio non esiste il bello e il brutto, giusto e sbagliato: esistono solo le emozioni che lui ha archiviato e che ti ripropone ogni volta come una tavola imbandita.

    Sta a noi, capitani del veliero cambiare la rotta, se siamo in grado di metterci veramente in ascolto del nostro superconscio.

    Perché allora andremo avanti spediti sapendo che anche quella paura è perfetta per noi!

    Tuttavia ci sono 4 elementi che aiutano ad accettare e ad attraversare la paura in azienda: la fiducia, la relazione di cura, il trasformare il bisogno del lavoro in un valore e la capacità di creare attorno a questo valore un ambiente protettivo dove si possa esprimere una propria libertà responsabile. In breve creare un ambiente dove non si ha paura di accettare la paura. Se si accetta la paura, la si accoglie e la si trasforma in potenzialità, la paura in azienda diventa coraggio, (cor -actum=azione del cuore). E allora il nostro superconscio (il vento) può soffiare pienamente con noi che timoniamo il nostro veliero da esperti naviganti.

    Andare a braccetto con la paura in azienda praticando la mindfulness

    La mindfulness è uno strumento efficace per riportare equilibrio e pace nella vostra vita quotidiana.Lo studio delle aree del cervello coinvolte durante la mindfulness avviene tramite neuroimmagini, (rappresentazioni del sistema nervoso centrale) ottenute mediante: 

    • Tomografia Computerizzata (TC), 
    • Risonanza Magnetica (RM), 
    • Tomografia ad Emissione di Positroni (PET). 

    La TC e la RM forniscono immagini statiche delle strutture cerebrali,la PET immagini dinamiche in base al consumo di ossigeno e di glucosio. In questo modo è possibile evidenziare quali strutture si attivano in una determinata attività e misurare cambiamenti anatomo-funzionali del cervello. L’amigdala è la parte del nostro cervello sede della risposta “attacca o fuggi” e delle emozioni di paura e ansia. Diversi studi dimostrano che grazie alla pratica mindfulness, l’amigdala si riduce di spessore e le connessioni funzionali tra amigdala e corteccia pre-frontale si indeboliscono. Questo porta ad una minore reattività e crea le basi per il rafforzamento delle connessioni tra aree cerebrali associate a funzioni superiori, ad esempio attenzione e concentrazione.

    Si abbassa così la soglia della paura, non tanto perché diminuiscono le condizioni esterne che provocano paura, sono in realtà meno attive le aree dedicate alla memoria e alle emozioni. La Mindfulness contribuisce alla riduzione della connettività associata a queste 2 aree. Esiste un collegamento tra paura e ricordi della paura. Quando proviamo proviamo, ne creiamo un ricordo. La volta in cui proviamo la stessa paura, i nostri ricordi della paura possono farci sentire ancora peggio e metterci in uno stato di freezing o faint.

    Esercizio:

    Dove vanno i tuoi pensieri quando sei nella paura 

    Lasciar scorrere i pensieri, senza andar loro dietro, iniziando a dialogarci, e restare con l’attenzione sul respiro, per circa 15-20 minuti al giorno, salverebbe dallo stress un buon 70% della popolazione mondiale

    Praticare l’attenzione al respiro, ci connette con una parte profonda e saggia da cui arriva ciò che ci serve, nei vari adesso della nostra vita.

    Restare in meditazione con l’attenzione al respiro, ci permette di guardare i pensieri come fossero didascalie di un film, ricordandoci spesso che i pensieri non sono eventi “reali”, non stanno davvero accadendo, sono come una telenovela! La nostra realtà è un’altra!

    E’ quella di essere qui, seduti, con gli occhi chiusi, attenti al respiro e al corpo.

    E’ da questo spazio che si può chiedere cosa è più sano per noi fare, dire, non fare… Se si cerca una risposta, non serve rimuginare in uno stato di semi-ipnosi, serve svegliarci. E per svegliarci bisogna essere presenti, vigili, attenti.

    Se sei interessato ad approfondire questo tema, o sei alla ricerca di un supporto, puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile.

    Simona Santiani 3387438166 – info@myhara.it

  • Il metodo

    La bellezza dell’incertezza del futuro

    Perché la nostra mente, prima di compiere qualsiasi azione, cerca di vagliare il maggior numero di possibilità?

    «La vita si vive nell’incertezza, per quanto ci si sforzi del contrario. […] nessuna [decisione] sarà esente da rischi e assicurata contro insuccesso e rimpianti tardivi. » (Zygmunt Bauman, L’arte della vita, 2008)

    Spesso da bambina avevo la sensazione di andare in una direzione ben precisa, come se stessi seguendo una linea invisibile. Il senso di incertezza non mi apparteneva, come probabilmente all’inizio non appartiene a nessun bambino. 

    Ho sempre sentito che il nuovo era in qualche modo predestinato e, il più delle volte, ero certa che qualsiasi cosa avessi fatto o vissuto sarebbe stata sempre la cosa giusta.

    Grazie a questa certezza dell’incerto mi sono spesso permessa di osare, a volte anche troppo. 

    Lungo il percorso della mia vita ho compreso che le persone che ho conosciuto, i libri che ho  letto, i partner che ho avuto, i cambiamenti di lavoro che ho fatto mi hanno aiutato a compiere il prossimo passo.

    Grazie al lavoro di crescita personale, che con passione perseguo dall’età di 18 anni, ho compreso di voler sempre seguire la via più giusta per me con un’innata certezza.

    Tuttavia tutte le volte che questa, veniva o viene a mancare, mi è sempre capitato di essere aiutata – a volte anche strattonata – da situazioni, persone, eventi  che velocemente mi fanno e mi hanno sempre fatto  tornare in me per riprendere la direzione giusta per me. Questo oggi lo definisco il sano egoismo vitale: quello che ci permette di “darci” di “metterci a servizio” in pienezza e nutrite per poterci aprire allo scambio senza essere prosciugati.

    A causa di questo “direzionamento”, molte volte mi sono ritrovata a far fatica a capire chi mi diceva: “ho provato a fare questo lavoro, ma ho solo perso tempo” oppure “ho frequentato questo corso – o – ho seguito questo personaggio, ma ho deviato il mio percorso”.

    Con questa certezza dell’incertezza ho sempre seguito la linea insondabile che mi ha portato – e sempre mi porterà – dove devo essere, in ogni momento e situazione.

    Questa traccia intensa non è sempre stata piacevole: a volte è stato più facile seguirla, altre volte molto dolorosa e straziante. 

    Ma, avendo avuto un’educazione dove il motto di mio padre era “Non mollare mai”, non mi sono mai tirata indietro e ho sempre accettato le conseguenze e gli effetti collaterali dei diversi vissuti.

    Il risultato di tutto ciò è che non mi sono mai pentita di quello che la vita mi ha sempre generosamente e abbondantemente dato. Mi sono sempre sentita, una ragazza prima e una donna poi, fortunata.

    È un dono che mi sono costruita con una ferma intenzione: voglio essere viva ad ogni istante!I Non importa se sto bene o male, ma voglio vivere davvero questa vita. Costi quel che costi!

    È la scelta più dolorosa e liberatoria che abbia mai fatto.

    Dall’incertezza del futuro non si può scappare

    Paradossalmente questa sembra essere l’unica certezza che si ha su di essa. 

    I nostri mezzi ‒ che sono il pensiero, la parola, le azioni ‒ non appaiono fino ad ora strumenti sufficienti a togliere l’incertezza della nostra vita.

    Dobbiamo prendere atto del fatto che l’incertezza del futuro, come la contraddizione, sono parte della nostra natura e, solo in questo modo, potremmo rendere i nostri passi meno pesanti, meno turbati da queste compagne di vita.

    L’incertezza però ha sempre una feritoia di luce che taglia il buio: altrimenti sarebbe disperazione. 

    Quella luce ci rivela l’esistenza delle possibilità ma anche ci rivela quanto è in divenire quello che abbiamo di fronte a noi

    Non sappiamo mai in che direzione volgeranno le cose.

    Quanto conta  l’energia personale nell’incertezza del futuro?

    È in questo momento che l’umore e la nostra energia fanno la differenza. 

    Se il nostro umore è basso stentiamo a sopportare l’incertezza e preferiamo lamentarci di quello che accadrà. 

    Se il nostro umore è alto ci metteremo nella luce e decideremo che andrà tutto bene. 

    L’incertezza è una fatica perché ci mette di fronte al fatto di non sapere come andrà a finire. Ci permette, come dice Emily Dickinson, di abitare la casa delle possibilità.

    Vivere è una forma di incertezza, non sappiamo cosa verrà dopo e come. Nel momento in cui conosciamo già cosa succederà dopo è come se cominciassimo a morire un po’. 

    Un artista non sa mai esattamente cosa sta facendo un po’. Lo supponiamo ma il vero salto lo facciamo dopo aver fatto un passo nel buio. (Pema Chodron)

    La paura dell’incertezza del futuro

    Vivere nella perenne incertezza ci fa invadere dalla paura. 

    Paura di perdere la possibilità di sostenersi economicamente, paura di non poter proteggere economicamente la famiglia che abbiamo creato, o di non poter costruire un futuro. Stati d’animo che stagnano dentro ogni lavoratore precario e non precario. 

    La vita organizzativa è apparentemente sempre meno priva di certezze. 

    Cosa faremo tra cinque anni? Quale sarà il responsabile fra due anni o fra sei mesi ? Con quale team ci confronteremo  fra un anno? Domande senza risposta che alimentano l’incertezza nel futuro.

    La preoccupazione di non sapere se sarai licenziato, se sarai in grado di pagare le tue bollette e se hai ancora un futuro all’interno di un’organizzazione, è ovviamente molto stressante.

    Più le persone si preoccupano di perdere il lavoro, più basso è il loro benessere e più si rilevano problemi di salute.

    La preoccupazione di perdere il proprio lavoro non motiva, anzi in genere porta a prestazioni peggiori sul lavoro.

    Ci piace avere il controllo su tutto ciò che succede, però non tutto dipende da noi. Il futuro è incerto e, di conseguenza, proviamo disagio, ansia, paura, frustrazione e impotenza.

    Per coloro che quotidianamente sono costretti a convivere con disturbi psicologici quali la depressione e l’ansia, sopravvivere all’incertezza potrebbe rivelarsi un ostacolo davvero insormontabile.

    Cosa possiamo fare per imparare a convivere con l’incertezza del futuro?

    1. Capisci che la certezza non esiste.

    La nostra vita è in continuo cambiamento e l’unica certezza che abbiamo è probabilmente che non esistono certezze. Pensare di potere controllare ciò che ci accade è illusorio. Volere gestire e controllare tutto impedisce di comprendere che l’incertezza nel futuro è parte integrante delle nostre vite e come tale va accettata.

    2. Accetta l’incertezza.

    Non possiamo sapere cosa ci riserva il futuro: per questo, invece di lottare contro l’insicurezza è preferibile osservarla, riconoscerla ed accettarla.

    3. Vivi il presente.

    Non possiamo cambiare il passato e il futuro è incerto. Ciò che possiamo cambiare è il presente. 

    Pertanto focalizziamoci su di esso e concentriamoci sul qui ed ora godendo degli aspetti positivi che abbiamo, sviluppando gratitudine anche per le piccole cose, ponendo attenzione ai dettagli e agendo quando qualche aspetto della nostra vita non va come vorremmo. 

    4. Ridimensiona la paura del fallimento.

    Nel caso della preoccupazione per il lavoro è importante concentrarsi sul positivo, sui nostri comportamenti che hanno buone probabilità di successo e crearsi delle alternative al proprio lavoro attuale, tenendo in considerazione le nostre aspirazioni ma anche la realtà del mercato del lavoro.

    5. Allena la resilienza.

    L’incertezza ci spaventa soprattutto perché temiamo di non riuscire a reagire in modo adeguato agli eventi, soprattutto a quelli negativi. Tendiamo a sottovalutare le nostre capacità di adattamento agli avvenimenti meno lieti, ma in realtà, dopo avere provato impotenza o incertezza, riusciamo a ritrovare un equilibrio. La resilienza va esercitata.

    6. Analizza le emozioni.

    Le emozioni che proviamo sono un feedback dal quale trarre suggerimenti sulle decisioni o sui comportamenti da attuare. Ascoltare le proprie emozioni dà la possibilità di scoprire valori e credenze profonde che ci guidano e quindi eventualmente rivederle nel caso in cui non risultino più essere funzionali per noi.

    7. Confrontati.

    Condividere i propri stati d’animo e le proprie preoccupazioni aiutano a comprendere che ognuno ha un rapporto diverso con le incertezze e il confronto giova ad acquisire punti di vista.

    Muoversi nell’incertezza del futuro

    Ciò che è vivo sfugge al nostro controllo!

    Le persone ci sorprendono, la vita ci sorprende e tutta la nostra certezza e la nostra sicurezza non sono altro che un momento di stabilità in mezzo al mare dell’instabilità. 

    Rimanere fermi, non rischiare, non ci garantirà una vita sicura. Ci garantirà solo una vita immobile.

    Si può certamente scegliere di vivere così, non c’e’ nulla di male anzi, forse per certi aspetti, si vive più a lungo. Ma è triste.

    Così ogni volta che senti incertezza domandati: come posso aprirmi  al nuovo? Cosa mi porta la giornata di oggi? Cosa devo comprendere di questa giornata?

    Spostare l’attenzione dal conosciuto allo sconosciuto ci permette, ogni giorno, di nascere più saggi e non più vecchi.

    La cosa più commovente della vita è la sua incertezza. Lo so e lo sento.

    E riconosco che c’è una bellezza nella fioritura e una bellezza nel cambiamento. Non possiamo più accontentarci di dire che è bello un ramo fiorito: abbiamo bisogno di imparare a riconoscere la bellezza anche quando e’ rinsecchito e che proprio  la sua trasformazione contribuisce alla bellezza: una bellezza che includa imperfezione e ’incertezza.

    Se c’è una cosa che può costantemente bloccare dall’ottenere quello che si vuole nella vita è l’incertezza. 

    In realtà, non è proprio l’incertezza, ma il modo con cui siamo abituati a reagire. 

    La ragione principale? La paura dell’incertezza. 

    Questa paura può fermarci sul posto.

    Possiamo diventare amici dell’incertezza, perché per quanto spiacevole possa essere, ne riconosciamo il valore, diamo atto e diamo dignità ad un qualcosa che è già qui con noi.

    Questa sembra essere una paura di fondo, presente e comune a tutti. Tutti noi vogliamo sapere se le cose succederanno, come accadono e quando. Ci piace l’idea di poter predire con esattezza come le cose si evolveranno in ogni aspetto. 

    Ma la vita resta incerta. Più otteniamo nella vita e più si aprono incognite, più rivoluzionari siamo, meno certezze incontriamo.

    Se andiamo a smascherare le nostre più grandi paure, ciò che sottende è  un nucleo di incertezza.

    Tutto ciò che noi evitiamo viene registrato dal nostro sistema nervoso come una minaccia e  il nostro sistema nervoso innesca sempre  una reazione difensiva,come l’attacco-fuga. Questo succede anche se semplicemente immaginiamo la situazione.

    Ci sono un sacco di cose su cui abbiamo una certa dose di influenza all’interno delle nostre vite, ma ci saranno sempre altre cose su cui non avremo mai il minimo controllo.

    Manipoliamo il mondo che ci circonda, per avere l’illusione di poter prevedere. 

    Ci raccontiamo che se ci prendiamo cura di noi, se ci occupiamo degli altri o se lavoriamo sodo, allora le cose saranno sicure, certe. Non lo sono.

    La mancanza di controllo è sconcertante e se davvero ci concediamo di sentirlo, è un po’ come sentire di cadere. Quando però abbracciamo questa sensazione può essere anche esilarante, non c’è più la paura a trattenerci dal fare qualcosa di nuovo.

    Alla fine, anche nella sensazione di cadere può cambiare il nostro punto di vista.

    Un conto è cadere da un  dirupo, diverso se ci tuffiamo da uno scoglio…

    L’incertezza del futuro, in realtà, è il nostro dono più grande

    Imparare ad amare l’incertezza è una delle cose più rivoluzionarie che possiamo fare.

    Nella nostra vita noi corriamo tanto: perché la velocità rafforza la sicurezza dei  nostri movimenti e annulla la percezione dell’incertezza, quell’elemento così fondamentale al nostro vero equilibrio.

    Spesso confondiamo cosa significa essere sicuri. 

    Se agiamo in maniera difensiva, infatti, possiamo avere una grande sensazione di sicurezza ma non è detto che ciò che facciamo ci metta davvero al sicuro. Anzi spesso è il contrario…

    Da dove origina la  paura dell’incertezza?

    Abbiamo paura dell’incertezza perché le nostre difese – attivate dalla rabbia e dalla paura – strutturano dei blocchi – fisici e mentali – che confondiamo con sicurezza. 

    Ci danno una percezione globale e ci fanno perdere i particolari e il loro continuo cambiare. Sopprimono emozioni che ci fanno paura, ma che così continuano ad essere nascoste dentro di noi e ad agire indisturbate.

    Quando siamo incerti le nostre difese sono abbassate, ci apriamo alla vulnerabilità  e cogliamo il mutare delle cose, lo spazio che c’è tra fare o non fare qualcosa, l’impossibilità di sapere prima come andrà a finire. Ci trema la terra sotto i piedi.

    Saggezza è usare le difese solo quando sono necessarie: per il resto proviamo a percorrere il territorio dell’incertezza perché ci porterà alle nostre vere emozioni.

    La nostra antipatia per l’incertezza ci fa dimenticare che solo attraverso l’instabilità possiamo camminare e andare avanti. Lo stesso camminare cos’è? Se non un tentativo continuo, ad ogni passo, di cadere e recuperare, cadere  e recuperare l’equilibrio.Solo attraverso l’incertezza apriamo nuove prospettive. 

    Fidarsi del cambiamento è un altro modo per fidarsi della vita e non viverlo come un nemico ma come un’opportunità  nella crescita.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

  • Il metodo

    La leadership emotiva passa attraverso l’energia del corpo

    Nel 2005 sono stata operata alle corde vocali perchè avevo un nodulo che ostruiva il passaggio del suono. Le corde vocali si erano irrigidite e mi ritrovai completamente afona.

    Per il mio lavoro in particolare, sempre a contatto con le persone, anche nell’insegnamento, era un disagio penalizzante.

    Ma è stata anche la mia fortuna.

    Venivo da un’esperienza aziendale di leadership tradizionale, up & down, e la mia difficoltà principale era “starci dentro”.

    Avevo un ruolo manageriale e il lavoro mi piaceva, ma ero sempre in conflitto con ciò che sentivo e con l’ambiente aziendale.

    Ecco che il sintomo fisico mi arrivò proprio colpendo la gola. 

    Non riuscivo a comunicare quello che ero. 

    Le mie corde vocali erano impregnate di un miscuglio di emozioni, di conflitto e dolore.

    Lavoravo già da parecchi anni sull’intelligenza emotiva e le emozioni nel corpo, mi ero laureata con una tesi sulla comunicazione non verbale, ma era più facile riconoscerle negli altri che in me.

    Dopo il 2005 ho compreso che, se non mi fossi presa la responsabilità di lavorare in primis su di me, non avrei mai potuto guidare, ispirare nessun altro, nemmeno i miei figli, anzi soprattutto loro.

    Non ci addentriamo in questa sede sul significato dell’intelligenza emotiva essendoci una bibliografia amplissima e, trovando in Goleman, il padre dell’intelligenza emotiva.

    Saper guidare è un’abilità importante per chi lavora in gruppo. Che si tratti della direzione di un’impresa o della necessità di motivare i colleghi, essere capaci di ispirare e dirigere è fondamentale per raggiungere qualunque obiettivo.

    Goleman ci parla di 6 tipi di leadership emotiva ma ci dice anche che non esiste uno stile di leadership emotiva migliore di altre. 

    Si basano tutti sulla capacità di capire le emozioni altrui.

    Ma come faccio a comprendere le emozioni altrui se non riconosco le mie?

    E’ importante notare che molte persone non riescono a capire le proprie emozioni perché non sanno interpretare bene i segnali inviati dal proprio corpo. 

    Solitamente associamo le emozioni a un sentimento, ma in realtà tutte le emozioni partono da una sensazione fisica. Questo vuol dire che, indipendentemente dal nostro grado di confusione, possiamo entrare in contatto con un’emozione prestando attenzione a cosa succede al nostro corpo.

    Essere consapevoli del proprio corpo può sembrare la cosa più semplice.

    In realtà scopriamo che non è proprio così. 

    Se stiamo fermi non lo sentiamo. Se camminiamo siamo distratti da altre sensazioni.

    Le ragioni per cui e’ importante essere consapevoli del proprio corpo sono :

    • la consapevolezza del proprio corpo è un evento in continuo movimento che ci ancora al momento presente
    • le sensazioni fisiche sono porte d’ingresso per riconoscere le proprie emozioni
    • le sensazioni fisiche accompagnano i processi di pensiero e, a volte, attivano pensieri ripetitivi
    • la consapevolezza corporea riduce l’eccessiva identificazione con gli stati mentali negativi
    • ci permette di incontrare, in modo delicato, quello che tendiamo ad evitare emotivamente

    Evitare di sentire il corpo ha una ragione principalmente pratica: evitare di sentire le emozioni.

    E’ piu’ accettabile avere una tensione sulle spalle, piuttosto che sentire la rabbia; avere un vuoto allo stomaco piuttosto che sentire la paura.

    Quindi il  primo passo è sicuramente allenarsi ad ascoltare il proprio corpo.

    Vantaggi e Svantaggi della leadership emotiva

    La sfida è riconoscere vantaggi e svantaggi della leadership emotiva e “surfare” in equilibrio tra il fare e il sentire, l’imporre e l’accogliere, l’azione e la riflessione. 

    Tutto ciò ha a che fare con la nostra energia personale maschile e femminile. 

    • Prosperare in periodi di caos e di cambiamenti turbolenti
    • Essere sincero nel comunicare verità “dolorose”
    • Ispirare, generare, rendere sentito l’obiettivo dell’azienda
    • Promuovere innovazione e creatività
    • Creare relazioni cordiali e durevoli sia all’interno che verso i clienti
    • Essere empatici ma autorevoli

    La leadership emotiva comprende ognuna di queste possibilità.

    Come qualunque altra competenza o approccio, può avere  aspetti positivi e negativi. Considerarli ci aiuterà a decidere se fare appello alle emozioni sia la scelta più adeguata o se, al contrario, sia meglio ricorrere a un approccio più basato sulla logica e meno sull’empatia.

    Vantaggi:

    Non si può negare che dirigere un gruppo avendo a disposizione una buona dose di intelligenza emotiva offre benefici di ogni tipo. Tra i principali troviamo un ottimo equilibrio tra il raggiungimento degli obiettivi e buone relazioni all’interno del gruppo. Questo probabilmente significa dover sacrificare, in certa misura, l’efficienza dell’impresa, in cambio offrirà maggiore benessere ai dipendenti.

    Un buon leader emotivo deve essere capace di valorizzare le qualità dell’equipe, di aiutare gli altri a scoprire e sviluppare talenti e competenze. Uno dei risultati sarà una maggiore motivazione del gruppo, fondamentale per il buon andamento dell’azienda.

    Svantaggi:

    Adottare la leadership emotiva, tuttavia, può non essere sempre ottimale. In alcune circostanze potrebbe dare corso ad una serie di ripercussioni negative, tra cui:

    • Portare il leader ad agire in modo impulsivo. Un atteggiamento simile può essere svantaggioso per l’azienda e per il raggiungimento degli obiettivi nel caso in cui richiedano un orientamento più razionale.
    • Causare problemi di autocontrollo. In alcune occasioni, un leader deve prendere decisioni difficili, dure a livello emotivo. Un eccesso di empatia può rendere la gestione complicata o andare contro il processo stesso.
    • Provocare fluttuazioni emotive. Un eccesso di empatia o connessione con le proprie emozioni può far sì che queste influiscano troppo sullo stato d’animo del leader. Un leader, in linea di massima, deve essere un esempio di solidità e stabilità; diventa invece complicato esserlo quando si è in balia di emozioni non controllate.

    Come l’intelligenza emotiva influenza la leadership emotiva

    L’intelligenza emotiva può essere riconosciuta come l’insieme di specifiche capacità quali: consapevolezza, padronanza di sé,  motivazione, empatia, abilità nelle relazioni interpersonali, che permettono di utilizzare le emozioni come un patrimonio di ricchezza a vantaggio nostro e della collettività.

    L’IE ( intelligenza emotiva) incontra la leadership là dove si manifestano capacità di: 

    • ascolto
    • empatia
    • autorevolezza
    • capacità di ispirare gli altri a partire da ciò che li motiva, capacità di creare un ambiente emotivamente sicuro
    • influenzare emotivamente i propri collaboratori, saperli motivare innescando sentimenti positivi e riuscendo a liberare l’espressione del talento personale

    Goleman in Leadership emotiva. Una nuova intelligenza per guidarci oltre la crisi, afferma che Il leader emotivo è una persona “dotata di uno speciale talento di calamita limbica” che ha la capacità di creare risonanza, di stimolare comportamenti che permettano di suscitare emozioni positive, entrando in contatto e influenzando il cervello emotivo dei propri collaboratori.

    Come afferma Goleman, “ I leader sanno scuoterci. Accendono il nostro entusiasmo e animano quanto di meglio c’è in noi.”

    La leadership emotiva è sinergia tra energia maschile e femminile

    La cultura occidentale ha da sempre scelto lo sviluppo dell’intelligenza cognitiva e ha fatto della mente e del logos la propria coppia d’assi, ignorando che le emozioni sono alla base di ogni comportamento umano. 

    Così sono stati costruiti i nostri modelli di management, e il ruolo di leader costruito su valori maschili, indipendentemente dal gender del leader, e per tradizione associato al concetto di forza, decisione, e razionalità.

    Sarebbe riduttivo negare che valori come empatia, nuova leadership, balance sono entrati a livello concettuale nelle organizzazioni ma non ne permeano ancora il terreno.

    Definiamo il femminile come l’energia dell’emotività, dei sentimenti, della sensibilità e della ricettività, della cura, della creatività. Viceversa il maschile richiama razionalità, azione, freddezza, coraggio, lealtà, individualismo e spinta all’avere. Il femminile è per lo più interiore e si declina nella cura del particolare, nell’andare dentro. Il senso prevalente è il tatto, legato alla carezza, al gesto che guarisce. L’energia maschile è orientata al sociale, al dominio, all’andare verso l’esterno e conseguentemente la vista prevale sugli altri sensi.

    Come  attuare una trasformazione a favore di una  leadership emotiva?

    Un primo passo è osservare in che equilibrio sono le nostre 2 energie maschili e femminili.

    Perché il successo di un’autentica leadership emotiva deve tenere conto del proprio femminile. Altrimenti il conflitto interno si manifesta all’esterno e non siamo riconosciuti.

    Permettere all’uomo di riconoscere le proprie emozioni significa integrare la propria energia femminile. Permettere alla donna di esprimere il potere femminile con le caratteristiche del femminile permette di abbassare il disequilibrio dell’energia maschile della donna in azienda.

    Per esercitare una bisogna riscoprirsi esploratori.

    Fare l’esploratore significa sapersi muovere su qualsiasi tipologia di terreno, sapersi orientare in qualsiasi momento della notte e del giorno, riconoscere i pericoli affrontarli e trovare la giusta soluzione. Ecco perché oltre al piano delle competenze, è opportuno sapersi destreggiare in ogni occasione che si presenta.

    Ma fare l’esploratore significa anche ascoltare, accogliere il sentiero. Fidarsi di sé e dei propri compagni di viaggio. Prendersene cura affinché la traversata sia sicura per tutti, per sé, per loro, per il mezzo di esplorazione e per la meta da raggiungere.

    E’ con questo spirito, e con la ricerca dell’equilibrio tra il proprio maschile e femminile che si affinano gli strumenti da mettere in campo di volta in volta affinché la situazione sia sotto controllo ma non controllata, sia gestita ma non schiacciata.

    In più una leadership emotivamente intelligente si riconosce nella capacità di dare cattive notizie in modo comunque generativo per il gruppo e per le persone. https://www.energyogant.it/la-nuova-leadership-e-adattiva-e-condivisa/

    Tra le principali caratteristiche di coloro che hanno un’alta intelligenza emotiva viene individuato l’essere perenni apprendisti, life-long learners che costantemente sentono il bisogno di crescere, di farsi domande, di imparare cose nuove e in nuovi modi, persone disposte a cambiare le loro idee per aprirsi al nuovo.

    Per concludere in leggerezza, suggerisco di dare un’occhiata alla serie New Amsterdam su Netflix dove Max,  il leader, a mio parere è un buon tentativo di leadership emotiva.

    “Un pittore mi disse che nessuno può disegnare un albero senza diventare in qualche modo un albero; o disegnare un bambino studiando soltanto il profilo della sua forma… ma col guardare per un po’ di tempo i suoi movimenti e i giochi, il pittore entra nella sua natura e quindi può disegnarlo.” (Ralph Waldo Emerson)

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

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  • Il metodo

    Ti senti stanco quando l’autorità prevale

    La mia sveglia suona molto presto al mattino. Diciamo che quando (poche volte) suona alle 6.30 è troppo tardi.

    Ciò che mi spinge a mantenere l’orario del mattino tra le 5.30 e le 6 è la consapevolezza che ci sono molte cose da fare. 

    Nessuno apparentemente mi obbliga a farle, se non la voce della mia autorità interna. 

    Come libera professionista, mi sento “molto professionista e poco libera“ perchè il mio datore di lavoro è sempre con me. 

    Mi ricorda ogni giorno della settimana e in qualsiasi orario, lui non distingue il mercoledì dalla domenica, cosa avrei dovuto fare, cosa ho concluso e cosa devo ancora fare. 

    E questa sua sollecitazione non andrebbe mai in vacanza, perché conosce solo questa modalità, vuole essere sicuro e stare nella sua “zona di comfort”. 

    Mi richiama continuamente all’azione.

    Di fatto sono grata al mio datore di lavoro interno che mi richiama all’ordine, e mi accorgo della differenza quando non lo fa. Ma sicuramente lui ascolta solo se stesso e non lascia spazio ad altri aspetti preziosi, vitali e nutrienti della mia vita.

    In quest’epoca di dematerializzazione degli uffici non mi sento minacciata, perché ormai da anni ho compreso che lo spazio del mio ufficio riguarda altro, ma la ricerca per affinare dove sta quest’altro è l’aspetto che mi appassiona da anni.

    Si tratta di mettere insieme 3 sedi:

    personalmente, ho compreso che il mio cuore sente le emozioni che mi attraversano ed anche quelle altrui, la mia testa lavora sempre con pensieri che vanno anche nella direzione della mia libertà. Ma il motivo della mia stanchezza e’ la sede della mia anima, essenza, spiritus, sense of life, Vita ognuno la chiami come crede.

    Di fatto mi sento stanca quando la mia anima si sente schiacciata, pressata dalle continue richieste del mio datore di lavoro interno e dalle cose da fare.

    Lo spazio della mia anima si muove su altri paradigmi, per esempio rispetto al concetto di TEMPO. Lei vorrebbe lascialo andare, perderlo per poi recuperarlo.

    Ogni mattina, prima di iniziare la mia giornata, mi occupo di lei attraverso una pratica che, da oltre venticinque anni, ho affinato e migliorato ma è davvero poca cosa, rispetto al suo bisogno.

    Ecco da dove ha origine la mia stanchezza.

    Quando l’autorità esterna o interna ti invade, ti senti stanco.

    Mi aiuta senz’altro prendermi delle giornate promettendo al mio datore interno che recupererò, ma oggi ho la consapevolezza che ne ho bisogno tutti i giorni per alimentare la mia vitalità ed energia, soprattutto per poter essere poi in grado di dare agli altri senza farsi prosciugare.

    Così ho introdotto nella mia quotidianità da smart workers ( a dir la verità ho iniziato molto tempo prima ) oltre alla lista del “to do” anche quella del “to be”: lista di piccole cose ordinarie in cui lascio che la  mia anima respiri, prenda vita senza lasciarsi “ soffocare” dagli impegni.

    Nella mia lista ci sono:

    • momenti di respiro consapevole
    • metto il telefono in silenzioso 
    • bevo acqua ad occhi chiusi
    • attenzione
    • prendersi cura 
    • gratitudine 
    • immaginare

    Queste attività in maniera alternata, le distribuisco nell’agenda della mia giornata.

    Perchè ti senti stanco?

    E’ normale sentirsi stanchi, capita a tutti. E le vacanze servono spesso proprio a questo: recuperare e riposarci.

    Ma la stanchezza non è una ed unica per tutti.

    Distinguiamo 3 tipi di stanchezza:

    Stanchezza del corpo, dopo una corsa, una gara … E’ una stanchezza gioiosa e appagante.

    I nostri muscoli sorridono. E’ una stanchezza che rigenera.

    Stanchezza della mente, quando siamo nella gabbia del criceto e i nostri pensieri girano continuamente. Le nostre palpebre sono pesanti, la nostra testa si sente piena, la mascella e le spalle sono contratte, il cuore è chiuso. E’ una stanchezza da cui si fa fatica ad uscire perchè spesso il sonno non porta rigenerazione e riposo. Anzi. Così potrebbero mostrarsi 2 possibilità per gestire questa stanchezza:

    1. fare qualcosa di fisicamente estremamente faticoso in modo da non poter pensare. La velocità dello sforzo fisico supera quella dei pensieri
    1. prendersi il tempo per esplorare quei pensieri, attraverso la pratica della meditazione. Questa seconda possibilità è sicuramente più complessa.

    Stanchezza del cuore a livello fisico corrisponde con la chiusura del diaframma e con la sensazione di un pugno allo stomaco.

    Ci rendiamo conto della distanza tra le nostre emozioni e sentimenti e quelle dell’altro.

    Pensiamo di essere stati illusi o delusi, o entrambi. Necessitiamo di prenderci cura, cullare il nostro cuore.

    Stanchezza della mente che prevale su corpo e cuore, è la stanchezza del nostro ego, dell’ambizione che vive di corsa per raggiungere e superare tappe, obiettivi, che perde di vista se ciò che sta rincorrendo è ciò che vuole e inevitabilmente si perde il senso del piacere. Il piacere di vivere e la libertà di essere ciò che si è. In questa fase l’unico riposo è 

    “mollare la presa”, lasciare andare.

    In senso fisiologico si può considerare la stanchezza come un segnale di allarme che scatta quando l’organismo si avvicina ai propri limiti. A volte ci sentiamo arrabbiati, infelici ma siamo solo stanchi.

    Le neuroscienze affermano che l’essere umano perde energia se nel suo animo non trova più immagini che lo motivano e che creano nuove connessioni nel suo cervello.

    Un proverbio africano recita:

    Il cammino attraverso la foresta non è lungo se si ama la persona che si va a trovare. 

    Se durante il cammino non hai una direzione, non senti appagato e non ritrovi dentro di te le giuste motivazioni il viaggio può diventare un incubo.

    Alla fine ti senti stanco: stanco perché’ sei “scollato” da te!

    L’insoddisfazione può avere così effetti sul corpo e sulla mente, per cui non va sottovalutata, ma bensì riconosciuta e affrontata per trasformarla in un motore positivo per il nostro benessere.

    In una società dove tutto è possibile ma poco è effettivamente raggiungibile per i più, il terreno è molto fertile per il proliferare di insoddisfatti cronici e quindi di immotivati perennemente stanchi: stanchi di iniziare, stanchi di cercare, stanchi di pensare, e di agire.

    Le principali forme di insoddisfazione sono collegate alla natura dei bisogni umani:

    1. non sentirsi realizzati nei ruoli professionali e in quelli privati
    2. non sentirsi importanti
    3. non sentirsi amati o di appartenere
    4. non avere una vita stimolante e varia
    5. non soddisfare i bisogni primari (sessuali, deprivazione sensoriale etc.)

    Ti senti stanco quando provi gratitudine? 

    Essere grati vuol dire prima di tutto osservare e riconoscere.

    Vuol dire sapersi fermare, nonostante il ritmo frenetico della vita quotidiana, ed imparare ad ascoltarsi, a leggere nei meandri della propria anima, colei che sa sempre cosa vuole e il cammino da percorrere. 

    La nostra anima sa, lei bussa alla nostra porta costantemente. E’ la nostra struttura egoica (nessun giudizio negativo sul nostro ego) che prevale e non ascolta. Ad un certo punto l’anima, per poter essere ascoltata, ci manda sintomi nel corpo fisico e anche lì a volte stentiamo ad ascoltare. 

    Tipicamente accade con la stanchezza, che deve proprio farci stramazzare a terra per fermarci.

    Conoscersi e ri-conoscersi vuol dire anche imparare a fidarsi di sé

    Essere coscienti di chi siamo, cosa stiamo vivendo e chi intorno a noi collabora (persone, natura, contesti) alla nostra migliore espressione, significa sviluppare attenzione, e ciò ci restituisce la percezione di senso del nostro agire, del nostro valore, evitando sovraccarichi fisici e dispersione di energia.

    I benefici della gratitudine influiscono positivamente anche sulla carriera e sulla quotidianità: lo riporta Forbes, citando lo studio di Bersin&Associates, che le aziende che “eccellono nel riconoscimento dei lavoratori” sono 12 volte più propense a ottenere rilevanti risultati di business. 

    A livello psicofisico, invece, il Washington Post riporta le scoperte del ricercatore Robert Emmons dell’University of California, il quale ha compilato una lista di fattori benefici sulla mente e sul corpo causati dalla gratitudine consapevole: nel dettaglio, praticare gratitudine abbassa i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, del 23%, riduce del 7% i sintomi di infiammazione nei pazienti con insufficienza cardiaca, combatte la depressione, diminuisce la pressione sanguigna e migliora la qualità del sonno. Per essere efficace, però, la gratitudine dev’essere coltivata ogni giorno. 

    “Grazie” è il plurale di “grazia”

    Nella mistica di tutte le religioni esiste il concetto di “grazia”, come dono che proviene da un regno altro a quello umano: la grazia come qualcosa di divino dunque, eppure reale, come sentimento che ci inonda, ci sorprende e ci rende grati.

    La semplice riconoscenza nei confronti dell’esistenza, di ogni nuovo momento presente, può dare nuova linfa al nostro vivere, infondendo anche al nostro agire una qualità completamente differente da quella che esperiamo quando guardiamo il mondo a partire dalla “mancanza”.

    Una pratica di gratitudine è quella di prendersi tutti i giorni 5 minuti per ringraziare : persone o qualcosa che vi è capitato, oppure scrivere (aiuta molto) cosa è andato bene e cosa può essere migliorabile. 

    Annotare  le cose belle che sono capitate a noi o agli altri aumenta la nostra vitalità ed energia.

    Fare apprezzamenti.

    Ringraziare i collaboratori per un successo ottenuto.

    La gratitudine è un’abitudine.

    Quando ti senti stanco non ti accorgi dei ladri di energia 

    Apportare il giusto nutrimento a sostegno della nostra energia è necessario affinché la nostra vitalità si possa manifestare attraverso il corpo ( in azioni focalizzate ed efficienti), i pensieri ( a sostegno di creatività e brio mentale) e le emozioni ( a favore di positività e fiducia nel futuro).

    La sfida del momento è riuscire ad essere propositivi per se stessi, e come leader, anche per i propri collaboratori.

    In una fase storica di smaterializzazione del posto di lavoro e di distanziamento fisico, e quindi di poca empatia, sostenere e dare strumenti per superare la stanchezza diventa prioritario per continuare ad avanzare verso quello che il futuro ha in serbo per noi.

    Chi sono i ladri di energia?

    Non sono solo le persone, i famosi “vampiri “ del lamento, ma le anche nostre abitudini quotidiane.

    Alcuni spunti : 

    • “Always on”, essere sempre connessi, perchè non è salutare
    • Pensieri negativi che influenzano la nostra lucidità mentale, perché le frequenze si riconoscono e si attraggono
    • Alimentazione sbilanciata che sottrae invece che ricaricare, perchè una pancia piena non significa sempre benessere
    • Mancanza di atti di gratificazione personale, perchè non sempre sono gli altri a doverci riconoscere
    • Promesse mancate
    • Non accettare
    • Non perdonare
    • Rabbia e risentimento
    • Incapacità a dire di no, perché sottrarsi non è resa ma una decisione.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.