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il meglio è nemico del bene

  • Il metodo

    Intelligenza creativa: il meglio è nemico del bene

    Voltaire, in Candido, afferma: “il meglio è nemico del bene”.

    Viviamo in un mondo dominato dalla ricerca della perfezione. 

    In ufficio le prestazioni perfette sono l’apogeo – per molti, la vera e propria definizione del successo. 

    Eppure, come scopre Candido, c’è un difetto intrinseco in questa logica. 

    Perché la perfezione è uno standard che non si può mai raggiungere e in definitiva non offre altro che infelicità per chi la ricerca.

    A tal proposito consiglio il libro Nessuno ci chiede di essere perfetti nemmeno Dio di di Harold S. Kushner 

    Alcuni studi di Thomas Curran, Andrew Hill “ Perfectionism and burn-out are close friends – best avoid them” hanno identificato perché il perfezionismo sia tanto diffuso quanto problematico sul posto di lavoro.

    Il lavoro è generalmente centrato sulla prestazione – e una scarsa prestazione implica costi significativi che, nel caso peggiore, determinano licenziamenti. 

    Quando il perfezionismo è alimentato da una pressione simile, i risultati della prestazione, invece che una motivazione, sono fonte di grave stress. 

    Un’altra spiegazione per lo stretto legame tra perfezionismo e burnout sul lavoro è da ricercare nei momenti in cui, come quello attuale, le opportunità di cambiare lavoro o avanzare nella carriera sono limitate. 

    Questa incapacità di sottrarsi ad un ambiente di lavoro sempre più stressante e meno piacevole, può determinare nei perfezionisti il burnout.

    E’ importante quindi chiarire che la perfezione non è un criterio per il successo. 

    Invece la disciplina, la flessibilità, la perseveranza, la curiosità sono qualità di gran lunga migliori del perfezionismo. 

    Come società tendiamo a portare in alto il perfezionismo come segno di virtù, di realizzazione. 

    Eppure la storia del Candido di Voltaire è eloquente: la perfezione è elusiva quanto accattivante. 

    Concentrarsi su l’impeccabilità in definitiva è controproducente.

    Per coltivare le potenzialità accennate, occorre comprendere meglio come l’intelligenza creativa attiva la nostra energia e il nostro benessere.

    Cos’è l’intelligenza creativa 

    L’ intelligenza creativa è inclusiva e ha a che fare con l’intelligenza emotiva, l’intelligenza cognitiva e l’intelligenza fisica.

    Nietzsche diceva: ”non mi fido di quei pensieri che non siano nati all’aria aperta, non mi fido di quei pensieri che non siano una festa anche per i muscoli “.

    E’ una caratteristica innata di ogni uomo. 

    Ci contraddistingue come persona umana. 

    Tutti siamo creativi, a patto di voler entrare in contatto con questa nostra potenzialità.

    L’intelligenza creativa è l’insieme che appartiene al tutto che è ben oltre la somma delle parti. 

    Quando c’è armonia tra il mio pensiero cognitivo, emotivo e la vitalità del corpo, la pienezza e il successo del risultato possono andare ben oltre l’immaginato. 

    Ha a che fare con l’intuizione e il coraggio.

    Ciò presuppone un distacco dalla “norma” e un’apertura al dialogo interno, in primis con se stessi. Imporre delle regole non porta al cambiamento.

    • Cosa devo sapere su ciò che mi limita ?
    • Cosa devo “guarire” perché il nuovo possa uscire?
    • Come posso esprimere sempre il meglio a favore del bene ?
    • In che modo il lavoro su di Sé’ coincide, si incastra con il modello aziendale ?

    Il business model competitivo e machista continua ad essere basato su  performance,competitività e la tensione è sempre solo rivolta all’eccellenza e alla velocità.

    Il mercato è competitivo, dobbiamo anticipare il mercato ed essere leader.

    Tutti siamo leader.

    Conoscete qualche azienda che sul proprio sito non abbia scritto “ leader di mercato”?

    E’ una tensione continua e pressante ad essere il migliore, a dare il meglio.

    Ed è utopico non vivere l’ansia da prestazione.

    Ma un conto è fare meglio ciò che ciascuno di noi sa fare, un conto è essere il migliore se non corrisponde a ciò che sappiamo e vogliamo fare.

    L’intelligenza creativa, finalizzata al bene, genera successo garantito

    SVANTAGGI < Che vantaggi abbiamo a  focalizzarci esclusivamente sui nostri obiettivi e risultati individuali? 

    Probabilmente la garanzia di un benessere economico (siamo così sicuri oggi ?) una crescita di carriera, il rafforzamento di sicurezze materiali, case, macchine, vacanze.

    Ma a che prezzo?

    Un costante stato di tensione, ansia, stress, contrazioni muscolari, insonnia, bruciori di stomaco.

    Una vita spesa a lavorare in smart working, dove c’è molto working e poco smart.

    Cosa perderemmo se ci togliessimo un po’ del “nostro fare sempre il meglio” per far sostenere e innalzare coloro che stanno solo “facendo sempre bene” o per permettere, a chi non lo sta facendo, di farne almeno un pò?

    Probabilmente perderemo un po’ di: 

    visibilità, rafforzamento della nostra parte egoica che ha bisogno di sentirsi “ speciale”, crescita economica.

    Ma non credo che tutto ciò minerebbe la nostra sicurezza. Anzi.

    E’ indiscutibile che per restare sul mercato e rispondere sempre meglio alle necessità o addirittura anticiparle, dobbiamo dare il meglio.

    Ma il meglio lo dobbiamo dare come persone di senso.

    Il senso è quello che dà significato e forza a ciò che facciamo e al perchè lo facciamo.

    Il mercato infatti lo fanno la bravura, il tempo, il servizio, l’intenzione e l’informazione.

    Nel mettere a servizio il nostro meglio emergono meno “punte di diamante” ma aumenta il livello generale di bene aziendale, che si traduce in successo.

    Un po’ effetto marea, il livello si alza.

    VANTAGGI< Che vantaggi  trae il singolo a cui viene chiesto di mettere il meglio a servizio del bene collettivo? 

    Innumerevoli:

    • maggiore compartecipazione
    • allentamento della tensione, ansia stress
    • comprensione del valore della condivisione
    • nessuno è perfetto
    • integrare le proprie imperfezioni
    • alzare il senso di responsabilità comune 
    • maggiore successo per tutti
    • essere leader veri e cioè guide, ispiratori per far emergere il meglio da ognuno
    • dare ed ottenere fiducia

    Ecco come l’intelligenza creativa implica diversità ed inclusione: accoglienza delle nostre diverse forme di intelligenza ed inclusione del concetto di servizio come human skill che genera business. Qui un approfondimento.

    Come esprimere l’intelligenza creativa?

    L’intelligenza creativa è la capacità naturale (cioè che ci è data per natura umana) di attivare il pensiero nella direzione di una nuova creazione attraverso connessioni tra il nostro sentire, esperienze pregresse, informazioni date, acquisite o acquisibili, e scambio delle stesse con il nostro contesto di azione.

    Il nostro cervello è già “programmato” per creare meraviglia. 

    Il nostro pensiero fa da antenna trasmittente/ricevente. 

    Il nostro corpo porta l’azione nel mondo reale.

    Il nuovo, in questa accezione, assume una diversa identità staccandosi dalla stretta interpretazione di unico e inimitabile, e si distende al senso di cosa fatta, manifestata da poco.

    Etimologicamente le parola “diverso” e “divertente”, strettamente legate all’esplorazione della nostra intelligenza creativa, hanno la stessa radice.

    Divertire dal latino divertere, part.pass. di “diversus”, volgere altrove in direzione opposta.

    Entrare in contatto con il nuovo e il diverso implica anche il rischio di sbagliare, addirittura di fare figuracce.

    Accettare l’imperfezione e entrare in contatto con il giudice severo interiore che ognuno di noi ha è il primo passo per attivare la nostra intelligenza creativa.

    L’intelligenza creativa diventa strumento sostanziale per un nuovo umanesimo in azienda e per la nuova espressione di leadership che deve essere sempre più a servizio, inclusiva e trasversale.

    Dal meglio per te, al bene per l’azienda: connessioni intelligenti tra creatività e azione

    Una sorta di espansione a favore del gruppo, non solo nell’intento del soggetto in prima linea, ma come reale effetto che si sostanzia nel percepito di tutti i collaboratori. Una crescita a tutto tondo.

    Abbiamo parlato qui dell’atto creativo in azienda

    Creare in azienda significa principalmente apportare valore nella ricerca di equilibrio tra gravità e leggerezza connettendosi, ancora una volta, alla totalità dell’individuo e puntando al suo bilanciamento per sostenere il suo slancio creativo.

    Il meglio del singolo dovrebbe essere resettato a favore della crescita simultanea: il superamento del valore della conquista per raggiungere l’identità aziendale a tutto tondo.

    Ecco alcuni spunti di condivisione in tal senso:

    • dare valore al singolo, che agisce in funzione di tutta l’azienda
    • avere il coraggio di abbassare la soglia di competitività a favore di un più elevato grado di collaborazione
    • sostenere il benessere ( valore collettivo) a favore del meglio ( valore individuale)
    • informare sulla possibilità di attivazione del proprio maschile e femminile alla ricerca di un balance comportamentale e di azione che favorisca un riequilibrio di forze nei collaboratori.

    Tutti siamo creativi

    Intanto ricordiamo sempre che l’intelligenza creativa non va intesa come espressività artistica. Essere artisti vuol dire essere creativi, ma non tutti i creativi sono artisti.

    L’intelligenza creativa  presuppone

    • fiducia in se stessi
    • fede nel valore della nostra esistenza
    • gioia nel ricevere e nel dare
    • leggerezza nelle aspettative
    • libertà di pensiero

    Anche persone molto creative, non riescono ad essere creative in ogni cosa e in ogni momento. Come mai?

    L’intelligenza creativa per funzionare al meglio ha bisogno di tre fondamentali elementi:

    • L’esperienza nel campo
    • L’abitudine alla creatività
    • La passione

    Il primo elemento necessario è quello di essere esperti in un particolare ambito. Non è possibile essere creativi se non si conosce bene l’argomento.

    Mozart aveva talento, ma se nessuno gli avesse insegnato la musica, non avrebbe mai potuto esprimerlo pienamente.

    Il secondo elemento è di avere fiducia nella propria creatività tanto da farne una abitudine. Qui subentra l’utilità di allenarsi continuamente alla creatività.

    Ci sono parecchi modi per tenersi costantemente in allenamento. A partire da quelli più semplici, come ad esempio cercare di essere meno abitudinari.

    I migliori risultati creativi si ottengono quando è presente la passione.

    Se c’è passione per un particolare ambito, ti impegni per il piacere di farlo. 

    Una forte passione può compensare un talento non elevato e permettere ottimi risultati. È proprio la passione che permette di essere costante e di persistere anche quando i risultati si fanno attendere.

    Il colpo di genio creativo non avviene infatti senza impegno ed intento.

    L’intelligenza creativa ci fornisce strumenti concreti per distribuire il meglio a favore del bene, e vivere l’azienda in piena espressione di Sé nella ricerca di senso.

    Non esiste innovazione senza intelligenza creativa. 

    Trasforma il benessere organizzativo e lo sviluppo umano delle tue persone nella risorsa più importante per il successo del tuo business.

    Un confronto condiviso è il primo passo che possiamo fare insieme, a costo zero.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

  • Il metodo

    Efficacia a Rischio: come il rimuginio e l’insonnia minano le nostre prestazioni e il nostro benessere

    Nel mondo frenetico e sempre connesso di oggi, dove il lavoro e la vita privata si sovrappongono, la nostra mente è costantemente sotto pressione. Quando la giornata si conclude e finalmente ci prepariamo ad andare a letto, il nostro corpo è pronto a riposare… ma la mente no. Rimuginio, preoccupazioni e pensieri incessanti ci impediscono di riposare, minando la nostra lucidità e il nostro benessere.

    Quali sono i costi aziendali di rimuginio e insonnia

    La mancanza di un sonno rigenerante e ristoratore ha conseguenze importanti che riguardano:

    1. Diminuzione della Produttività: Un manager che non dorme bene potrebbe impiegare più tempo per completare una relazione importante, trascurare i dettagli cruciali durante una presentazione o fare scelte meno informate durante una riunione. Tutto ciò si traduce in un inefficiente utilizzo delle risorse aziendali e in un rallentamento complessivo dei processi
    2. Maggiore Tasso di Assenteismo e di Presenza efficace: Quando i dipendenti sono mentalmente esausti, non solo si ammalano più spesso, ma anche quelli che si presentano al lavoro non sono veramente ‘presenti’. Le loro performance sono compromesse e l’efficacia complessiva dell’organizzazione ne risente
    3. Aumento dello stress e del burnout: costi legati al burnout sono enormi per un’azienda. Non solo c’è la perdita di personale esperto, ma anche la necessità di investire tempo e denaro nella formazione di nuovi dipendenti. Inoltre, l’effetto sul morale e sulla cultura aziendale può essere devastante, poiché la sensazione di un ambiente di lavoro stressante può portare una minore motivazione e impegno da parte di tutti
    4. Riduzione della Creatività e dell’Innovazione: Le aziende che non si preoccupano della salute mentale dei loro dipendenti rischiano di perdere la capacità di innovare. La creatività si sviluppa durante i momenti di riposo e riflessione, e quando la mente è sovraccarica, il pensiero creativo viene soffocato.
    5. Impatti sulle Relazioni Interpersonali e Lavoro di squadra: Una persona che non dorme bene tende ad essere meno paziente e più reattiva, creando frizioni all’interno del team. La comunicazione può diventare più difficile e meno efficace, e questo può compromettere l’intero flusso di lavoro del gruppo
    6. Il Costo della perdita di talento: l turnover dei talenti è uno dei costi più difficili da quantificare, ma è estremamente impegnativo per le aziende. Un manager che non riceve il supporto per gestire stress e insonnia può decidere di lasciare l’azienda per un posto di lavoro più equilibrato. Tutto ciò impatta negativamente non solo sulle operazioni aziendali ma anche sulla cultura aziendale

    I Benefici del Sonno: Come il riposo migliora la tua vitalità ed efficacia

    Il sonno non è soltanto una pausa dalla fatica quotidiana, ma un potente strumento di recupero mentale. E’ un’attività estremamente importante, tanto quanto la veglia. Sonno e veglia sono  lo yin e lo yang della nostra vita che agisce su tutti i livelli della nostra esistenza. 

    1. Recupero e Consolidamento della Memoria

    Durante il sonno, il cervello svolge un’importante attività di “pulizia” e rielaborazione delle informazioni. In particolare, il sonno REM (Rapid Eye Movement) è essenziale per il consolidamento della memoria a lungo termine e l’elaborazione delle emozioni. Le informazioni apprese durante il giorno vengono “ordinate”, permettendo una migliore comprensione e comprensione. Se per esempio abbiamo studiato per una presentazione o letto un rapporto importante prima di andare a dormire, il sonno aiuterà a consolidare queste informazioni, permettendoci di ricordarle meglio il giorno successivo

    1. Problem Solving e creatività

    Si tratta di incubazione mentale : Il sonno permette al nostro cervello di ricollegare i punti in modo nuovo, di “pensare fuori dagli schemi” e di scoprire una soluzione innovativa che prima ci sembrava sfuggire. Così, grazie a una notte di sonno ristoratore, recuperiamo energia, ma soprattutto attiviamo un processo di problem solving che non avremmo mai potuto ottenere rimanendo svegli.

    1. Gestione delle Emozioni e Resilienza allo Stress

    Durante il sonno, in particolare nelle fasi di sonno profondo e REM, il nostro cervello elabora le esperienze della giornata, stabilizzando le emozioni e riducendo l’intensità dei ricordi stressanti. Senza un sonno ristoratore, il nostro sistema emotivo diventa più fragile e vulnerabile. La mancanza di sonno impedisce al cervello di elaborare adeguatamente le esperienze stressanti, facendo sì che le emozioni negative restino “congelate” e non vengano elaborate correttamente. Questo può portare una maggiore reattività e motivazione, una difficoltà nel regolare le emozioni e una gestione meno efficace dello stress. In pratica, senza il giusto riposo, tendiamo a reagire in modo più impulsivo o a sentirci sopraffatti dalle difficoltà quotidiane, con conseguente impatto sulla nostra salute mentale e fisica.

    Se dormiamo dormito bene, siamo in grado di mantenere la lucidità e la calma anche sotto pressione. La nostra capacità di prendere decisioni equilibrate e ponderate aumenta, mentre se siamo privati del sonno, tendiamo ad essere più reattivi, ansiosi e meno efficaci nel risolvere i problemi. Il sonno diventa quindi una risorsa per “sintonizzarci” emotivamente, aumentando la resilienza allo stress e migliorando la qualità delle nostre relazioni

    Questi sono solo alcuni spunti di riflessione che vanno a sostenere i benefici che ci sembrano più immediati in termini di benessere fisico, vitalità ed energia.

    Rimuginio e insonnia: una relazione da combattere o da accogliere?

    L’insonnia è spesso il risultato di un conflitto con il nostro bisogno di riposo. Invece di considerarla come una battaglia da vincere, possiamo iniziare a vederla come un’opportunità di ascolto profondo. La consapevolezza del nostro corpo e dei nostri pensieri ci permettono di scoprire che l’insonnia non è un nemico da combattere, ma un segnale che il nostro equilibrio interiore è fuori sintonia

    L’OMS definisce l’insonnia come un «disturbo dell’inizio e del mantenimento del sonno» oppure come un sonno NON ristoratore presente per almeno 3 notti alla settimana» associati ad una sensazione di fatica, stanchezza o inefficienza diurna (WHO,1992)

     L’ insonnia è un linguaggio del corpo, il segnale che «qualcosa» non sta fluendo nel modo giustoun sovraccarico, una carenza, qualcosa trattenuto, una paura, una alimentazione inadeguata, motivi clinici. 

    Addormentarsi significa…abbandonarsi, lasciarsi andare, perdere il controllo. E’ un non vedere e non udire ciò che accade attorno. E’ un fidarsi dell’ambiente, degli altri e di se stessi. E’ un lasciarsi andare, un affidarsi.  

    Ogni sera, quando vado a dormire, io muoio. E la mattina dopo, quando mi sveglio, sono rinato (Mahatma Gandhi)

    Per i greci hypnos (il sonno) era figlio della notte e gemello della morte…All’inizio esistevano solo le Tenebre da cui emerse il Caos. Dalla loro unione nacquero il Giorno, La Notte, L’Aria e Erebo. Erebo e la Notte diedero vita a due gemelli, Thanatos, dio della morte e Hypnos, dio del sonno. Hypnos dormiva in una grotta vicino al fiume Oblio  e il suo compito era quello di sottrarre gli uomini alle tribolazioni della vita per qualche ora, addormentandoli e inducendoli a sognare. In questa attività veniva coadiuvato dal figlio Morfeo, solito prendere forma delle persone sognate e apparire con un mazzo di papaveri dal potere allucinogeno.   da «Cosmogonia», Esiodo

    Questo mito è esplicativo di come il sonno possa rappresentare un rifugio e un ristoro dallo stato di coscienza e attività, sia per il corpo sia per la mente: cadere nell’abbraccio di Morfeo è invitante e il modo naturale per suggellare una giornata intensa di veglia. Sul piano simbolico il sonno è strettamente associato alla morte, per la perdita di coscienza della realtà esterna da un lato e per la componente onirica che permette all’individuo di uscire dal suo corpo fisico e vagare per mondi sottili, dall’altro.

    Per trasformare l’insonnia in sonno ristoratore è necessario comprendere la relazione che abbiamo con Morfeo. E per fare questo il primo passo è accoglierla. 

    • Quali sono i benefici che ho nel restare sveglio? 
    • A cosa mi serve? 
    • Cosa mi vuol dire il mio corpo? 
    • Come mi sento? 
    • Dove avverto la tensione? 

    Porto tutta la mia attenzione, e resto in ascolto. 

    Un ascolto che com-prende il corpo e l’intuito… un canale di comunicazione con la mia parte più profonda. Nell’insonnia c’è una dis-armonia che corrisponde alla rottura di un equilibrio.

    E ancora proviamo a chiederci: 

    • Cosa c’è che non va nella mia vita? 
    • Cosa c’è che non sto guardando? 
    • C’è qualcosa che posso fare diversamente? 
    • Posso guardare con occhi diversi?

    Il cervello che ha creato il problema non può essere lo stesso con cui posso risolverlo… 

    Rimuginio e insonnia: quale impatto sul nostro benessere?

    Abbiamo visto che il rimuginio è quella tendenza a pensare continuamente agli stessi problemi, spesso concentrandosi su eventi passati o timori futuri. Questo processo mentale, che può sembrare inizialmente un tentativo di risolvere un problema, si trasforma presto in un circolo vizioso che aumenta lo stress e l’ansia, ma soprattutto non genera azione.

    Immaginiamo di andare a casa stasera e di avere domani un colloquio di selezione a cui teniamo moltissimo. Andiamo a dormire e ci viene un pensiero automatico: “E se andasse male? E se sbagliassi? E se mi impapinassi?” dopo un po’ che stiamo lì non dormendo, ci viene un altro pensiero: “Adesso non sto dormendo e questo non favorisce il buon colloquio di domani” Questo pensiero ripetitivo, questo pensiero altrove dalla nostra realtà concreta, è il rimuginio. 

    Il rimuginio è verbale, astratto, negativo ed è perseverante. Non si ferma mai oppure è difficile fermarlo. Abbiamo un pensiero automatico, che poi diventa rimuginio, che ci provoca ansia. Ma l’ansia rafforza il rimuginio ed è un circolo vizioso che è difficile interrompere.

    Rimuginio e insonnia aumentano stress e fatica a scapito di creatività e innovazione

    La privazione del sonno aumenta la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress. L’iperproduzione di cortisolo ha un effetto debilitante sul sistema immunitario, aumentando la vulnerabilità a malattie e infezioni. Oltre alla fatica, questa condizione contribuisce a creare un circolo vizioso: più stress e meno sonno, più fatica e meno produttività. La mente e il corpo diventano più difficili da gestire, riducendo la capacità di affrontare le sfide quotidiane con la lucidità necessaria e aumentando il rischio di burnout. Quando i pensieri continuano a girare senza sosta nella mente, il cervello diventa incapace di liberarsi dalle preoccupazioni quotidiane. La creatività, che spesso nasce in momenti di calma e riflessione, si riduce in modo significativo. L’incapacità di “staccare” mentalmente dal lavoro durante la notte significa che il cervello non ha il tempo di rielaborare idee o trovare nuove soluzioni. In altre parole, l’innovazione soffre, poiché il pensiero creativo si nutre del riposo mentale che il rimuginio impedisce. In un contesto aziendale dove l’adattabilità e la capacità di risolvere problemi sono cruciali, questo può tradursi in una perdita di vantaggio competitivo e in una stagnazione delle soluzioni e dei processi aziendali.

    Come interrompere il rimuginio e migliorare il sonno

    La buona notizia è che ci sono esercizi e tecniche efficaci per interrompere il ciclo di rimuginio e insonnia. Eccone alcuni:

    1. Pratica la mindfulness. La mindfulness aiuta a focalizzarsi sul presente, riducendo il flusso di pensieri ripetitivi. Prova a concentrarti sul respiro o su sensazioni fisiche specifiche. Questo può aiutare la mente a rilassarsi.

    2. Scrivi i tuoi pensieri. Tenere un diario vicino al letto può essere utile. Scrivi le tue preoccupazioni prima di dormire: questo esercizio ti permette di “scaricare” la mente e ritardare la riflessione su questi temi al giorno seguente.

    3. Crea una routine del sonno. Stabilisci orari regolari per andare a dormire e svegliarti. Evita cibi pesanti, caffeina e dispositivi elettronici nelle ore prima di coricarti. Crea un ambiente rilassante e scuro nella tua camera da letto.

    4. Tecniche di rilassamento: metodo 4-7-8 4-7-8′, descritto come un ‘tranquillante naturale per il sistema nervoso’ dal medico americano Andrew Weill. Attinto direttamente dal pranayama, un’antica pratica indiana che significa “controllo ritmico del respiro”

    5. Sfida i tuoi pensieri. Se ti trovi intrappolato in pensieri negativi, chiediti: “È davvero così grave come penso?” o “Cosa posso fare domani per affrontare questo problema?”. Spesso il rimuginio si basa su paure esagerate o irrazionali.

    6. Utilizza le immagini Spesso le immagini ci aiutano a spostare lo sguardo e ad abbassare il rumore dei nostri pensieri. Ci sono immagini profondamente simboliche:

    • La tana: La tecnica del rifugio, attraverso cui immaginare un luogo in cui nascondersi, ritirarsi, appartarsi apre sempre la porta a percorsi insospettabili per la mente ordinaria. La tana è l’energia della rigenerazione. E’ il luogo in cui nessuno può entrare. E’ il luogo in cui non veniamo osservati e non veniamo giudicati. Ogni volta che la immaginiamo attiviamo l’energia della notte, l’eterno femminile che ci abita. Attiviamo il segreto che vive dentro di noi.
    • L’acqua: Scoprire l’affinità con l’acqua può venirci in aiuto. Gli antichi dicevano che l’anima è femminile. L’immagine dell’acqua richiama il liquido amniotico, la vita, il seme, lo scorrere. E quindi l’acqua è il simbolo della saggezza, è l’immagine della quiete, della buona accoglienza. L’acqua è cedevole, non si logora, non cerca né di agire né di conoscere. L’acqua non ha rivendicazioni, accetta ogni forma, ogni posto. L’acqua va verso il basso, che tutti disprezzano. E’ la grande confluenza di tutte le cose. E si intorbida soltanto quando è agitata, ma queste agitazioni non durano. Perché non vengono dall’acqua. E’ un po’come dire che rimuginare non aiuta mai.

    Conclusione

    Rimuginio e insonnia non sono una condanna, ma segnali che possiamo decodificare e trasformare. Prendersi cura della propria mente e del proprio corpo non è solo una necessità: è un atto di autocomprensione e rispetto verso se stessi. 

    Inizia da subito: iscriviti al webinar gratuito del 10 febbraio PENSO TROPPO E VIVO MALE Come liberarsi dalla trappola del rimuginio e vivere bene.

    Per prenotare il tuo posto e ricevere il link di accesso al webinar live scrivimi a s.santiani@myhara.it

  • Il metodo

    Pensare troppo: la mente come nemico e come alleato

    Pensare troppo, “ruminazione” è il termine corretto, è un’abitudine, o per meglio dire una trappola, che non contribuisce affatto a risolvere i problemi, anzi tiene la mente avviluppata in un circolo vizioso. Con conseguenze deleterie sull’umore, l’energia vitale, i rapporti interpersonali e la salute. 

    L’ho capito troppo tardi, ma come diceva qualcuno, meglio tardi che mai.

    Ti invito a seguire questo testo solo se senti che hai una mente che pensa troppo. 

    Se capita anche a te di avere la mente che inizia ad interrogarsi, a dire “ma che cosa ho fatto veramente? Che cosa ho sbagliato? Che cosa avrei dovuto fare? Che cosa avrei dovuto non fare? Cosa ho detto? Cosa avrei potuto dire? Cosa penseranno gli altri? Se gli altri pensano che avrei potuto dire qualcosa di diverso o fare qualcosa di diverso

    Se hai una mente che spesso cade in overthinking prova a leggere le mie considerazioni.

    Qui vorrei trattare il nostro essere vittime della nostra mente torturatrice, che sta sempre a valutare cosa fare, cosa dovrò fare, cosa ho fatto, cosa avrei dovuto fare, cosa avrebbe dovuto succedere, cosa sarebbe dovuto succedere se avessi fatto… tutta questa vita mentale che poi vita non è, che ci allontana davvero dalla vita reale.

    La ruminazione è parente stretta della preoccupazione. Entrambe sono intensamente concentrate su loro stesse ed entrambe riguardano il tentativo di vivere un momento che non è quello attuale. 

    Mentre la preoccupazione riguarda il futuro, la ruminazione si rivolge al passato: un esercizio ancora più inutile. Il ruminare ci fa perdere la prospettiva e un granello di sabbia diventa una montagna.

    I ruminatori in genere sono mossi dalle migliori intenzioni. 

    Ruminare sulle emozioni disturbanti offre la confortante illusione di compiere uno sforzo di coscienza. 

    Inoltre la ruminazione rende anche più probabile il senso di colpa “Perché reagisco sempre così?”

    Spendiamo ingenti quote di energia mentale. Questo aumenta la nostra inefficacia e ci rende improduttivi. 

    Spesso diventa una co-ruminazione quando ci troviamo a condividere con amici, parenti o colleghi il lamento verso qualcuno o qualcosa. Si potrebbe pensare che queste forme di sfogo ci facciano stare meglio, ma non essendoci progresso, né alcuna risoluzione, il risultato finale spesso è che ci sentiamo ancora più irritati.

    I ruminatori sono soggetti con cui è difficile interagire perché scaricano le loro forti e pesanti emozioni sugli altri. Vogliono parlare, sviscerare la questione con le persone che sentono più vicini. Hanno un bisogno costante di parlare delle loro paure, delle loro preoccupazioni e difficoltà. 

    Susan David nel suo libro “Agilità emotiva” sostiene che i ruminatori focalizzano l’attenzione su di Sé e non lasciano alcuno spazio ai bisogni dell’altro.

    Allora cosa possiamo fare? 

    In realtà noi questi pensieri non li vogliamo, li subiamo.

    Ricordiamoci che la mente è un ottimo servitore, ma un pessimo padrone. 

    Cioè quando noi utilizziamo la mente possiamo davvero fare cose incredibili, è uno strumento meraviglioso, ma quando la mente diventa il nostro padrone, cioè ci impone questi pensieri ossessivi e continui, dobbiamo fare qualcosa.

    Perché la mente fa questo?

    Perché la mente cerca di proteggerci da tutto ciò che è possibile.

    Entra nelle possibilità che il futuro ci riserva e, man mano che ne esplora qualcuna, vede che ce ne sono talmente tante altre, perchè le possibilità sono praticamente infinite, che si perde. 

    E’ come un sistema d’allarme che cerca di prevedere ogni possibile forma di intrusione, però poi alla fine va in loop. 

    La mente non è contro di noi, ma va fermata.

    Rimuginare non rivela i significati più veri e profondi della vita. Non aiuta a fare chiarezza sul passato né a trovare soluzioni ai problemi attuali. Invece, inquina la mente con la negatività al punto che ci si sente sconfitti ancora prima di iniziare; bloccati e demoralizzati, o si sprofonda sempre di più nella depressione”. Al contrario, disinnescare questi perniciosi meccanismi consente di riprendere in mano la propria vita. Le persone che rimuginano hanno la tendenza a guardare il mondo in modo non oggettivo e a lasciarsi manipolare dall’ansia. 

    Questo ha un impatto limitante sulle loro vite: chi rimugina perde il contatto con il qui ed ora, è immobilizzato da ansia e paure, è triste e irritabile e può avere disturbi del sonno e cali di concentrazione.

    Per tanti anni sono stata vittima della ruminazione e non credo oggi di esserne completamente incolume. Ma sicuramente, anche grazie allo yoga e allo studio delle discipline orientali, sono oggi più capace di gestire la mia Radio-Mente sempre accesa.

    Ecco alcuni suggerimenti che ho imparato a praticare e tutt’ora pratico:

    1. Riconoscere i trigger e gli schemi di pensiero. 

    I trigger sono gli stimoli precisi su cui la mente si attiva. Per esempio un trigger può essere situazionale: ogni volta che una persona mi dovrebbe scrivere e non mi scrive, la mente comincia a dire…che sarà successo, forse ho sbagliato io, forse è successo qualcosa a lei, ma forse questa relazione non è importante per me… 

    I trigger possono essere degli ambiti della nostra vita. Mi accorgo che si attivano questi pensieri soprattutto sulla coppia…forse non stiamo bene, lui mi lascerà, lei mi lascerà

    Sono schemi di preoccupazione per il futuro? Sono schemi che vanno a rivisitare ciò che ho fatto per dire che ho sbagliato? E’ un giudizio costante per quello che ho fatto? Sono schemi che mi correggono rispetto al passato che non posso cambiare?

    Il primo suggerimento è scrivere, annotare.

    Dobbiamo iniziare a vedere come si muove la nostra mente, come in una partita a scacchi, per poter fare delle contromosse. Più conosco cosa mi attiva e in che modo si attivano questi schemi e più posso giocare la mia partita con la mente. L’obiettivo non è combattere la mente, ma gestire quello che fa con una contromossa (come negli scacchi appunto) cioè bloccare i tentativi che fa di farmi scacco.

    1. Scrivere il flusso di pensieri. Il flusso dei pensieri è un flusso spesso sconnesso che subiamo e che ci dà un’alternanza incredibile di emozioni perché ad ogni parola, ad ogni frase il corpo segue. 

    Se avessi detto quella cosa…paura 

    Se lui mi lascia…terrore

    Però anche lui ha sbagliato …rabbia

    Quello che voglio sottolineare è che in quel flusso indistinto di emozioni ci perdiamo e anneghiamo. Ci manca l’aria. Perdiamo di lucidità.

    Quando invece scriviamo facciamo un sacco di cose utili:

    • Buttiamo all’esterno i nostri penseri. Non li subiamo e li portiamo dentro perché attivino le nostre emozioni. Scrivendoli, abbassiamo anche il bisogno di sfogarci con qualcuno. Invece di annegare nelle nostre emozioni, facciamo una cosa concreta, scriviamo, che sia su carta o su dispositivo elettronico
    • Scrivendo ci distraiamo. Facendo un’azione concreta non possiamo più mantenere il focus attentivo sui nostri pensieri
    • Diamo un ordine, perché per scrivere dobbiamo stare attenti al flusso di coscienza, alle parole che la nostra mente utilizza. In questo modo non ci sembra più tutto confuso, non ci sentiamo più nel mare in tempesta in cui perderci.
    • Possiamo rileggerli. Quando li rileggiamo possiamo valutarli, cosa che non possiamo fare se stiamo annegando. Quando stiamo annegando non possiamo valutare l’entità della tempesta, da dove arriva il vento, cosa poter fare, cosa non poter fare, quanto durerà. Siamo impegnati a salvarci la vita!

    Oggettivando i pensieri e prendendone le distanze, creiamo un dialogo con la nostra mente

    Cosa significa scrivere tutto il flusso di coscienza?

    Non vuol dire che ci stiamo preoccupando di qualcosa. Se la mente in quel momento dice avrei dovuto dirglielo, potevo dirgli che era bellissimo invece di dirgli che quelle scarpe non mi piacevano, che andava bene la giacca ma la camicia in fondo non mi piaceva, ecco ora non mi guarderà più in faccia…dobbiamo proprio scrivere tutto questo. 

    Senza occuparci della forma, né dell’ortografia. Esattamente quello che la mente dice. 

    3) Trovare pensieri di ancoraggio. L’ancora ci stabilizza, ci mantiene fermi anche nella tempesta. Ci aiuta ad evitare di andare dietro ai nostri pensieri ossessivi. 

    Ognuno può trovare i propri pensieri d’ancoraggio. 

    Personalmente mi aiuta il qui e ora. Invece di essere in balia dei tremila pensieri, perché il mio capo, se mi avesse chiesto, se io gli avessi chiesto, forse avrei potuto dirgli ecc. ora sono qui e sto scrivendo e sto bene. Mi aiuta anche la fisicità, congiungo le mani davanti a me e spingo bene un palmo verso l’altro rafforzando la mia presenza qui ora. Ricordo alla mia mente dove sono, cosa sto facendo. 

    Un altro pensiero d’ancoraggio è ricordarmi cosa sta succedendo e dire alla mia Radio-Mente sempre accesa, che è solo una voce nella testa. La mia Radio-Mente mi sta dicendo un sacco di cose, ma molte non sono vere.

    Infine un altro ancoraggio molto potente è la famosa frase del filosofo Emmanuel Kant 

    non ci sono risposte intelligenti a domande stupide. E se…e se… sono domande stupide a cui è meglio cercare di non rispondere. In questi casi meglio bloccare le risposte.

    In merito all’aiuto dalle discipline orientali, oltre al qui e ora, di cui abbiamo già parlato, la meditazione può venirci in aiuto attraverso esercizi di respirazione consapevole. Per esempio, semplicemente contare i tempi dell’inspiro rispetto a quelli dell’espiro, rendendo l’espirazione il doppio dell’inspirazione. Altro suggerimento, attivare Kumbaka, trattenendo per qualche istante l’inspiro in apnea piena, sentendoci per pochi istanti “sospesi”. Questa è medicina per i nostri pensieri ruminanti!Anche esercizi di Body Scan ci aiutano a spostare l’ansia dei nostri pensieri sul corpo fisico.Fare una scansione del nostro corpo ci costringe a restare nella presenza e a non farci trascinare dal rimuginio dei nostri pensieri.

    Infine condivido questa storiella zen:

    Due monaci Zen, Ekido e Tanzan, erano sulla strada per il monastero. Il giorno prima aveva piovuto e le piste erano fangose. Quando passarono nei pressi di un piccolo villaggio, incontrarono una giovane donna con uno splendido kimono dorato. La giovane cercava di attraversare una pozza d’acqua, ma si era paralizzata, pensando che se bagnava il suo kimono poteva rovinarlo, e la madre l’avrebbe rimproverata duramente. Senza esitare, il giovane Tanzan si avvicinò per aiutarla. La caricò sulla schiena e la portò dall’altra parte dello stagno. In seguito i due monaci continuarono sulla loro strada. Quando raggiunsero il monastero, Ekido, che si era mostrato ansioso per tutta la durata del viaggio, ha duramente criticato il suo compagno: Perché hai caricato quella ragazza sulla schiena? Lo sai bene che i voti che abbiamo preso lo vietano! Tanzan non si mostrò turbato, guardò il suo compagno di viaggio e rispose con un sorriso: Io ho caricato quella ragazza sulla mia schiena solo per pochi minuti alcune ore fa, mentre tu, al contrario, la porti ancora sulla tua schiena.

    Nella vita di tutti i giorni ci comportiamo spesso come Ekido: non agiamo quando è necessario, ma in seguito continuiamo a rimuginare la situazione. Restiamo legati al passato, continuiamo ad alimentare la preoccupazione che ci impedisce di andare avanti.

    La ruminazione non deve definire la nostra vita. Con consapevolezza e pratiche efficaci, possiamo imparare a gestire i nostri pensieri e a vivere più pienamente nel presente.

    Da parte mia posso proporti un webinar gratuito in cui parleremo e lavoreremo in modo pratico proprio su questo tema.

    Il Webinar si intitola “Penso troppo e vivo male: come liberarsi dalla trappola del rimuginio e vivere bene” e si terrà in diretta su Zoom lunedì 10 febbraio alle 17.30.

    Se quello che hai letto in questo articolo ti risuona, prenota il tuo posto per il webinar scrivendo a info@myhara.it

    Ti aspetto.

  • Il metodo

    Il daimon del purpose personale e aziendale

    Il purpose personale è il nostro demone

    Aristotele introdusse per primo il concetto di eudaimonia, che etimologicamente significa eu=bene e daimon= demone. La buona riuscita del tuo demone. Ciascuno di noi ha dentro un demone. Lo sapevi?

    Qual’è la tua virtù? Virtù, in greco aretè, significa capacità e non ha nulla a che vedere con retaggi cristiano religiosi.

    Perché sei qui?

    Cosa ti spinge a fare nella vita l’ingegnere, piuttosto che il cuoco, il maestro ecc.?

    L’hai già scoperto il tuo demone? 

    Se l’hai scoperto, ne sei posseduto e se ne sei posseduto, lo realizzi perché lo sei, perché non c’è separazione, e quando lo realizzi raggiungi la tua eudaimonia, la buona riuscita del tuo demone, la tua autorealizzazione. 

    Come facciamo a conoscere il nostro daimon?

    Il prof. Galimberti, in una sua conferenza, ci riporta il “Conosci te stesso” dell’Oracolo di Delfi. Se non conosci te stesso, come fai a sapere qual è il tuo demone? Non lo trovi sui social o alla televisione, neanche nei testi o facendo mille corsi. Certo, alcuni stimoli esterni ti possono aiutare, ma devi fare un lavoro maieutico, di autoriflessione, devi capire chi sei. A qualsiasi età, non solo giovani, anzi, sempre più spesso ci sono adulti in azienda che, per 5 giorni alla settimana, realizzano scopi appartenenti al sistema organizzativo di cui fanno parte e nel weekend, quando potrebbero approfittare di questo tempo, scappano da se stessi come il peggior nemico. Spesso le attività del weekend sono un’ulteriore distrazione da Sé.

    Quindi?

    Il secondo grande tema dell’oracolo di Delfi è “secondo misura”. Magari sei un manager, ma non sei bravo come i 100 top manager di Forbes. I greci ci dicono “non tentare di essere come loro, trai ispirazione, ma esamina le tue capacità, collocati là dove sei, non oltrepassare la misura, perché altrimenti prepari la tua “rovina”. Non significa non fare il meglio che puoi, inizia per prima cosa a conoscere i tuoi limiti, le tue credenze autosabotanti, i tuoi desideri, le cose che ti piace fare, quelle che ti vengono bene senza averle imparate.

    Esplora Interessi: Prova nuove attività, hobby o esperienze per scoprire cosa ti appassiona. L’esplorazione di interessi può portarti a scoprire aspetti di te stesso che potrebbero contribuire al tuo purpose.

    Ascolto di Sé: Presta attenzione ai tuoi sentimenti, emozioni e intuizioni. Cosa ti fa sentire appagato? Cosa ti entusiasma? Ascoltare sé stessi può essere una guida preziosa per identificare il tuo purpose.

    Analizza Esperienze Passate: Rifletti sulle tue esperienze passate, sia personali che professionali. Quali attività o momenti ti hanno dato maggiore soddisfazione e senso di realizzazione?

    Conversazioni Significative: Parla con amici, familiari o mentori su ciò che trovi significativo nella vita. Altre persone possono offrire prospettive utili e aiutarti a identificare aspetti importanti di te stesso.

    Coaching o Consulenza: Considera la possibilità di lavorare con un coach o un consulente che può guidarti nel processo di scoperta personale e aiutarti a identificare il tuo purpose.

    Sperimenta il Volontariato: Il volontariato in organizzazioni non profit o comunitarie può offrire opportunità per contribuire alla società e nello stesso tempo scoprire ciò che ti appassiona.

    Impara Dall’Errore: Non avere paura di provare nuove cose e anche di sbagliare. L’esperienza e l’apprendimento dagli errori possono essere parte integrante del percorso di scoperta personale.

    Fai Domande Profonde: Poni domande profonde a te stesso, come “Cosa vorrei lasciare come eredità?” o “Quale segno voglio lasciare del mio passaggio?”. Le risposte a queste domande possono aiutarti a definire il tuo purpose.

    Per i greci esisteva solo la “giusta” misura. La “giusta” misura era per esempio il timpano che permetteva di costruire il tempio. Perché la giusta misura crea la giusta bellezza, cioè la giusta proporzione degli elementi. Per i greci la categoria della “giusta” misura aveva a che fare con la mortalità dell’uomo. Quella era la misura di tutte le misure. ‟Katà Métron”, dicevano i greci, come contenimento del desiderio, della forza espansiva della vita che, senza misura, spinge gli uomini a volere ciò che non è in loro potere, declinando così il proprio ‟demone”, la propria disposizione interiore non nella felicità (eu-daimonia), ma nell’infelicità (kako-daimonia), che quindi è il frutto del malgoverno di sé e della propria forza, obnubilata dalla voluttà del desiderio, che diventa un buco nero, perché sempre alimentato dalla mancanza.

    Anche secondo Carl Gustav Jung, ognuno di noi possiede il suo “demone” e per realizzarsi pienamente deve scoprirlo. Il daimon diventa così l’equivalente della vocazione, dell’energia positiva e creativa che ciascuno possiede. Diventa allora centrale scoprire il proprio demone e risvegliarlo. La tradizione orientale ci parla di IKIGAI (sense of life) o SANKALPA, intento. L’intento nello yoga è una connessione con la verità più alta(san) e “voto” (kalpa) denotare una volontà affermativa di fare qualcosa o raggiungere qualcosa di spirituale.

    Viene identificato con una precisa determinazione, uno scopo, una affermazione. Anche se il daimon esiste dentro di noi dalla nascita, la vita in società e le convenzioni potrebbero sopirlo, anestetizzarlo. Scoprire il proprio genio e riportarlo alla luce significa compiere un profondo scavo dentro di sé. Il daimon è la quintessenza della creatività e quindi è possibile che gli altri non lo comprendano: le idee che ci ispira potrebbero essere originali o strambe, coraggiose o temerarie. Secondo lo psicologo esistenzialista Rollo May vivere seguendo il proprio genio è un’impresa difficile, ricca di ostacoli, ma in grado di regalare le migliori soddisfazioni. Seguire il proprio daimon non significa, secondo questi psicologi, aderire al canone del “genio e sregolatezza” responsabile delle fini tragiche di tanti artisti. Il daimon può spingere a traguardi inediti, imprese ardite, perfino pensieri dissimili dalla massa, ma è sempre orientato al dominio di sé, alla calma, alla felicità. Chi ha smesso di lottare contro il proprio daimon e cammina al suo fianco è tutt’altro che uno squilibrato. Aristotele diceva infatti che la felicità è “vivere in armonia col proprio buon demone”. 

    Cosa impedisce di avere chiaro il proprio daimon personale?

    Complessità Individuale:

    La personalità e le esperienze di vita di ciascun individuo sono uniche. Identificare il proprio purpose richiede una comprensione approfondita di sé stessi, compreso il riconoscimento dei propri valori, passioni e talenti.

    Pressioni Esterne:

    La società, la famiglia e altre influenze esterne possono esercitare pressioni sulla definizione del successo in modi che non riflettono necessariamente i desideri più profondi e autentici di una persona.

    Cambiamenti Continui:

    Le persone cambiano nel corso della vita a causa di esperienze, maturità, nuove conoscenze e cambiamenti di prospettiva. Ciò può rendere difficile stabilire un purpose fisso, poiché esso può evolversi nel tempo.

    Paura del Giudizio:

    La paura del giudizio degli altri o il timore di non rispondere alle aspettative possono limitare la sincerità con se stessi e rendere difficile il riconoscimento e la ricerca del proprio purpose.

    Mancanza di Consapevolezza:

    Alcune persone potrebbero non essere consapevoli dell’importanza del purpose personale o potrebbero non aver mai dedicato il tempo necessario per esplorare se stesse e i propri valori profondi.

    Crisi di Identità:

    Eventi significativi o periodi di transizione nella vita, come cambi di carriera, perdite personali o crisi esistenziali, possono portare a una riflessione più profonda sulla propria identità e purpose.

    Culturali e Sociali:

    Le influenze culturali e sociali possono spingere gli individui a seguire determinate carriere o stili di vita che potrebbero non essere in armonia con il loro vero purpose.

    Mancanza di Esperienze Diverse:

    L’assenza di opportunità per sperimentare una varietà di attività e contesti può rendere difficile scoprire ciò che davvero appassiona e motiva.

    Aspettative non realistiche:

    Alcune persone possono avere aspettative irrealistiche rispetto a cosa significhi trovare il proprio purpose. Cercare un significato profondo può richiedere tempo e pazienza.

    Riflessione Continua:

    Trovare il proprio purpose non è un evento singolo, ma piuttosto un processo in continua evoluzione. La riflessione continua e la volontà di adattarsi sono fondamentali.

    Affrontare queste sfide richiede tempo, È un viaggio personale che può richiedere pazienza, ma è anche un’opportunità per crescere, imparare e vivere una vita più autentica e significativa.

    Esiste anche il demone aziendale

    L’eudaimonia lavorativa consiste nel riconoscimento e nella valorizzazione di una serie di specifiche capacità, funzioni caratterizzanti una vita lavorativa degna di essere vissuta. Un problema che si agita da secoli nelle viscere dell’occidente: il lavoro separato dalle ragioni del vivere.
    Quando lavoriamo non produciamo soltanto beni o servizi, ma produciamo noi stessi.

    Un certo modo di intendere, progettare e vivere il lavoro ha depauperato la nostra esistenza. L’ha trasformata spesso in una farsa in cui ci ritroviamo a recitare un copione che spesso sentiamo insensato e che non ci aderisce. Il lavoro non sembra in grado di penetrare nel cuore dell’uomo e di ‘alimentarne’ l’esistenza. Non si preoccupa di significare la vita umana, e da essa ottiene in risposta disagio e apatia. Ancora per molti è una semplice parentesi di routine, che divide dal fine settimana, dalle ferie o dalla pensione. Ricettacolo di nevrosi e frustrazioni, individuali e collettive, fa sovente emergere il peggio dell’essere umano in fatto di pochezza morale, cinismo e povertà interiore. La grande separazione tra vita e lavoro è antica quanto la civiltà occidentale. Si pensi solo alla netta distinzione tra l’otium (il tempo dedicato alla pienezza creativa e alla creazione di sé) e il negotium (il tempo del lavoro gravoso e dell’arricchimento monetario)

    Il principio di ‘performanza’ e di ‘prestazione’, ha ridotto il senso del lavoro a due sole accezioni: 

    1. azione produttiva finalizzata all’efficace ed efficiente raggiungimento dello scopo sulla base di un progetto produttivo; 
    2. merce retta dal mero calcolo di un tornaconto, assorbita nella contabilità monetaria. 

    Nessuno spazio ulteriore. Preda dei gorghi dell’utile, dell’utilizzabile e del monetizzabile, il lavoro purtroppo spesso si è ‘de-esistenziato’. Il principio di prestazione ha oscurato un altro essenziale significato presente nel termine ‘lavoro’: “quando sono al lavoro sto male”, “nel lavoro riesco a realizzarmi”, “sul lavoro c’è un clima pesante”, che non evocano azioni o prodotti; non mettono in gioco le dimensioni proprie della prestazione; ma ricordano che il lavoro non è solo un mezzo per guadagnarsi da vivere, piuttosto una ‘modalità di esistenza’, uno spazio di vita, un luogo dell’esistere. Una dimensione in cui diamo forma a quello che siamo e a chi vogliamo essere. Lavorare significa innanzitutto ‘vivere’. Il problema allora è: quale vita produce il nostro lavoro?

    Dobbiamo rivedere, riformulare le coordinate che reggono il nostro vivere: rendere il lavoro un rinnovato motore di civiltà. Perché tale idea possa mettere radici occorre che vi sia chi dissodi il terreno e lo fertilizzi. Parlare di ben-essere lavorativo significa ribadire che il profitto non ha senso, per un autentico imprenditore, se scisso dal bene comune. Il vero imprenditore è un ‘avvaloratore’ del mondo, vive e opera per portare, anche attraverso gli utili della sua impresa, un contributo al compimento e al miglioramento del mondo. La misurazione dell’agire in termini di ‘quanto vale’ va costantemente affiancata da considerazioni circa il ‘che cosa esso vale’ alla luce di un progetto partecipato di ben-essere individuale e collettivo.
    Lavoro capace di essere occasione di crescita materiale e, contemporaneamente, spirituale, etica, estetica, relazionale. Occorre avere il coraggio di compiere il ribaltamento prospettico considerato eretico da tanta parte del pensiero occidentale: lo sviluppo integrale delle capacità dell’uomo non va cercato dopo o senza il lavoro, una volta assolte e risolte le sue necessità. L’essere umano è chiamato a incontrare la sua umanità mentre rende davvero umane le sue necessità materiali. Diventa tanto più uomo quanto più aspira a ‘esistenziare’ tutte le sue espressioni, a cominciare dal lavoro produttivo, al fine di farne occasione di buon esistere. Dobbiamo spiritualizzare la materia.

    La “precarietà” di cui spesso si sente parlare, non deriva soltanto dalle clausole del contratto di lavoro: precario è colui che non riesce a dare spessore esistenziale al vivere e continuità di significato alle attività. È chi non è in grado di riunificare il fare all’interno di un disegno unitario, chi non sa o non può raccordarlo a una compiuta idea di sé, degli altri, del mondo. Precario è colui che non vive il lavoro, ma si limita a ‘consumarlo’senza uno scopo, una meta, un senso. Ciò che vale per le persone, vale a maggior ragione per le imprese e per tutti i sistemi organizzativi. La prospettiva eudaimonica aziendale vuole rifuggire da un certo strisciante buonismo. Non ha niente a che fare con un generico appello ai buoni sentimenti. Neppure cade nell’equivoco di interpretare il benessere come dimensione manipolatoria, strumentalmente utilizzabile per ‘possedere’ mente e cuore di chi lavora per poi migliorare produttività e competitività. Il ben-essere eudaimonico, è bene sottolinearlo, trova il suo fine in se stesso: è una scelta etica. Un modo per onorare e rispettare l’essere umano. 


    L’eudaimonia lavorativa si sviluppa a partire dalle seguenti, concretissime domande

    • La persona è lavorativamente nelle condizioni di agire e di vivere in modo pienamente umano? 
    • Può cioè godere delle opportunità per disporre sul lavoro delle sue capacità fondamentali? 
    • Riesce quindi, attraverso il suo lavoro, a essere una ‘persona migliore’, per sé e per gli altri? 

    Sembrano domande che poco hanno a che fare con la dimensione lavorativa, ma è proprio da questo pregiudizio che dobbiamo il prima possibile liberarci! L’autentico ben-essere lavorativo costituisce un bene intangibile in grado di dotare di valore e di qualità profonda qualsiasi sistema produttivo, pubblico o privato, e da cui non si può più prescindere per rendere le imprese italiane davvero innovative e ‘civilmente’ competitive

    L’eudaimonia lavorativa è decisiva per la riduzione dell’assenteismo, la riduzione del numero di errori, l’aumento della produttività, l’innalzamento della percezione del valore del prodotto presso la clientela, il contenimento della conflittualità sindacale, tanto per citare alcuni indicatori traducibili in valore monetario. Il nostro è da troppo tempo un Paese fondato sullo spreco.

    ‘Non distruggere, non offendere, non sprecare risorse’In primo luogo risorse umane! Enormi giacimenti intellettuali, morali e sociali giacciono inutilizzati, spesso in paurose condizioni di abbandono, in ogni settore e ambito, generando un clima di apatia che talvolta sfocia nell’indifferenza, nel cinismo, e quindi nell’inefficienza e nell’improduttività. 

    Penso che oggi ci sia tremendamente bisogno di aiutare le persone a pensare a ciò che fanno e a che cosa fanno di loro stesse nel corso della loro attività lavorativa. 

    • Quali ‘se stesse’ producono? 
    • Quale umanità generano? 
    • Quale mondo determinano? 

    L’importanza di comunicare il purpose aziendale

    Il purpose aziendale si riferisce alla ragione d’essere di un’azienda, il proprio senso e scopo, oltre al semplice perseguimento del profitto. Un purpose aziendale chiaro può fornire una guida strategica e ispirare i dipendenti. Molte aziende oggi cercano di integrare il loro purpose aziendale con impatti sociali e ambientali positivi. Questo può contribuire alla creazione di un marchio solido e alla fidelizzazione dei clienti. L’identificazione e la comunicazione di un purpose aziendale possono anche essere uno strumento per attirare talenti motivati e sostenere la cultura aziendale. In sintesi, sia il purpose personale che quello aziendale sono orientati verso una direzione significativa e ispiratrice. Nel contesto aziendale, un purpose chiaro può anche contribuire al successo a lungo termine e al coinvolgimento dei dipendenti. Dopo aver fatto chiarezza tra  purpose personale e aziendale, è importante tradurli in azioni concrete allineate. Ecco alcuni passi che potresti considerare:

    Purpose Personale:

    • Allineamento delle azioni: Assicurati che le tue azioni quotidiane siano in linea con i tuoi valori e il tuo purpose personale. Questo potrebbe comportare la definizione di obiettivi personali che riflettano ciò che è davvero importante per te.
    • Crescita personale: Cerca opportunità di apprendimento e crescita personale che contribuiscano al tuo sviluppo in linea con il tuo purpose. Ciò potrebbe includere corsi, esperienze di volontariato o connessioni con persone che condividono i tuoi valori.
    • Bilanciamento vita-lavoro: Cerca un equilibrio tra la tua vita personale e professionale, assicurandoti che entrambe le sfere contribuiscano al tuo benessere e al perseguimento del tuo purpose personale.
    • Individuare i Punti di Convergenza: Cerca i punti in comune tra il tuo purpose personale e quello aziendale. Identifica come i tuoi valori personali possono integrarsi nella cultura aziendale e nei suoi obiettivi.
    • Coinvolgimento e Conversazioni: Coinvolgiti in conversazioni con colleghi e leader aziendali per comprendere meglio il purpose aziendale e condividere il tuo purpose personale. Questo favorisce la trasparenza e la comprensione reciproca.
    • Stabilire Obiettivi Personali Allineati: Identifica obiettivi personali che siano allineati con gli obiettivi aziendali. Ciò può contribuire a un senso di scopo e direzione nella tua carriera.
    • Partecipare a Iniziative Aziendali: Partecipa attivamente a iniziative aziendali che riflettano il purpose dell’organizzazione. Questo può includere progetti sociali, iniziative di sostenibilità o attività di volontariato.
    • Proporre Miglioramenti e Innovazioni: Proponi idee e iniziative che integrino il tuo purpose personale e contribuiscano al successo dell’azienda. La creatività e l’innovazione possono derivare da una connessione significativa con il lavoro.
    • Rivedere e Aggiornare Periodicamente: Periodicamente, rivedi il tuo purpose personale e assicurati che sia allineato agli sviluppi aziendali. La flessibilità e la capacità di adattarsi sono cruciali.

    Purpose Aziendale:

    • Integrazione nelle decisioni aziendali: Assicurati che il purpose aziendale sia integrato nelle decisioni aziendali strategiche. Questo potrebbe influenzare la scelta di progetti, partner commerciali e iniziative sociali.
    • Coinvolgimento dei dipendenti: Comunica chiaramente il purpose aziendale a tutti i livelli dell’organizzazione e coinvolgi i dipendenti nel processo. Esso implica la storia dell’origine, perché è nata l’azienda, la sua mission e i suoi valori. E’ importante verificare che i collaboratori siano a conoscenza. 
    • Impatto sociale e ambientale: Se il tuo purpose aziendale include un’impronta sociale o ambientale positiva, sviluppa iniziative e progetti che contribuiscano a questi obiettivi. Questo può migliorare la reputazione aziendale e la fiducia dei clienti.
    • Misurazione e adattamento: Implementa indicatori chiave di performance (KPI) che riflettano il progresso verso il tuo purpose aziendale. Monitora costantemente e adatta le strategie se necessario.
    • Coltivare una Cultura di Supporto: Crea un ambiente in cui i dipendenti si sentano liberi di esprimere il proprio purpose personale e contribuire al raggiungimento del purpose aziendale. Una cultura di supporto favorisce l’entusiasmo e il coinvolgimento.
    • Condividere Successi e Esperienze: Condividi i successi e le esperienze legate all’implementazione del purpose aziendale. Questo può ispirare altri colleghi e contribuire a costruire una cultura orientata al purpose.

    In generale, sia il purpose personale che quello aziendale richiedono un impegno continuo e un adattamento in risposta alle sfide e alle opportunità che possono emergere nel tempo. Integrare il tuo purpose nelle tue azioni quotidiane contribuirà a mantenere la coerenza e a dare significato al tuo percorso personale e professionale.

    Come il purpose personale incide sulla crescita aziendale

    Ho tracciato, secondo me, le leve principali:

    Maggiore Motivazione e Impegno: Avere un chiaro purpose personale può fornire una fonte intrinseca di motivazione. Quando le azioni quotidiane sono allineate con i valori e gli obiettivi personali, si sperimenta un maggiore impegno nel perseguire i propri obiettivi.

    Senso di Direzione: il purpose personale agisce come una bussola nella vita, offrendo una guida e un senso di direzione. Sapere cosa è veramente importante aiuta a prendere decisioni più consapevoli e orientate agli obiettivi.

    Resilienza: Chi ha un chiaro purpose personale tende ad essere più resilienti di fronte alle sfide. Una chiara comprensione del motivo per cui si stanno affrontando determinate difficoltà può fornire la forza emotiva per superarle.

    Soddisfazione Personale: Il raggiungimento di obiettivi in linea con il proprio purpose personale contribuisce a una maggiore soddisfazione personale. Questa soddisfazione non è legata solo al successo esterno, ma anche alla sensazione di aver vissuto in coerenza con i propri valori.

    Benessere Emotivo: La coerenza tra le azioni quotidiane e il purpose personale può promuovere il benessere emotivo. Sentirsi autentici e in armonia con se stessi può contribuire a una maggiore felicità e stabilità emotiva.

    Successo Professionale: Nel contesto lavorativo, avere chiarezza sul proprio purpose può guidare le scelte di carriera, facilitare la creazione di reti significative e contribuire al successo professionale a lungo termine.

    Relazioni Significative: Un purpose personale chiaro può influenzare la scelta delle relazioni personali e professionali. Coltivare connessioni con coloro che condividono valori simili può portare a relazioni più significative e appaganti.

    Impatto Sociale: Il purpose personale può ispirare azioni volte a fare una differenza nel mondo. Chi vede il proprio successo collegato a un impatto positivo nella società può sperimentare una gratificazione più profonda.

    Adattabilità e Crescita: Avere un purpose personale non implica rigidità, ma piuttosto flessibilità. Può favorire l’adattabilità e la crescita personale, consentendo di affrontare nuove sfide con un orientamento chiaramente definito.

    In conclusione, il purpose personale può giocare un ruolo chiave nel determinare il successo individuale fornendo una guida interna, una fonte di motivazione e una base per decisioni significative. Tuttavia, è essenziale considerare che il successo è multidimensionale e influenzato da molteplici fattori.

    E se il purpose personale non è allineato a quello aziendale?

    Quando il purpose personale di un individuo non è allineato a quello aziendale, possono verificarsi una serie di sfide e conseguenze sia per l’individuo che per l’organizzazione. Ecco alcuni degli effetti che possono emergere quando c’è una mancanza di allineamento tra il purpose personale e quello aziendale:

    • Mancanza di Motivazione: L’individuo potrebbe sperimentare una mancanza di motivazione e impegno nel lavoro se non riesce a vedere un collegamento significativo tra il proprio purpose e gli obiettivi aziendali. Ciò può portare a un calo della produttività e della soddisfazione lavorativa.
    • Sensazione di Incongruenza: L’incongruenza tra il purpose personale e quello aziendale può generare una sensazione di disconnessione e incongruenza. Questo può influenzare negativamente il benessere emotivo e la stabilità psicologica dell’individuo.
    • Insoddisfazione Lavorativa: L’individuo potrebbe sentirsi insoddisfatto del proprio lavoro se percepisce che le attività quotidiane non contribuiscono al raggiungimento del proprio purpose personale. Questa insoddisfazione può influire sulla permanenza a lungo termine nell’organizzazione.
    • Stress e Affaticamento: La mancanza di allineamento può generare stress, poiché l’individuo potrebbe sentirsi costantemente sottoposto a pressioni in contrasto con i propri valori e aspettative personali. Ciò può portare a un aumento dello stress e dell’affaticamento.
    • Bassa Resilienza alle Sfide: La mancanza di un legame tra il proprio purpose e gli obiettivi aziendali può ridurre la resilienza dell’individuo di fronte alle sfide e alle difficoltà. La mancanza di un motivo significativo può rendere più difficile affrontare le difficoltà con determinazione.
    • Ridotta Creatività e Innovazione: L’allineamento tra il purpose personale e quello aziendale può favorire la creatività e l’innovazione. Quando manca questo allineamento, l’individuo potrebbe non sentirsi motivato a contribuire con idee innovative e a cercare soluzioni originali.
    • Clima Organizzativo Negativo: L’assenza di allineamento può influire sul clima organizzativo generale, portando a un’atmosfera meno positiva e collaborativa. La mancanza di un senso condiviso di purpose può ridurre la coesione all’interno del team.
    • Rischio di Rotazione del Personale:Gli individui il cui purpose personale non è allineato a quello aziendale potrebbero essere più inclini a cercare opportunità di lavoro altrove. Ciò può aumentare il rischio di rotazione del personale per l’organizzazione. E’ quindi fondamentale per l’azienda promuovere la trasparenza riguardo proprio purpose, incoraggiare la partecipazione dei dipendenti nella definizione del purpose e cercare di creare un ambiente in cui gli individui possano vedere il significato e l’importanza del proprio contributo. Inoltre, gli individui possono cercare opportunità all’interno dell’organizzazione che rispecchino meglio i loro valori personali e cercare di integrare il proprio purpose personale nelle attività quotidiane.

    Eudaimonia o Purpose oppure Eudaimonia e Purpose?

    Credo a questo punto abbia senso riprendere i due concetti di eudaimonia e purpose e riflettere come insieme siano la colonna portante della nostra trasformazione, nel momento in cui scegliamo con chiarezza il nostro intento di vita.

    L’eudaimonia rappresenta la realizzazione umana e la felicità complessiva. Abbiamo visto come nella filosofia greca, in particolare nell’etica aristotelica, l’eudaimonia è considerata la realizzazione più alta che deriva dal perseguimento delle virtù morali, dall’attività razionale e dalla piena espressione delle potenzialità umane. L’accento è sulla vita ben vissuta, guidata da valori etici e virtù.

    Il purpose riguarda il motivo o la ragione d’essere. A livello personale, il purpose individuale si riferisce allo scopo o al significato che un individuo attribuisce alla propria vita. A livello aziendale, il purpose aziendale indica la missione o il contributo che un’organizzazione cerca di apportare alla società, oltre al mero guadagno finanziario.

    Sebbene tu possa riflettere su entrambi i concetti e integrarli nella tua filosofia di vita, la scelta tra eudaimonia e purpose può dipendere da ciò che consideri più significativo. E qui entrano in gioco:

    i tuoi Valori Personali: Se dai molta importanza alla virtù, all’etica e alla piena realizzazione personale, l’eudaimonia potrebbe essere un focus significativo.

    il Cercare Significato: Se sei in cerca di un significato più specifico o di uno scopo particolare nella tua vita, potresti concentrarti maggiormente sul purpose individuale.

    il Contributo Sociale: Se attribuisci grande valore a contribuire positivamente alla società o all’ambiente attraverso il tuo lavoro o le tue azioni, il purpose aziendale potrebbe essere cruciale.

    Molte persone trovano un equilibrio tra eudaimonia e purpose, cercando di vivere in modo etico, perseguendo la realizzazione personale e contribuendo al bene comune. Spesso, perseguire uno scopo che risuona con i propri valori etici può portare a una maggiore eudaimonia. La chiave potrebbe essere considerare entrambi i concetti in modo complementare, poiché un purpose significativo può arricchire la vita, portando a una maggiore realizzazione eudaimonica. In ultima analisi, la scelta dipende da ciò che risuona di più con la tua visione del mondo e con i tuoi obiettivi personali.

    Se sei interessato ad approfondire questo tema c’è un nuovo corso “Potenzia le tue risorse e rendile manifeste”. Per informazioni scrivici a info@myhara.it

  • Il metodo

    Essere squadra o fare squadra per stare bene in azienda?

    Essere squadra ha a che fare con la nostra mente coscienziale, fare squadra con la nostra mente animale.

    D’altro canto, noi siamo catalogati come una specie animale umana, come dice Rossella Rustici e non siamo catalogati come specie umana consapevole.  Per diventare consapevoli dobbiamo agire sulla nostra mente umana coscienziale.

    Siamo composti da:

    • mente umana in cui si sviluppa la nostra coscienza 
    • mente animale, del mammifero, rettiliana

    Ogni giorno c’è una lotta tra la mente animale e la mente umana.

    In questa lotta spesso la nostra mente umana, la nostra coscienza perde colpi

    viene assorbita dalla mente animale.

    E’ fondamentale che la mente coscienziale mantenga la sua scala di valori

    (amore, etica, responsabilità, vita, gioia, bellezza, tipiche di una mente spirituale, dove spirituale non deve essere confuso con religioso)

    I desideri della mente animale sono quelli di ricercare le zone di comfort per adattarsi all’ambiente. L’adattamento alle zone comfort ci porta a cercare di avere sempre più cose possibili. L’avere non è l’essere della mente coscienziale. Nella mente coscienziale sono presenti emozioni come: provare gioia, serenità, fare le cose con empatia, amore, aiuto, rispetto,non calpesta ecc.  

    Quando la mente coscienziale colpisce gli altri e l’ambiente a cui si rivolge tutti ne restano contaminati e si produce in generale più serenità, collaborazione, vita, positività ecc. 

    Quando non riesco a collegarmi alla scala di valori positivi, continuo a stare legata alla mente animale (mi arrabbio, non rispetto gli altri ecc) Mancando la scala dei valori della propria coscienza, manca la consapevolezza se ciò che sto facendo sia giusto o sbagliato per me, se faccia bene o no anche agli altri. La mente animale ha le regole dell’adattamento all’ambiente per sopravvivere (le leggi di capobranco, del gregario, del maschio alfa, del potere, lotta per il territorio, ecc.) Non ha la consapevolezza del giusto o sbagliato.

    La nostra mente coscienziale non si adatta all’ambiente per sopravvivere, come fa la parte animale che cerca sempre zone di comfort. Ma adatta l’ambiente a se stessa, alle proprie energie. Si può capire la lotta che c’è tra la parte animale e la mente coscienziale. Sono nettamente in opposizione

    Proviamo dunque a chiedere ad a un collaboratore o a un candidato durante un colloquio di selezione, cosa significa fare squadra o essere squadra e non dovremmo stupirvi se le risposte che otterremo oscilleranno tra affermazioni romantiche, ma poco concrete come “essere in perfetta sintonia con i colleghi” e tra dichiarazioni di intenti più simili a slogan elettorali quali “tutti uniti verso un comune obiettivo”.

    Difficile sviluppare un’abilità così fondamentale e da tutti dichiarata di possedere, se in partenza, già nel singolo individuo c’è confusione.  

    Essere squadra significa definire prima la propria scala di valori e verificare se corrisponde a quella del team, prendere accordi sulle questioni organizzative e comportamenti condivisi, che concilino efficienza, efficacia, gratificazione ed espressione personale di ogni membro della squadra.

    Per essere squadra è importante farsi domande

    Alcune di esse potrebbero essere:

    • Cosa mi impegno a fare per accrescere la sinergia del team e mantenere alto il mio livello di soddisfazione e motivazione personale?
    • Cosa perderei se togliessi un po’ del “mio fare sempre il meglio” per far sostenere e innalzare coloro che stanno solo “facendo sempre bene” o per permettere, a chi non lo sta facendo, di farne almeno un pò?

    Probabilmente perderemo un po’ di: 

    • visibilità, 
    • rafforzamento della nostra parte egoica che ha bisogno di sentirsi “speciale”, 
    • crescita economica.

    Ma non credo che tutto ciò minerebbe la nostra sicurezza. Anzi.

    E’ indiscutibile che per restare sul mercato e rispondere sempre meglio alle necessità o addirittura anticiparle, dobbiamo dare il meglio.

    Ma il meglio lo dobbiamo dare come persone di senso.

    Il senso, o scopo, è quello che dà significato e forza a ciò che facciamo e al perchè lo facciamo.

    Qual è lo scopo di essere o fare squadra?

    Il mercato infatti lo fanno la bravura, il tempo, il servizio, l’intenzione e l’informazione.

    Nel mettere a servizio il nostro meglio non emergono meno “punte di diamante” ma aumenta il livello generale di bene aziendale, che si traduce in successo.

     Un po’ effetto marea, il livello si alza.

    • Che vantaggi trae il singolo a cui viene chiesto di mettere il meglio a servizio del bene collettivo e dell’essere squadra? 

    Innumerevoli:

    • maggiore compartecipazione
    • allentamento della tensione, ansia stress
    • comprensione del valore della condivisione
    • nessuno è perfetto
    • integrare le proprie imperfezioni
    • alzare il senso di responsabilità comune 
    • maggiore successo per tutti
    • essere leader veri e cioè guide, ispiratori per far emergere il meglio da ognuno
    • dare ed ottenere fiducia

    Bisogna lavorare dall’interno, verso l’esterno.

    Un gruppo va costruito dall’interno e va guidato con strumenti che permettano alle persone di mantenersi nella propria centralità ed unicità, armonizzandosi poi con il team, anche di fronte a momenti di alta pressione lavorativa.

    Tu non sei speciale, sei unico.

    Tutto ciò nasce dall’osservazione, prima di sè stessi, dall’aver registrato una memoria nel corpo fisico di forze interne ed esterne che si allineano, per poi imparare a dosarle nel gruppo, per nutrirlo ed arricchirlo. I nostri corpi hanno l’intelligenza necessaria per relazionarsi e ciò che si manifesta sono leggi della fisica che regolano tutta la materia, dai filamenti cellulari ai corpi dell’universo. C’è un’armonia sottostante e il nostro corpo la conosce. Se la ricorda.

    La scelta tra  essere  o fare squadra  coinvolge il singolo su tutti e 3 i livelli:

    • fisico
    • mentale
    • emotivo

    L’energia del corpo fisico è la prima leva potente di comunicazione non verbale che non tradisce. Si accede ad una lettura facilitante, se ci si pone attenzione.

    Vantaggi e Svantaggi dell’essere o fare squadra da remoto o in presenza

    Vero è che nel team in remoto è una lettura estremamente difficile quella del corpo fisico, anche se con un buon allenamento ci si può affinare. Sicuramente si può bilanciare con il cinestesico.

    Ma la postura del corpo fisico è fondamentale nell’essere team ed è estremamente contagiante, soprattutto a livello inconscio.

    Per quanto riguarda la mente, abbiamo accennato all’importanza della scala dei valori che sono la caratteristica della mente coscienziale o spirituale.

    Quali sono i valori che guidano le nostre giornate e le nostre relazioni.

    Esercizio

    Prova a svolgere questo semplice esercizio in due parti:

    1) dalla seguente lista di valori, individua i 10 più importanti per te.

    2) ordinali per importanza. 

    In questo modo avrai una gerarchia chiara e precisa nel caso in cui due valori siano contrastanti su una determinata questione.

    Abbondanza, comodità, eccellenza, impegno, pazienza, serenità, abilità,  perdono, accettazione, educazione, indipendenza, perfezionismo, severità, adattabilità, coerenza, efficacia, perseveranza, affetto, efficienza, integrità, persuasione, sicurezza, affidabilità, compassione,  intelligenza, piacere, sincerità, allegria, competenza, eleganza, portamento, socializzazione, altruismo, competizione, intimità, positività, solidarietà, ambizione, comprensione, empatia, intuizione, potere, amicizia, comunità, equilibrio, spiritualità, amore, equità, leadership, precisione, controllo, tradizione, lealtà, prestigio, stabilità, apertura, cooperazione, esperienza, libertà, privacy, successo, appartenenza, coraggio, etica, prudenza, supremazia, apprendimento, correttezza, fama, maturità, puntualità, sviluppo, approvazione, creatività, famiglia, merito, purezza, tempo, armonia, credibilità, fede, minimalismo, relazioni, tenerezza, assistenza, crescita, fedeltà, natura, religione, umanità, astuzia, curiosità, felicità, reputazione, umiltà, autenticità, decisione, fiducia, obbedienza, responsabilità, umorismo, democrazia, forza, onestà, rettitudine, utilità, autorità, denaro, generosità, onore, ricchezza, autostima, determinazione, gentilezza, ordine, riconoscimento, verità, avventura, devozione, giustizia, organizzazione, rischio, visione, bellezza, dignità, gratitudine, orgoglio, rispetto, vulnerabilità, benessere, disciplina, grazia, ottimismo, sacrificio, calma, gruppo, pace, saggezza, cambiamento, divertimento, guadagno, partecipazione, salute, carriera, dovere, igiene, patriottismo, semplicità

    Se abbiamo chiari i nostri top ten di valori, la capacità di essere team sarà direttamente proporzionale a quanto riusciamo ad esprimere gerarchicamente quelli per noi più importanti.

    Se per esempio, nella tua lista di valori la tranquillità è più in alto rispetto all’orgoglio, deciderai di lasciar cadere quelle provocazioni.

    Se invece l’orgoglio viene prima, deciderai di rispondere a tono rinunciando alla tua tranquillità pur di difendere il tuo onore.

    Comprendere, in base alla propria scala di valori, se l’essere squadra sia per i collaboratori più funzionale in presenza, da remoto o un mix di entrambe ha proprio a che fare con la graduatoria dei valori e permette l’espressione vitale ed autentica delle persone.

    Non c’è una ricetta che possa funzionare per tutti. E sicuramente c’è poi una strategia che debba tenere conto del sistema. Il sistema migliora e si potenzia però solo quando il team è vitale e valorizzato, e per essere squadra è necessario attivare la mente coscienziale dei singoli.  Sicuramente la scala dei valori può essere un buon suggerimento.

    Se sei interessato a confrontarti anche con altre realtà su questi temi, ci vediamo il 6 ottobre a Milano per l’evento dal vivo “Il Team Sublime”: Come sostenere il cambiamento di stato del team da «solido» a «gassoso» e viceversa. Puoi prenotare il tuo posto cliccando QUI.

  • Il metodo

    La gestione del tempo libero fa paura

    Per molte persone il tempo libero sembra essere un miraggio, per altre il tempo libero rappresenta un vero disagio.

    La paura dell’ozio accompagna l’umanità dall’inizio della sua esistenza, ma negli ultimi decenni ha raggiunto proporzioni gigantesche. 

    Già Pascal nel Seicento faceva notare che le miserie dell’uomo sono riconducibili alla sua incapacità di stare da solo in una stanza. John Lennon ha proseguito ricordandoci che spesso la vita è «una cosa che ci succede mentre siamo impegnati a fare altro». 

    Molte discipline spirituali hanno in comune la ricerca di consapevolezza, un termine che spogliato di pretenziosità significa fermarsi ed essere coscienti della nostra esistenza. Oggi l’ozio è diventato nientedimeno che un’eresia, perché sulla paura dell’ozio si regge l’intera macchina economica. E sappiamo bene gli eretici che rischi corrono: un rogo più o meno metaforico. Forse allora la cosa migliore è che gli oziosi si armino di ironia e di un pizzico di furbizia.

    Il termine di “oziofobia” (traduzione italiana di ociofobia) deriva dallo psicologo spagnolo Rafael Santandreu. Con questo termine lo psicologo voleva definire la paura di non avere qualcosa, quindi la paura della gestione del tempo libero.

    E’ una paura sempre più dilagante, soprattutto in questa società e nei nostri sistemi organizzativi, dove predomina la politica del fare.

    Sono molte le persone che fanno esperienza di disagio quando non hanno cose da fare. Si tratta in genere o di paura di annoiarsi oppure di non sapere bene cosa fare perchè, fuori dal lavoro, non si hanno altri interessi.

    L’ozio diventerà il problema più urgente, difficilmente l’uomo riuscirà a sopportare se stesso. Friedrich Durrenmatt

    La gestione del tempo libero è ciò che “rimane” nel momento in cui sono stati svolti i compiti e le attività strettamente necessarie nell’arco di una giornata.

    Le attività quotidiane di sussistenza, come mangiare e dormire, possono essere considerate parte del tempo libero, ma in realtà non lo sono. Il nostro corpo ha delle necessità biologiche che è strettamente necessario soddisfare per mantenerlo in buona salute. Per questo motivo il tempo dedicato al riposo e al nutrimento è comunque un “lavoro necessario”. Anche le incombenze della preparazione dei pasti e della loro organizzazione logistica (fare la spesa, cuocere il cibo,ecc.) sono spesso fonti di stress.

    Sebbene in apparenza ci sembri un controsenso, andare in palestra o a svolgere altri sport non può essere considerato tempo libero, perché richiede impegno, dedizione, fatica, costanza, organizzazione. Lo sport genera benessere fisico e psichico duraturo, così come tutte le espressioni artistiche. Quando però diventano degli impegni costanti e cadenzati, che richiedono sforzi di volontà, smettono di essere parte delle attività svolte nel “tempo libero” e diventano parte del programma settimanale a cui ci sentiamo in dovere di attenerci.

    Il tempo dell’ozio non esiste più. 

    Molti pensano che il tempo libero sia tempo “perso” perchè non produttivo, addirittura ci si sente in colpa. Questo è frutto di una società che mette al primo posto l’efficienza e la produttività.Guai ad oziare!

    Ad alcuni di noi la gestione del tempo libero fa paura perchè ci obbliga ad entrare in contatto con noi stessi e talvolta anche con il vuoto. Avere del tempo libero può significare entrare in contatto con le nostre emozioni, anche quelle che non ci piacciono.

    La conquista del tempo libero come spazio per ritemprarci sembra sfumata.

    Eppure abbiamo bisogno di riposo.Estremo bisogno. Siamo frenetici come le api, guidati dal pilota automatico, sedotti da falsi bisogni. Il riposo ci aiuterebbe ad essere più forti, più creativi e a lavorare meglio. Molti di noi pensano che “ dentro di noi non ci sia nulla di particolare da scoprire” così ci neghiamo tutti gli spazi di introspezione, l’opportunità di chiederci chi siamo, dove stiamo andando, cosa vogliamo.

    Che cos’è allora il vero tempo libero? 

    Si tratta di un arco di tempo durante il quale non abbiamo alcuna attività da svolgere, che possiamo dedicare a noi stessi in attività non schedulate, non strutturate, non finalizzate a un “vantaggio esterno”.

    Lo spiega bene lo storico francese Alain Corbin quando lo descrive come un perimetro personale «governato dal piacere e in cui dimentichiamo le imposizioni temporali stabilite dalla società e creiamo un tempo per noi».

    La gestione del tempo libero va misurato in termini di qualità.

    ll sintomo più visibile di chi soffre di oziofobia è l’ansia. Si manifesta con grande intensità nel momento in cui la persona in questione non ha niente da fare, ma anche prima di un fine settimana senza programmi e aumenta prima delle vacanze.

    Le persone di questo genere sono fortemente influenzate dalle ideologie di efficacia e produttività. Danno maggior priorità ai successi rispetto alla felicità. La cosa peggiore è che misurano i loro successi in termini quantitativi e non qualitativi. Si vantano delle tante attività svolte o dei tanti obiettivi raggiunti. Non menzionano la reale qualità di questi successi,

    Rafael Santandreu, padre del concetto di “oziofobia”, dice che dovremmo imparare ad annoiarci di più. Non c’è niente di male in questo. Non c’è niente di terribile nel passare un’ora a fissare la parete e a pensare a delle stupidaggini. Non solo non c’è niente di sbagliato in questo, ma è necessario. Si tratta di un aspetto che si incastra perfettamente nel concetto di equilibrio. Va bene lavorare e avere vari interessi, ma è altrettanto giusto risposare ed annoiarsi di tanto in tanto.Santandreu rivela che le menti oziose sono molto più produttive. Afferma anche che “la proporzione ideale sarebbe un’ora di lavoro e 23 di ozio”. Non dimentichiamo che i leoni vanno a caccia solo una volta alla settimana e che Cervantes ha scritto il suo Don Chisciotte della Mancia nei momenti di svago in Castiglia. Non è rimasta traccia del suo impiego come esattore delle tasse, invece il risultato del suo ozio ha determinato una trasformazione della lingua e della letteratura spagnola che è giunta fino ai nostri giorni.

    Come si supera la paura della gestione del tempo libero?

    La paura del tempo libero si supera innanzitutto liberandosi dell’ansia che nasce dal sentirsi in obbligo di essere produttivi a tutti i costi. Le menti oziose sono molto più accurate, veloci ed efficienti perchè non vanno in corto circuito. 

    Rendendosi conto che siamo noi i detentori del nostro potere personale e della nostra energia e che la gestione del tempo riguarda la scelta che facciamo nel mettere al centro della nostra vita il fare e la gestione del tempo.

    il fare, l’essere sempre impegnati ci fa sentire vivi, ci porta sempre “ fuori da noi” in un tentativo di fuga e di compensazione da noi stessi.

    Conosco molto bene questa modalità on-off perchè la mia natura è quella del fare sempre tremila cose, perchè mi piaccionp, perchè sono curiosa, perchè se gli altri hanno bisogno, lavoro o vita privata, io devo esserci. 

    Tanto più se lavoro nella relazione d’aiuto. 

    Non posso rinnegare la mia natura, ma posso esplorarla meglio, osservare da cosa mi sto spostando o cosa non voglio sentire.

    Gli innumerevoli anni di lavoro su di me, mi hanno portato proprio a questo: a riconoscere gli stati d’animo, le emozioni che prendono il sopravvento come un osservatore esterno, senza identificarmi in quelle emozioni, situazioni ecc. ed integrare la mia necessità di oziare nel tempo libero, per essere capace poi di accogliere tutto quello che la vita lavorativa, e non solo, mi presenta.

    Da quando ho integrato che tutto quello che succede, succede “per“ me, sono più rilassata e fiduciosa anche nei momenti veramente critici.

    E’ semplice? No, ma è facile, basta allenarsi.

    E’ veloce? Non lo so, per me non lo è stato, proprio per le premesse di prima, ma potrebbe anche esserlo. Dipende dalla storia di ognuno di noi e da quello che scegliamo di raccontarci.

    Per superare la paura della gestione del tempo libero dobbiamo entrare nella comprensione che il tempo non è il nostro nemico che ci insegue in ogni cosa che facciamo, come se non ne avessimo mai abbastanza. 

    Perché il tempo diventa un nemico? 

    Spesso tutto nasce da un periodo di grande impegno, che viene però affrontato male: si distribuisce in modo sbilanciato l’attenzione alle singole attività, si organizza male la giornata, si vuole fare tutto e subito, si fa fatica a delegare o a chiedere un aiuto. E anche quando non si rinuncia a piccole “concessioni” di piacere, queste vengono relegate in un tempo misero e vissute con ulteriore aumento della frenesia. 

    Il tempo libero non va vissuto come una colpa,o un passaggio tra un’attività e l’altra, va visto come una condizione umana positiva e produttiva.

    Non avere paura di incontrare se stessi, è proprio in quell’incontro che possiamo accedere meglio alle nostre risorse e risolvere tanti conflitti.

    Nella modalità di ozio e tempo libero, diamo più spazio al nostro emisfero destro la parte del cervello destro, lo spazio della sintesi, delle soluzioni e dei suggerimenti, delle nuove possibilità e delle idee.

    Da alcuni  studi è emerso inoltre che  i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress,  sono molto più alti durante il weekend per alcune persone, rispetto ad altre. Ma come, il weekend non era fatto per rilassarsi?

    Sembra che  siamo proprio noi donne a preferire i giorni lavorativi a quelli dedicati alla gestione del tempo libero. Il motivo?  Probabilmente è dato dal fatto che, nonostante la volontà di stabilire degli equilibri familiari, ancora oggi sono le donne ad assumersi il carico maggiore di impegni e responsabilità domestiche. Secondo lo psicologo Luke Martin, però, l’ansia da weekend è collegabile anche a un altro aspetto della nostra vita, quello della programmazione. In effetti, siamo così abituate a organizzare la nostra vita nei minimi dettagli, incastrando impegni personali e appuntamenti di lavoro, da sentirci un po’ perse quando invece non lo possiamo fare.

    VADEMECUM per la gestione del tempo libero:

    • Avere tanto tempo libero non ti rende automaticamente più felice: se non lo sfrutti adeguatamente, può essere controproducente come averne poco.
    • Dedicati a migliorare la qualità del tuo tempo libero: non è la quantità a fare la differenza, ma il modo con cui lo impieghi.
    • Mantieni sempre un equilibrio tra impiego e riposo: evita di impegnarti in troppe attività o, contrariamente, di oziare per tutto il tempo libero.
    • Godi del tuo tempo libero senza stress: non importi nessun obiettivo vincolante o di svolgere attività che non ti appagano.
    • Non sprecare il tempo a tua disposizione se non sei riuscito a pianificarlo al meglio: improvvisare può essere una scelta vincente (ed avvincente)!
    • Come ogni impegno importante, organizzati affinché tu possa arrivare preparato. Evita di rimandarlo ripetutamente e non sottovalutare i suoi benefici.
    • Il tempo libero contribuisce al tuo benessere e, di conseguenza, alla tua felicità. Assicurati di averne durante la tua giornata e di utilizzarlo al meglio.

    Una volta un contadino disse: «Il tempo c’è, basta prenderselo». Forse il tempo in realtà è tutto libero. Non si tratta di liberare il tempo, ma di liberare noi stessi. Un’impresa talmente semplice e a portata di mano da risultare impossibile per le nostre vite e menti complicate.

    Se vuoi fare l’esperienza di un fine settimana in cui sperimentare uno “spazio ozioso consapevole”  dedicato al “ sentire”, all’insegna del benessere fisico e soprattutto energetico,con una serie di strumenti (distensione immaginativa, forest bathing, mindfulness, camminate consapevoli, tecniche di respirazione, pratiche di ascolto del corpo, ecc)  che ti verranno proposti per entrare meglio in contatto con le nostre risorse, lontano dalla solita routine, a contatto con il silenzio dei boschi, scrivimi a info@myhara.it