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disciplina

  • Il metodo

    La motivazione personale è semplice. La disciplina è affidabile.

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    La motivazione personale può arrivare facilmente, senza alcuno sforzo, ma può altrettanto facilmente andarsene.

    La disciplina è affidabile, non se ne va.

    Ogni mattina quando ci svegliamo, non ne siamo sempre consapevoli, ma dobbiamo, in qualche modo, fare affidamento ad entrambe per affrontare qualsiasi esperienza la giornata ci offra.

    Quando, nelle nostre attività motivazione personale e disciplina sono presenti insieme, il risultato è garantito.

    Ma la verità è che noi siamo vulnerabili e che non tutti i giorni sono uguali.

    Cosa fare quindi quando motivazione personale e disciplina non collaborano in sinergia?

    Ciò che dobbiamo garantirci che in assenza di una, possa esserci almeno l’altra.

    Faccio un esempio molto semplice:

    Mi alzo, come tutte le mattine molto presto per andare a correre. Ieri mattina c’era il sole, oggi piove da stanotte e sono sotto le coperte in conflitto con le mie autogiustificazioni che mi invitano a stare ancora un po’ a letto a dormire, visto che piove, è umido ecc.

    La motivazione personale in questo caso è…zero.

    Ma la disciplina mi ricorda che sto allenandomi tutti i giorni perché voglio aumentare la durata del mio allenamento e che, anche se piove so, che alla fine della corsa, il beneficio che provo è per me fonte di benessere.

    Ecco un semplice esempio di come la disciplina supplisce alla motivazione personale e addirittura poi, aprendomi all’esperienza, scopro che correre sotto la pioggia mi regala sensazioni piacevoli, perché, una volta deciso di affidarmi completamente all’esperienza, lascio aperti nuovi canali percettivi.

    È meglio creare la disciplina che fare affidamento sulla motivazione personale.

    La maggior parte delle volte ci viene suggerito come mantenere alta la motivazione.

    Sono piene le librerie de: I 7 passi per il tuo successo, gli ingredienti per essere sempre al top, Scopri le chiavi per rendere la tua motivazione sempre al massimo, ecc.

    Oggi vorrei spostare la tua attenzione su quella che reputo la domanda più sostanziale :

    Come allenare il nostro corpo, la nostra mente a lavorare senza motivazione

    È la disciplina la chiave del successo e, paradossalmente, è proprio quella che manca nella maggior parte delle persone al giorno d’oggi e che impedisce loro di essere costanti in quello che vogliono.

    La disciplina è libertà.

    La disciplina è la differenza tra tu che vivi una vita che non ti piace e tu che vivi i tuoi sogni. E’ la differenza tra chi sei e chi sarai.

    La disciplina implica la costanza, un lavoro lento e costante su se stessi, giorno dopo giorno, mese dopo mese.

    Nulla ci viene regalato, tutto dipende dalle nostre capacità di controllare la nostra mente, avendo la meglio sugli impulsi di pigrizia e indolenza.

    Per me è stato strategico, in tanti anni di percorsi di crescita personale e coaching, iniziare ogni giorno a farmi la seguente domanda:

    A chi sto dando il mio potere?”

    E’ la pigrizia, il mal di schiena, il dover fare mille cose ecc. che determinano le mie decisioni?

    Chi comanda chi?

    Qual è quel miglioramento che se fatto poi cambia tutta la tua vita?

    Rispondi a queste domande ora in un foglio di carta.

    Quando si tratta di voler lavorare su sè stessi, per mettere in atto dei miglioramenti che ci portino nella direzione dell’unico grande obiettivo di vita che ci accomuna tutti: amare se stessi, la legge è matematica:

    i risultati dipendono solo dalla percentuale di impegno che ci mettiamo:

    dato 100 – avremo 100

    dato 20 – avremo 20

    E’ inconfutabile!

    il primo passaggio per attivare un miglioramento è:

    programmare il nostro corpo.

    Il corpo è lo strumento più grossolano che abbiamo per iniziare a risvegliare una nuova consapevolezza in noi.

    Il corpo è un barometro perfetto della nostra anima, delle nostre emozioni!

    Il nostro involucro, dobbiamo comprenderlo, viverlo senza separazione.

    Il fisico ci appartiene fin dalla nascita, eppure abbiamo difficoltà a sentirlo nostro, lo diamo per scontato, come se fosse normale camminare, respirare, guardare.

    Ci pensiamo solo quando stiamo male.

    Attraverso Thinking Growth, il quarto beneficio del metodo ENERGYOGANT, un vero e proprio coaching di gruppo, ci si allena al miglioramento della propria forma mentis partendo da esercizi e tecniche quotidiane, suggerite al gruppo di manager coinvolti, per osservare e riconoscere le proprie credenze introducendone di nuove, ai fini di sviluppare e migliorare la propria energia personale ogni giorno a piccoli passi, nel nostro contesto lavorativo e con disciplina

  • Il metodo

    Il potere dei Quattro: la via Lakota alla Leadership senza autorità

    Mi è piaciuto moltissimo Il libro di Joseph M. Marshall III dal titolo Il potere del quattroHo preso spunto da un modello, la società Lakota, popolo nativo americano, e dal suo concetto di leadership, senza in realtà che i Lakota conoscessero la parola “leadership”.

    Nella lettura si evince che è il carattere, e non la posizione occupata, che può trasformare in leader. Nella loro società, non esisteva né il concetto, né la “parola” autorità. 

    Un capo Lakota non poteva costringere nessuno a seguirlo.

    Non aveva neppure i social, poverino!

    Tutto si basava sul carattere e l’esperienza. La società lakota produsse alcuni dei capi più noti e ammirati della storia, come Cavallo Pazzo, Toro Seduto o Nuvola Rossa.

    Leggendo il libro mi è venuta voglia di confrontare il “Il potere del quattro” e la leadership senza autorità, basata su valori profondi e sulla capacità di ispirare gli altri. 

    Il testo si basa su quattro approcci filosofici, che partono dai concetti di  coraggio, saggezza, generosità e resilienza

    1. Coraggio (Bravery): Per Marshall si tratta del coraggio di essere autentici, di affrontare situazioni difficili e di agire secondo principi, anche quando non si ha l’autorità formale per farlo. Succede anche nella leadership senza autorità, dove il leader deve spesso fare scelte difficili e portare avanti idee, nonostante le resistenze, senza potersi appoggiare ad un potere gerarchico.

    Questo implica la capacità di affrontare critiche e fallimenti, motivando gli altri con il proprio esempio.

    1. Saggezza (Wisdom): La saggezza nel libro è intesa come la capacità di ascoltare, comprendere e apprendere dalle esperienze, proprie e altrui. Nella leadership senza autorità, la saggezza diventa la capacità di analizzare situazioni complesse, di comprendere i bisogni degli altri e di influenzarli con intuizioni profonde. La saggezza conferisce credibilità e rispetto. Un leader “saggio” riesce a guidare i team attraverso la sua visione e la capacità di vedere il quadro più ampio, piuttosto che imporre la propria volontà.
    2. Generosità (Generosity): La generosità nel contesto del libro è la capacità di dare senza aspettarsi nulla in cambio. Questo si manifesta nel supportare gli altri, condividere conoscenze e riconoscere il contributo altrui

    Nella leadership senza autorità, essere generosi con il proprio tempo, offrire mentoring e creare un ambiente in cui gli altri possano crescere è essenziale per costruire fiducia e rapporti di reciprocità.

    Offrendo disponibilità e supporto disinteressato, i leader guadagnano la fiducia e l’ammirazione del team, creando una base solida per una leadership duratura.

    1. Resilienza (Fortitude): La resilienza è la capacità di rimanere saldi di fronte alle avversità e ai fallimenti. Ma anche la capacità di accettare il cambiamento e di continuare a crescere nonostante le difficoltà

    Un leader senza autorità deve essere resiliente per affrontare situazioni in cui le proprie idee possono essere messe in discussione, o non si riceve immediatamente il sostegno del gruppo.. 

    Cosa accomuna il “Potere dei quattro” alla leadership senza autorità?

    Entrambi mettono l’accento su una leadership che nasce dai valori personali e non dall’autorità formale. Un leader senza autorità, così come descritto da Marshall, ispira gli altri non perché può imporre il proprio volere, ma perché dimostra di essere coerente con i propri valori.

    Ecco i punti principali:

    1. Un leader senza autorità influenza attraverso l’esempio, dimostrando le proprie qualità nelle azioni quotidiane. La leadership non si esercita dall’alto, ma emerge dal comportamento.
    2. Crea relazioni e fiducia. Sia “Il potere del quattro” sia la leadership senza autorità vedono la fiducia come fondamento della capacità di influenzare. Senza fiducia, non si può esercitare alcun tipo di leadership, specialmente se manca il potere formale.
    3. La capacità di ascoltare e comprendere il punto di vista degli altri è centrale in entrambi i contesti. La leadership senza autorità si manifesta soprattutto nella capacità di coinvolgere gli altri e di farli sentire parte del processo decisionale.

    Quali differenze tra il “Potere dei Quattro” e la leadership senza autorità?

    1. Il contesto ambientale e culturale: “Il potere del quattro” si basa sui principi della saggezza Lakota, che sono profondamente radicati in una cultura che valorizza l’equilibrio e l’armonia con la natura e con la comunità. La leadership senza autorità, invece, è spesso applicata ai nostri contesti aziendali moderni, dove le dinamiche sono influenzate da fattori economici e strategici.
    2. Il contesto applicativo: Il libro di Marshall è più orientato alla crescita personale e alla leadership in un senso ampio, che include comunità, famiglia e relazioni. La leadership senza autorità è spesso discussa in azienda, con focus sulla gestione del team, progetti e obiettivi professionali. Di fatto un leader senza autorità emerge come guida non solo sul posto di lavoro, ma anche nelle interazioni quotidiane, mostrando coerenza tra comportamento, valori e pensieri. La leadership è quindi uno stile di vita, in cui le persone sono da ispirare con l’esempio e non con titoli.

    Ne “Il potere del quattro” la leadership è intesa come servizio, come volontà di mettere le proprie capacità al servizio della comunità, aiutando gli altri a raggiungere i loro obiettivi. Questo è un principio maieutico che non cerca il controllo o la gloria personale, ma si concentra sulla crescita  dei collaboratori e sul bene comune.

    Un altro aspetto affascinante è la ricerca costante tra azione e riflessione, evitando di reagire impulsivamente alle situazioni. 

    Questo implica una buona capacità di imparare a separare l’osservato dall’osservatore: esiste il leader ed esistono i suoi pensieri, comportamenti, ecc. Il leader non è né i suoi pensieri, né i suoi comportamenti, ma molto di più. 

    Il processo di disidentificazione dovrebbe permettere al leader di essere in grado di fermarsi, analizzare e poi agire. Un leader senza autorità che bilancia azione e riflessione evita decisioni affrettate e può quindi costruire una narrativa solida e coerente. Questo atteggiamento permette al team di apprezzare la profondità del pensiero del leader, vedendolo come un punto di riferimento.

    Riassumo qui i 4 approcci filosofici che sono alla base di quanto esposto finora:

    1. Conosci te stesso

    Lo troviamo sul frontone del tempio di Apollo a Delfi l’oracolo che rivolgeva all’uomo di allora l’invito a indagare dentro di sé, per scoprire che l’essenza della nostra vita è dentro, non al di fuori di noi. Così Socrate, che sulla conoscenza di se stesso costruirà uno dei cardini del suo pensiero. Lo stesso Sun Tzu ne L’arte della guerra narra “Se non conosci né il nemico, né te stesso, ogni battaglia significherà per te sconfitta certa. Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari a quelle di sconfitta. Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo.” 

    Il meglio che ciascuno di noi può fare è affrontare la vita con tutte le sue forze e le sue debolezze. Per farlo dobbiamo essere assolutamente sinceri con noi stessi riguardo a entrambe.

    Ogni azione dissipa energia, ogni pensiero costa fatica, è quindi necessario cercare un’armonia tra lo sforzo e l’obiettivo, al fine di ordinare i mezzi nel modo migliore. 

    Per fare questo, occorre conoscere bene se stessi e il “nemico”, perché solo a queste condizioni potremo operare nell’ottica di “capitalizzare” ogni nostro vantaggio. Per fare tutto ciò ci vuole realismo costruttivo, in cui la nostra mente deve tendere per giungere al massimo vantaggio, il solo scopo per cui valga la pena imbarcarsi in uno scontro, quale che sia.

    Con il passare del tempo dovremmo diventare sempre più capaci di affrontare le sfide della vita: la consapevolezza di sé dovrebbe essere una continua disciplina. 

    Mai, nella nostra vita personale o professionale, arriveremo al punto di avere imparato tutto. 

    Questo è sintetizzato dal pensiero Lakota: un uomo smetteva di migliorare la sua esperienza con l’arco solo il giorno in cui moriva

    Lo stesso Omraam Mikhaël Aïvanhov in “Conosci te stesso” racchiude in questa frase tutta la scienza e tutta la saggezza: conoscersi, ritrovarsi, realizzare la fusione tra il Sé superiore e il Sé inferiore. 

    Conoscersi equivale a possedere la scienza dei diversi corpi di cui si compone l’uomo (il corpo fisico, eterico, astrale, mentale, causale, spirituale, coscienziale) e delle condizioni indispensabili al loro sviluppo”.

    E’ un viaggio per scoprire quello che siamo e le mille sfaccettature che nascondiamo dentro noi stessi, per vivere con consapevolezza le nostre emozioni e il nostro “io” pulsante. 

    Un percorso per scavare dentro di noi, “giocare” con i nostri pregi e difetti, diventando coscienti che questi fanno parte del nostro essere, più forti e consapevoli. Camminare mano nella mano con le nostre paure e i nostri pensieri imparando ad osservarli e a non giudicarli. 

    Quando siamo consapevoli di quello che realmente siamo potremo affacciarci al mondo e agli altri e scoprire quanto la realtà intorno a noi sia uno specchio delle nostre volontà, paure ecc.

    Come possiamo iniziare a conoscere meglio noi stessi?

    Quali sono le cose che sai fare bene senza averle imparate?

    Quali sono le qualità che ti descrivono?

    2. Conosci i tuoi amici

    I leader non possono fare niente da soli. Creiamo le nostre alleanze per aiutarci a vicenda nei momenti difficili e nelle situazioni più irte di ostacoli. Stando vicino agli amici nei momenti difficili, dimostriamo loro che possono fidarsi di noi, e ciò dovrebbe garantirci che saranno al nostro fianco quando saremo noi ad avere bisogno di loro. 

    Lo scrittore Robert Greenleaf già nel 1970 coniò il termine “servant leader” In genere, nel business, i leader seguono gli interessi degli azionisti (Shareholder), mentre un servant leader si concentra sulle persone.

    Le relazioni sono l’ingrediente fondamentale, la scuola dell’obbligo della nostra crescita: possiamo non essere interessati ad un percorso di crescita personale, ma le relazioni coinvolgono tutti, nessuno escluso.

    Mettersi a servizio della relazione, significa sviluppare strategia, visione e trasformazione, ma significa anche entrare nella relazione come espansione e nutrimento di Sé, osservare gli altri come opportunità. 

    Essere leader significa osservare gli altri e le relazioni come opportunità di incontrare parti di Sé.

    Questo viene molto facile quando le relazioni funzionano ed, in tal caso, l’invito è di amplificare questo aspetto, ma ci risulta più complesso quando ci sono delle resistenze.

    L’altro è sempre un potenziale interiore che io non ho ancora attivato.

    Ci vuole sicuramente un forte spirito di osservazione per affermare che l’altro è uno specchio di Sé. 

    Un conto dirlo a parole e un conto è incarnare questo aspetto tutti i giorni. Ma l’osservazione non basta, ci vogliono anche strumenti di trasformazione. Riconoscere nell’altro uno specchio significa essere responsabile di tutto ciò che avviene “là fuori”.

    Andiamo oltre la separazione con cui siamo stati educati (bene e male, io e gli altri, ecc ). Andiamo oltre le nostre credenze che hanno creato l’altro. Come dice Gandhi le nostre credenze creano il nostro destino: io non creo l’altro, ma creo il fatto che l’altro si esprima con me  in quel modo, che io attivi in lui quel comportamento e che lui attivi in me quell’archetipo.

    Raramente vediamo le persone per come sono, vediamo l’archetipo che queste attivano in noi. Prendiamo per esempio il concetto di maschio e femmina. Ci sono persone che hanno difficoltà a relazionarsi con il maschile o viceversa, perché attivano l’archetipo mamma o papà, l’archetipo autorità, o maestro di scuole ecc.

    L ’altro attiva in noi  sempre qualcosa che nel nostro subconscio c’è già e, grazie a questa attivazione, lo fa emergere. 

    Irene Menis, laureata in fisica, ha lavorato per oltre 12 anni nell’esplorazione spaziale, oggi International Certified PSYCH-K® and PER-K® Instructor, definisce 3 tipi di specchio:

    1. La persona mi mette in difficoltà perché fa, si comporta, dice, pensa o si permette qualcosa che mi è stato impedito di fare da piccolo. Esempio da adulto mi danno fastidio le persone che parlano a voce alta, perche’ i miei genitori mi rimproveravano sempre se alzavo il tono di voce.
    2. le cose che mi impedisco di fare da grande. Vorrei prendermi una settimana di vacanza e andarmene via da solo, ma non ho il coraggio di farlo per vari motivi e provo un sentimento di sottile invidia per chi è in grado di farlo. La relazione ci rivela quella parte di noi potenziale a cui da adulti non diamo il permesso di vivere. E’ un’area fuori dalla nostra zona di comfort dove vorremmo andare, ma non ci riusciamo. 
    1. Mi da fastidio delle altre persone le stesse cose che io faccio, ma di cui non mi accorgo. Questo è lo specchio più difficile da riconoscere. Esempio: mi danno fastidio le persone ritardatarie e anch’io sono ritardataria, ma non vorrei esserlo. Sono cose non così ovvie, perché sono al di sotto della consapevolezza conscia. La mente conscia a volte non se ne accorge, fino a quando la sfida, il disagio della relazione diventa non tollerabile.

    A volte ci lamentiamo perché il collaboratore non ci rispetta. Tu ti rispetti? Rispetti i tuoi bisogni?

    Hai mai sentito parlare della legge dello specchio? 

    3) Conosci i tuoi nemici

    Viviamo in un mondo in cui dobbiamo affrontare continue minacce, a livello individuale e collettivo. Il folklore dei Lakota è pieno di storie di battaglie. L’odio e l’etnocentrismo erano spesso altissimi, ma i Lakota avevano anche rispetto per i loro nemici, un rispetto che derivava da una profonda conoscenza: benché fossero separate da grandi distanze e da lingue diverse, le tribù conoscevano i reciproci valori culturali, le forze e le debolezze militari. La conoscenza del nemico era parte integrante della difesa. Ciò forniva utili informazioni: le armi di cui disponeva, le passate vittorie o sconfitte, le abilità e le abitudini tattiche, il valore nel combattimento e così via. Conoscere il nemico aumentava sensibilmente le probabilità di vittoria. 

    Ogni relazione può essere sana, o ancora meglio io posso essere sana/o in ogni relazione.

    Io non vedo l’altro per come è, ma io vedo l’altro per come io lo percepisco dal mio sistema di credenze. 

    Di questo non dobbiamo mai avere dubbi. 

    Provare a cambiare i nostri sistemi percettivi, le nostre credenze, i nostri paradigmi in modo da stare bene noi. L’altro, il nemico, si comporta così non per farmi dispetto, ma perché lui agisce dal suo sistema di credenze. Quindi agisce perché è veramente il massimo che è capace, che riesce a fare. Nel suo sistema di credenze non è capace di fare meglio e quello è davvero il massimo, oppure peggio ha paura di quella situazione e quindi va in protezione.

    Cambiare per me significa modificare il nostro paradigma e cioè, non cambiamo perché non andiamo bene o perché dobbiamo farci andar bene il nostro capo, ma cambiamo perché andiamo già benissimo così e possiamo ancora migliorare. Ecco perché le relazioni sono una grande opportunità. 

    C’è qualcuno e qualcosa che in questo periodo ti urta particolarmente? 

    Prova ad osservare meglio quel qualcuno e quella situazione, cosa dice di te? 

    4) Dai l’esempio

    Quando l’altro vede che siamo disponibili a cambiare, per la legge dello specchio di cui sopra, anche lui sarà più disponibile a cambiare. In una relazione in cui entrambi si è disponibili a cambiare rispettando la propria natura, c’è crescita. 

    Noi possiamo solo trasformare le credenze subconscie che ci impediscono di essere la migliore espressione di noi stessi e non i per adeguarci  alle aspettative di un altro. 

    Possiamo solo diventare sempre più noi stessi. 

    Ed è un posto comodissimo dove stare

    Se non sei te stesso spendi il 50% del tuo tempo ad essere come qualcuno ti vuole e l’altro 50% a cercare di essere come gli altri non ti vogliono.

    E quindi quando hai il tempo di vivere la tua vita?

    I Lakota davano il loro esempio con un approccio molto semplice e elegante:

    Per ‘portare la giubba’ dovete essere al di sopra degli altri. Dovete aiutare gli altri prima di pensare a voi stessi. Aiutare le vedove e le persone che hanno scarsità di cibo e di vestiti, e che non hanno nessuno che parli per loro. Non guardate dall’alto in basso gli altri e non prestate attenzione a chi guarda dall’alto in basso voi, e non lasciate che la rabbia guidi la vostra mente o il vostro cuore. Siate generosi, siate saggi e dimostrate fermezza, affinché la gente segua quello che fate e quello che dite. Soprattutto, abbiate coraggio e siate i primi a caricare il nemico, perché è meglio giacere come un guerriero nudo nella morte che essere riccamente vestiti ma con dentro un cuore d’acqua”.

    Condivido, concludendo, 3 note case study aziendali che illustrano la leadership senza autorità in cui ho ritrovato alcuni principi cari ai Lakota

    1. Progetto Manhattan

    Il Progetto Manhattan, nonostante fosse formalmente organizzato con una struttura gerarchica, ha visto emergere molte figure di leadership senza autorità ufficiale: il fisico Richard Feynman era uno dei membri più giovani e non aveva alcuna autorità formale, ma grazie alla sua competenza, curiosità e capacità di innovare, è riuscito a guidare varie iniziative e a influenzare il corso del progetto. Anche il suo approccio non convenzionale alla risoluzione dei problemi ha motivato i suoi colleghi a pensare fuori dagli schemi.

    Punti chiave della leadership senza autorità:

    • Utilizzo delle competenze e dell’innovazione per guidare il team.
    • Capacità di influenzare colleghi e superiori grazie alla visione tecnica.

    2. “No Boss” in WL Gore & Associates

    WL Gore, azienda famosa per i tessuti Gore-Tex, ha implementato una struttura aziendale priva di gerarchie tradizionali. Non esistono manager formali e l’intera organizzazione si basa su gruppi di persone che collaborano su progetti specifici. I leader emergono naturalmente in base alle competenze e alla capacità di ispirare e motivare il gruppo. Le decisioni vengono prese con il consenso e i leader devono ottenere il supporto volontario del team.

    Punti chiave:

    • Leadership emergente, in base al valore aggiunto che si apporta.
    • Cultura basata sulla collaborazione e sulla fiducia reciproca.

    3. Zappos e l’Holacracy

    Zappos, l’azienda di e-commerce, ha adottato una struttura organizzativa chiamata “Holacracy”, dove l’autorità è distribuita in “cerchi” e non ci sono manager tradizionali.

    I dipendenti sono incoraggiati a ricoprire diversi ruoli e a guidare iniziative anche senza titoli formali. Le decisioni vengono prese attraverso un processo di consenso e i ruoli di leadership sono temporanei e flessibili, emergendo in base alle necessità del progetto e alle competenze.

    Punti chiave:

    • Leadership basata sulla flessibilità dei ruoli e sul consenso.
    • Ambiente in cui i dipendenti sono liberi di guidare e proporre iniziative senza barriere gerarchiche.

    Il futuro della leadership senza autorità sarà caratterizzato da una crescente rilevanza e diffusione, che richiama in tutti noi un nuovo  sguardo verso noi stessi e gli altri.

    Noi ci proviamo sin da subito con un’opportunità “out of the box” in merito a quanto descritto in questo articolo: ti aspettiamo dall’8 al 10 novembre al Retreat Libera-mente, un week end esperienziale tra le colline del Monferrato, per sperimentare insieme tecniche e pratiche per allentare il rimuginio mentale, l’overthinking costante e ritrovare il tuo centro e il tuo benessere fisico, mentale e energetico, aprendoti a idee e intuizioni attraverso la creatività.

    Il Retreat è quasi sold out, per info, programma e iscrizioni scrivici a info@myhara.it

  • Il metodo

    Il maschile e il femminile che possono aiutarci nella vita professionale e personale

    Quanto la definizione di ruolo e la classificazione di gender penalizza in azienda quello che in realtà oggi le aziende stanno cercando?

    Se è vero quello che emerge dai Forum dedicati alle Risorse Umane e dai recenti report del World Economic Forum relative alle competenze più importanti per il 2025 quello che le risorse umane faticano a trattenere e/o a ricercare sono collaboratori talentuosi, desiderosi di esprimere autenticità, creatività e passione, oltre che ovviamente le competenze specificatamente richieste.

    Le competenze per il 2030 secondo il WEF sono aumentate, da 12 a 16: quello che emerge è una contaminazione più intensa tra mondo fisico, digitale e biologico con l’urgenza, nonostante il progresso dell’intelligenza artificiale (AI), robotica, internet delle cose (IoT) di un lavoro sempre più “umano”. Sottolineo “più”, non “meno” umano perché la tecnologia sostituisce i lavori più ripetitivi e automatizzabili ma, di fatto, cambia la mentalità del lavoro, subentrano nuovi lavori e ancora, soprattutto, siamo in un cambiamento culturale dell’idea di lavoro.

    Se il vecchio schema del sacrificio, della vita dedicata al lavoro è stato desacralizzato, oggi è sicuramente più chiaro quello per cui non si è più disposti, ma ancora non si è ufficialmente riconosciuto, il nuovo way of working che coinvolge tutte le generazioni.

    Si parla ormai da tempo di Diversity, Equity & Inclusion (DE&I) si fa riferimento a un insieme di programmi, di tecniche e di strategie volte a riconoscere e a valorizzare le differenze individuali, così da massimizzare il potenziale di tutti i dipendenti, nessuno escluso.

    Certamente negli ultimi anni sono stati fatti dei passi in avanti in tal senso, ma c’è ancora molto da percorrere. Le differenze da considerare sono molte: età, etnia, religione, disabilità, sesso, orientamento sessuale, credo politico, status economico, ecc.

    La base di partenza è che, lì dove c’è diversità, c’è anche bisogno di inclusione.

    Se osservassimo e riconoscessimo il concetto di inclusione con un altro sguardo?

    Inclusione implica riconoscere e dare potere alla mente duale, che per sua natura, ragiona per categorie, ruoli ecc. 

    Ma non c’è bisogno di inclusione.

    Si tratta di entrare in una terra sconosciuta che implica svelare e accogliere quello che c’è, come potenzialità che si sprigiona. Il maschile e femminile sono forze archetipiche primordiali, originarie, sono lo “scrigno prezioso” che, una volta aperto, genera la più potente espressione di vitalità, intuizione, creatività e innovazione. Proprio come diceva Michelangelo di fronte ad un blocco di marmo: “Quando guardo un blocco di marmo, io riesco a scorgervi dentro la scultura. Tutto ciò che mi rimane da fare è togliere i residui.”

    Allora non si tratta di includere, ma di togliere i residui, per permettere la manifestazione vera.

    Nel desiderio e nell’urgenza che abbiamo in azienda di avere persone motivate, riconosciute, proattive e competenti potrebbe trattarsi di spostare il focus.

    Dalla rincorsa al riconoscimento della diversità ed equità di genere, al bisogno di “liberare” le persone da categorie e schemi precostituiti, che per lo più, si traducono in pressioni per i collaboratori che reagiscono con senso di stanchezza, passività e frustrazione.

    Non si tratta di “diversità di genere” ma di “liberazione dal genere” a favore di unicità e autenticità che si scontrano con l’emozione della paura e del controllo, che ben conosciamo nei nostri sistemi organizzativi e che peraltro non sono da biasimare o eludere, ma non per funzionano se ciò che cerchiamo è autenticità, passione e creatività.

    L’unicità coinvolge la nostra natura istintiva, archetipale, direi quasi animalesca, che esiste, ed è l’ingrediente più importante per l’espressione della nostra forza vitale.

    Non si tratta certo di rendere le nostre aziende una giungla…

    Vogliamo persone contente o persone felici in azienda?

    C’è una bella differenza!

    La contentezza non permette al successo di manifestarsi, perché “contento” deriva da continere, contenere, trattenere. Ciò che alimenta il successo è la felicità.

    Originariamente la parola latina “felice” significava «fertile, ricco di messi e frutti».

    La persona felice continua a nutrire il suo terreno e a mettere semi, che diventano frutti e fiori rigogliosi.

    Quando l’animale sociale ingabbia l’animale selvatico, che vive libero e potente in ognuno di noi, la strada diventa una giungla di visioni contrapposte e terrifiche, ma quando l’animale selvaggio risolleva la sua testa e si libera dal giogo, allora e solo allora, tutto diventa semplice e chiaro. 

    Siamo natura nella natura, la natura non è altro da noi.

    La fusione tra maschile e femminile è potentissima proprio perché non si capiscono affatto, proprio perché parlano due lingue diverse, perché mentre lui guarda fuori, lei guarda dentro, perché mentre lui sfida il mondo, lei sfida sè stessa.

    Tutta la ricchezza sta proprio lì, nella difficoltà di superare la mente binaria e trovare una prospettiva più ampia in grado di capire che esistono due verità che si nutrono a vicenda e si alimentano per smuovere l’energia stagnante e generare vita. 

    Viviamo incatenati alle dicotomie: abbiamo preso l’abitudine di imprigionarci dentro una visione univoca che si oppone ad un’altra visione univoca: siamo arroccati senza in realtà un autentico dialogo tra le parti. 

    Eppure la biologia parla una lingua semplice e trasparente; il futuro nasce dall’incontro di nature opposte.

    Stiamo parlando di forze, di energia prima ancora che di gender o di ruolo.

    Tutto ciò che noi chiamiamo gender in realtà è un costrutto, non esiste un gender puro, esistono generi misti che a volte arrivano persino a creare conflitti tra gli impulsi sessuali e la fisiologia.

    La vera ricchezza è l’unicità, scoprire la natura e guidarla in accordo ai sogni, ai desideri, ai talenti. Non esistono nemmeno giochi, colori, abitudini, ruoli per maschi o per femmine, perché in ognuno di noi ci sono entrambi gli aspetti. Ci sono femmine più portate verso le materie scientifiche, verso lo sport o verso giochi scatenati, la lotta e la guerra, e invece maschi che amano la poesia, oppure cucire e giocare con le bambole.

    Tutto questo significa allenarsi al non giudizio, lasciandoli scegliere senza forzature, quello che amano, senza farci domande e dare etichette, lasciando che la natura faccia il suo corso.

    La vera difficoltà che abbiamo, una volta adulti e inseriti in un qualsiasi contesto organizzativo e sociale, è che siamo diventati una sovrastruttura consolidata di maschere e ruoli.

    La nostra corazza ormai è talmente spessa che ci identifichiamo con essa, senza neanche più riuscire a contattare cosa c’è sotto, qual è la nostra scintilla autentica.

    Tutto questo in realtà è stato necessario per sopravvivere e permetterci di stare dentro perimetri e confini, a volte autoimposti, spesso condizionati, per essere amati e accolti dall’altro (persona, sistema, contesto).

    Comprensibile razionalmente, ma oggi che le nuove scienze ci sollecitano ad osservare l’uomo come essere olografico, di cui la mente è la punta dell’iceberg, è necessario risvegliare anche in azienda nuova consapevolezza.

    Ma pensate quanta creatività e potenzialità inespressa?

    Cerchiamo persone motivate, appassionate e talentuose, muovendoci da uno stato di paura e controllo. E’ quasi impossibile che il risultato non sia frustrazione e insoddisfazione generale.

    Se il Femminile è il grembo/terra che accoglie, il Maschile è il seme che feconda la terra; insieme, e solo insieme, possono dare vita alla creazione. Se il Femminile è la nostra capacità di introspezione e profondità, di accogliere, contenere, comprendere, ecco che il Maschile è quella parte di noi che ci consente di agire, determinare, andare nel mondo, dare una direzione, penetrare la realtà fendendola con i nostri significati e con il nostro valore. Solo nel mutuo e reciproco incontro si rende possibile il Processo Creativo, e con esso la reale crescita e trasformazione.

    In che modo il maschile e il femminile possono aiutarci?

    Il presupposto è che entrambi questi aspetti contengono aspetti di luce e di ombra; entrambi sono variegati, con diverse possibilità che per ciascuno di noi si “mixano” in modo del tutto soggettivo e personale. Alcuni aspetti possono essere molto noti, chiari, esperiti nella vita di tutti giorni, altri aspetti possono rimanere nascosti nell’ombra, sconosciuti, relegati nel mondo dell’inconscio. Sappiamo però che rimanere nell’inconscio non vuol dire rimanere inattivo, anzi, spesso ciò che abbiamo relegato nell’inconscio è proprio ciò che ci fa agire in modo apparentemente impulsivo e che a volte guida e domina le nostre azioni.

    E’ fondamentale quindi porsi delle domande:

    • i modelli di Femminile e Maschile che mi abitano, mi aiutano a crescere, a svilupparmi, a seguire i miei desideri autentici, mi permettono di essere chi realmente sono? 
    • riesco ad usare appieno il patrimonio di qualità che un buon Femminile e un buon Maschile mi possono donare? O rimango imprigionata/o in modelli e schemi limitanti e fuorvianti?

    Un Femminile “sano” ci regala una buona capacità di ricevere, stare in ascolto, fiducia nelle nostre intuizioni, una buona comprensione del nostro ritmo personale, un istintivo accordarsi ai ritmi della natura, una naturale predisposizione ad una visione ampia, che tesse connessioni e relazioni, la vicinanza ai misteri delle cose. Ci offre la possibilità di sapere intuitivamente quando è bene coltivare qualcosa, alimentarlo (una relazione, una situazione, un aspetto di noi, ecc.) e quando è bene lasciarlo andare, in modo fluido e in accordo con il naturale trasformarsi della vita. Ci fornisce la giusta quota di aggressività sana per difendere in modo corretto i nostri territori, psichici e fisici. Un Femminile integro è la chiave di accesso per l’ascolto dei nostri desideri più autentici.

    Un Maschile “sano”ci dona focalizzazione, capacità di scegliere un obiettivo e di stabilire i passi per raggiungerlo, determinazione, capacità di agire nel mondo e di concretizzare, un buon uso della parola e del pensiero logico. Un maschile “autentico” ci regala coraggio, disciplina, capacità di rimanere agganciati ai nostri obiettivi, chiarezza di visione, perseveranza.Un Maschile integro è la chiave di accesso alla realizzazione concreta dei nostri desideri più profondi.

    Solo l’incontro fecondo tra maschile e femminile genera crescita e successo

    Faccio un esempio semplice, forse riduttivo, ma efficace: pensiamo a quando in azienda nasce un’idea, un progetto: la persona e il team, nella prima fase, avranno bisogno di accedere alla forza del Femminile per ricevere e ascoltare: intuizioni, visioni, immagini. Verranno “cullate” all’interno del team, come la terra custodisce al buio il seme, ma poi interverrà l’energia Maschile, per apportare quelle quote di propulsione e direzione necessarie per concretizzare, dare una forma, portare nel mondo. 

    Senza energia maschile, le meravigliose visioni del team rimarrebbero solo idee, senza alcuna possibilità di manifestarsi nel mondo concreto.

    Senza energia femminile, il risultato sarebbe mera tecnica, senza contatto con il mondo interiore delle singole persone e del team. E il risultato si vede!

    L’incontro fecondo tra queste due parti consente che il potere creativo, la capacità di determinare e creare, possa svilupparsi e realizzarsi appieno, con vero successo.

    Il maschile viene in aiuto al femminile nella misura in cui ne valorizza l’energia intuitiva e ne tempera gli eccessi, raffinandolo come un diamante. Questo perché la contraddizione interna, il conflitto, la lotta fra opposti, se tollerati, attraversati e vissuti (non sbrigativamente liquidati!) producono ricchezza. Esiste una conciliazione possibile fra i contrari, come accade in una sinfonia in cui si alternano più voci, qui più forti e decise, là più delicate e struggenti. E la bellezza dell’opera si basa proprio sulla complessità, deve ad essa il suo fascino e la sua espressività.

    Femminile e maschile sono allora due forze che si rinforzano a vicenda e che concorrono allo sviluppo più pieno di una personalità. Lo stesso Jung parlava della psiche come di una combinazione di principi maschili e femminili: un’energia dominante che contiene allo stesso tempo anche quella opposta. https://www.energyogant.it/maschile-e-femminile-la-miglior-comprensione-per-trasformare-il-conflitto-in-azienda/

    “Essere dalla parte delle donne non significa sognare un mondo in cui i rapporti di dominio possano finalmente capovolgersi per far subire all’uomo ciò che la donna ha subito per secoli. Essere dalla parte delle donne vuol dire lottare per costruire una società egualitaria, in cui essere uomo o donna sia ‘indifferente’, non abbia alcuna rilevanza. Non perché essere uomo o donna sia la stessa cosa, ma perché sia gli uomini sia le donne sono esseri umani che condividono il meglio e il peggio della condizione umana.”
    (Michela Marzano)

    Se sei interessato a questi argomenti contattaci. Possiamo presentarti i nostri progetti dedicati alle aziende: 

    • Maschile e Femminile in azienda: la prima D&I sei tu!
    • L’energia che ci muove: il maschile e il femminile che vibra in noi.
  • Il metodo

    L’HR Director ha una grande fortuna: essere leader senza autorità!

    Nell’era dell’agile, della flessibilità, della cura e dell’ascolto, della leadership non più top-down, essere leader senza autorità è un privilegio.

    Chi meglio dei manager delle risorse umane, grazie e/o a causa della pandemia e di tutto il pre e il post, sono stati capaci di agire concretamente la trasform-azione (cambiamento di forma)? Proprio tutti? Sicuramente no.

    Quali caratteristiche aiutano chi si occupa di risorse umane ad essere un leader di successo senza autorità?

    Ovviamente, lungi da me l’idea di avere la formula o i 4 ingredienti magici per essere un leader di successo senza autorità. Soprattutto perché mi sto rivolgendo a persone che investono la loro giornata lavorativa su questi temi.

    Ma, forse, proprio perché mi trovo, “fuori dai giochi”, ma tutto sommato “anche dentro”, riflettere insieme può offrirci uno spunto di maggiore chiarezza.

    Mi è piaciuto moltissimo Il libro di Joseph M. Marshall III dal titolo Il potere del quattro. Qui la risposta ci arriva da un modello, la società lakota, che aveva un concetto di leadership molto interessante e, a mio parere, archetipico del genere umano. Sicuramente un modello ben diverso dal nostro europeo ma, proprio perché il nostro cervello limbico e creativo ha bisogno di divergere per poi convergere, proviamo ad andare un po’ “lontano”. La società lakota produsse alcuni dei capi più noti e ammirati della storia, come Cavallo Pazzo, Toro Seduto o Nuvola Rossa.

    Partendo dal significato etimologico di leadership, voce inglese, dal verbo to lead, ‘guidare’, ‘condurre’, di fatto, nella società lakota non si accenna all’autorità, ma a caratteristiche diverse.

    D’altro canto, da noi, un  capo, un politico, un manager, un sindaco sono automaticamente leader?

    Nel libro di Marshall si evince che è il carattere, e non la posizione occupata, che può trasformare in leader. Addirittura, nella loro società, non esisteva né il concetto, né  la “parola” autorità. Un capo lakota non poteva costringere nessuno a seguirlo.

    Non aveva neppure i social, poverino!

    Tutto si basava sul carattere e l’esperienza. E la storia ci conferma che i lakota non mancavano di capi.

    Essere leader delle risorse umane come un lakota, senza autorità

    Nel “potere dei quattro” si menzionano quattro filosofie, così le definisce, che i lakota applicavano per essere capi capaci:

    1) Conosci te stesso

    Mi piace molto condividere la nostra consapevolezza di cosa significhi essere leader senza autorità, ritrovando le fonti nella storia e nelle discipline orientali. Come ritroviamo sul frontone del tempio di Apollo a Delfi l’oracolo – con l’efficacia mediatica che avevano a quel tempo i santuari – che rivolgeva all’uomo di allora l’invito a indagare dentro di sé, per scoprire che l’essenza della nostra vita è dentro, non al di fuori di noi. Così successivamente la valorizzazione dell’interiorità offrirà motivi di riflessione a Socrate, che sulla conoscenza di se stesso costruirà uno dei cardini del suo pensiero. Ma non solo, lo stesso Sun Tzu ne L’arte della guerra “Se non conosci né il nemico, né te stesso, ogni battaglia significherà per te sconfitta certa. Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari a quelle di sconfitta. Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo.” Il meglio che ciascuno di noi può fare è affrontare la vita con tutte le sue forze e le sue debolezze, ma per farlo dobbiamo essere assolutamente sinceri con noi stessi riguardo a entrambe.

    Ogni azione dissipa energia, ogni pensiero costa fatica, così che è necessario cercare un’armonia tra lo sforzo e l’obiettivo, in modo da ordinare i mezzi nel modo migliore. Per fare questo, occorre conoscere bene se stessi e il nemico, perché solo a queste condizioni potremo operare nell’ottica di capitalizzare ogni nostro vantaggio. Realismo costruttivo, questa è l’ottica, l’unica verso la quale la nostra mente deve tendere per giungere al massimo vantaggio, il solo scopo per cui valga la pena imbarcarsi in uno scontro, quale che sia.

    Con il passare del tempo dovremmo diventare sempre più capaci di affrontare le sfide della vita, la consapevolezza di sé, quindi, dovrebbe essere una continua disciplina. Mai, nella nostra vita personale o professionale, arriveremo al punto di avere imparato tutto. Questo è sintetizzato dal pensiero lakota che un uomo smetteva di migliorare la sua esperienza con l’arco solo il giorno in cui moriva. Lo stesso Omraam Mikhaël Aïvanhov in “Conosci te stesso” racchiude in questa frase tutta la scienza e tutta la saggezza: conoscersi, ritrovarsi, realizzare la fusione tra il Sé superiore e il Sé inferiore. Conoscersi equivale a possedere la scienza dei diversi corpi di cui si compone l’uomo (il corpo fisico, eterico, astrale, mentale, causale, spirituale, coscienziale) e delle condizioni indispensabili al loro sviluppo”.

    E’ un viaggio per scoprire quello che siamo e le mille sfaccettature che nascondiamo dentro noi stessi, per vivere con consapevolezza le nostre emozioni e il nostro “io” pulsante. Un percorso per scavare dentro di noi, giocare con i nostri pregi e difetti, diventando coscienti che fanno parte del nostro essere, più forti e consapevoli. Camminare mano nella mano con le nostre paure e i nostri pensieri imparando ad osservarli e a non giudicarli. Quando siamo consapevoli di quello che realmente siamo potremo affacciarci al mondo e agli altri e scoprire quanto la realtà intorno a noi è uno specchio delle nostre volontà, paure ecc.

    La mente conscia, a cui noi appelliamo grandissimo potere nella nostra vita professionale agisce solo per il 7% delle nostre potenzialità? 

    Come possiamo iniziare a conoscere meglio noi stessi?

    Quali sono le cose che sai fare bene senza averle imparate?

    2) Conosci i tuoi amici

    I leader non possono fare niente da soli. Compito del leader è identificare le persone dedite a uno scopo e in possesso degli strumenti e delle capacità per raggiungerlo e motivarle a realizzarlo. Alleanze e amicizie non sono fatte per i momenti belli. Le creiamo per aiutarci a vicenda nei momenti difficili e nelle situazioni più irte di ostacoli. Stando vicino agli amici nei momenti difficili, dimostriamo loro che possono fidarsi di noi, e ciò ci garantisce che saranno al nostro fianco quando saremo noi ad avere bisogno di loro. Lo scrittore Robert Greenleaf già nel 1970 coniò il termine “servant leader

    In genere, nel business, i leader seguono gli interessi degli azionisti (Shareholder), mentre un servant leader si concentra sulle persone.

    Le relazioni sono l’ingrediente fondamentale, la scuola dell’obbligo della nostra crescita: possiamo non essere interessati ad un percorso di crescita personale, ma le relazioni coinvolgono tutti, nessuno escluso.

    Mettersi a servizio della relazione, significa sviluppare strategia, visione e trasformazione, ma significa anche entrare nella relazione come espansione e nutrimento di Sé, osservare gli altri come opportunità. Essere leader significa migliorare la chiarezza di obiettivi, ispirare e comunicare la vision e la mission aziendali, ma osservare gli altri e le relazioni come opportunità di incontrare parti di Sé.

    Questo viene molto facile quando le relazioni funzionano ed, in tal caso, l’invito è di amplificare questo aspetto, ma ci risulta più complesso quando ci sono delle criticità.

    L’altro è sempre un potenziale interiore che io non ho ancora attivato.

    Ci vuole sicuramente un forte spirito di osservazione per affermare che l’altro è uno specchio di me. Un conto dirlo a parole e un conto è incarnare questo aspetto tutti i giorni. Ma l’osservazione non basta, ci vogliono anche strumenti di trasformazione. Perché dire che l’altro è uno specchio di me, significa essere responsabile di tutto ciò che avviene “là fuori”.

    Se andiamo oltre la separazione, con cui siamo stati per lo più educati (bene e male, io e gli altri,ecc ), e andiamo oltre le nostre credenze subconsce che hanno creato l’altro, perché come dice Gandhi le nostre credenze creano il nostro destino e allora io non ho creato l’altro, ma ho creato il fatto che l’altro con me si esprime in quel modo, che io gli attivi quel comportamento e che lui attivi in me quell’archetipo, perché noi raramente vediamo le persone per come sono, vediamo l’archetipo che ci attivano. Esempio molto semplice: il maschio e la femmina. Ci sono persone che hanno difficoltà a relazionarsi con il maschile o viceversa perche’ attivano l’archetipo mamma o papà, l’archetipo autorità, o maestro di scuole ecc.

    L’altro ci attiva sempre qualcosa che nel nostro subconscio c’è già e grazie a questa attivazione ce lo rivela. A volte ci lamentiamo perché il collaboratore non ci rispetta, ma tu ti dai rispetto? ti rispetti? rispetti i tuoi bisogni?

    Hai mai sentito parlare della legge dello specchio?  Irene Menis, laureata in fisica, ha lavorato per oltre 12 anni nell’esplorazione spaziale, oggi International Certified PSYCH-K® and PER-K® Instructor, di cui anch’io sono certificata facilitatrice definisce 3 tipi di specchio:

    –   La persona mi mette in difficoltà perché fa, si comporta, dice, pensa o si permette qualcosa che mi è stato impedito di fare da piccolo. Esempio da adulto mi danno fastidio le persone che parlano a voce alta, perche’ i miei genitori mi rimproveravano sempre se alzavo il tono di voce.

    –   Un secondo specchio sono le cose che mi impedisco di fare da grande. Vorrei prendermi una settimana di vacanza e andarmene via da solo, ma non ho il coraggio di farlo per vari motivi, ognuno ha i suoi, e, quelli che lo fanno, creano in me un sentimento di sottile invidia, mi stanno poco simpatici. La relazione ci rivela quella parte di noi potenziale che noi da adulti non ci diamo il permesso di vivere. E’ un’area fuori dalla nostra zona di comfort dove vorremmo andare ma non ci riusciamo. A meno che siamo davvero in pace con questa parte di noi.

    –   Mi da fastidio delle altre persone quello che faccio anch’io, ma non me ne accorgo. Questo è lo specchio più difficile da riconoscere. Esempio mi danno fastidio le persona ritardatarie e anch’io sono ritardataria, ma non vorrei esserlo, non ci riesco e mi danno fastidio le persone ritardatarie. Sono le cose non così ovvie, perché hanno a che fare con il subconscio, sono al di sotto della consapevolezza conscia. La mente conscia a volte non se ne accorge, fino a quando la sfida, il disagio della relazione diventa non tollerabile.

    Ecco allora che conoscere i tuoi amici ed essere leader senza autorità ci dà il più grande potere autentico e cioè quello che ci riporta, ancora una volta, a noi stessi e ad uno spazio di libertà interiore da cui agire.

    3) Conosci i tuoi nemici

    Viviamo in un mondo in cui dobbiamo affrontare continue minacce, a livello individuale e collettivo. Anche il folklore dei Lakota è pieno di storie di battaglie. L’odio e l’etnocentrismo erano spesso altissimi, ma i Lakota avevano anche rispetto per i loro nemici, un rispetto che derivava da una profonda conoscenza: benché fossero separate da grandi distanze e da lingue diverse, le tribù conoscevano i reciproci valori culturali, le forze e le debolezze militari. La conoscenza del nemico era parte integrante della difesa. Ciò forniva utili informazioni: le armi di cui disponeva, le passate vittorie o sconfitte, le abilità e le abitudini tattiche, il valore nel combattimento e così via. Conoscere il nemico aumentava sensibilmente le probabilità di vittoria. Ogni relazione può essere sana, o ancora meglio io posso essere sana o sano in ogni relazione, anche in quella dove magari il collaboratore se ne va o il mio capo mi fa vedere potenziali miei inespressi che mi creano disagio. Io non vedo l’altro per come è, ma io vedo l’altro per come io lo percepisco dal mio sistema di credenze. Di questo non dobbiamo mai avere dubbi. Provare a cambiare i nostri sistemi percettivi, le nostre credenze, i nostri paradigmi in modo da stare bene noi. L’altro, il nemico, si comporta così non per farmi dispetto, ma perché lui agisce dal suo sistema di credenze. Quindi agisce perché è veramente il massimo che è capace, che riesce a fare. Nel suo sistema di credenze non è capace di fare il meglio e quello è davvero il massimo, oppure peggio ha paura di quella situazione e quindi va in protezione.

    Quando andiamo in protezione, trattiamo male gli altri perché sono un pericolo.

    Quindi prendersi la responsabilità della relazione con il “nemico” significa che lui può fare solo così e io posso rispondere in modo consapevole a quel tipo di comportamento e ciò significa cambiare la nostra vita. Attenzione all’accezione che sto utilizzando con il termine “cambiare”: significa modificare il nostro paradigma e cioè, non cambiamo perché non andiamo bene o perché dobbiamo farci andar bene il nostro capo, ma cambiamo perché andiamo già benissimo così  e possiamo ancora migliorare. Ecco perché le relazioni sono una grande opportunità. E così noi mettiamo in pratica la quarta filosofia, essere d’esempio.

    4) Dai l’esempio

    Se accettiamo la definizione di essere leader come una persona che influenza le azioni e gli atteggiamenti degli altri, la logica domanda è: come diventiamo leader se non con l’esempio? Quando l’altro vede che siamo disponibili a cambiare, per la legge dello specchio che abbiamo appena visto, anche lui sarà più disponibile a cambiare. In una relazione in cui entrambi si è disponibili a cambiare rispettando la propria natura, c’è crescita. Noi possiamo solo trasformare le credenze subconscie che ci impediscono di essere la migliore espressione di noi stessi. Non possiamo trasformare le nostre credenze, al fine di diventare adeguati alle aspettative di un altro. Possiamo solo diventare sempre più noi stessi. Ed è un posto comodissimo dove stare. Altrimenti se non sei te stesso spendi il 50% del tuo tempo ad essere come qualcuno ti vuole e l’altro 50% a cercare di essere come gli altri non ti vogliono. E quindi quando hai il tempo di vivere la tua vita?

    Personalmente trovo gli strumenti di PSICH-K efficaci e veloci per dialogare con il nostro subconscio. Il subconscio è velocissimo, 40 milioni di volte più veloce della mente conscia. Se noi siamo in grado di delegare l’elaborazione di qualcosa alla mente subconscia è fantastico perchè ci permette di fare cambiamenti velocemente ed efficacemente.  PSICH-K è molto rispettoso perché chiede il permesso alla nostra mente conscia, al nostro potere automatico (subconscio) e alla nostra mente spirituale (superconscia) e il risultato è sempre molto potente.

    I Lakota davano il loro esempio con un approccio molto semplice e elegante:

    Per ‘portare la giubba’ dovete essere al di sopra degli altri. Dovete aiutare gli altri prima di pensare a voi stessi. Aiutare le vedove e le persone che hanno scarsità di cibo e di vestiti, e che non hanno nessuno che parli per loro. Non guardate dall’alto in basso gli altri e non prestate attenzione a chi guarda dall’alto in basso voi, e non lasciate che la rabbia guidi la vostra mente o il vostro cuore. Siate generosi, siate saggi e dimostrate fermezza, affinché la gente segua quello che fate e quello che dite. Soprattutto, abbiate coraggio e siate i primi a caricare il nemico, perché è meglio giacere come un guerriero nudo nella morte che essere riccamente vestiti ma con dentro un cuore d’acqua”.

    Se sei interessato a queste tematiche, seguici nelle prossime settimane per scoprire le prossime novità.

  • Il metodo

    La complessità in azienda è la nostra complessità?

    Tutto dovrebbe essere reso il più semplice possibile, ma non troppo semplice

    Albert Einstein

    Desideravo da qualche tempo riprendere a scrivere, perchè per me scrivere è sviluppare la mente attentiva, fare focusing, è una forma meditativa.

    Scrivere mi permette di fermare, di fare spazio e, quando ci riesco, nel silenzio della mente, mi arriva chiarezza e intuizione. Lo stesso mi succede ogni mattina alle 6 quando pratico yoga e faccio focusing sui messaggi del corpo e l’ascolto del respiro.

    Complesso questo ritmo, ma non complicato.

    Vi ricordate, per chi è un pò baby boomers come me, la canzone di Jannacci?

    Chi ha perso il ritmo si deve ritirare

    non c’è più posto per chi sa far da solo,

    due note e un si bemolle fuori luogo

    Vietato di fermarsi anche a respirare

    che qui la base continua a girare,

    chi non sa stare a tempo, prego andare.

    Perchè… perchè… perchè..

    Perchè ci vuole orecchio…Per fare certe cose

    ci vuole orecchio!

    Come spesso succede la stessa canzone, ascoltata in momenti diversi, ci richiama significati differenti.  Ci vuole orecchio per sentire e per sentirci.

    L’ascolto e la complessità in azienda e dentro di  noi

    Senza ora entrare in argomenti che mi porterebbero lontano dall ‘obiettivo di questo testo, mi limito a sottolinerare che un sistema o fenomeno si può  (manca ancora una definizione così detta “scientifica”…) definire complesso, quando compaiono le seguenti caratteristiche:

    1)  l’Emersione di caratteristiche e comportamenti non prevedibili a partire dalla conoscenza degli elementi del sistema stesso.

    2)  la Sensibilità estrema a qualsiasi “battito d’ali di farfalla” che ne modifichi impercettibilmente un qualche elemento, una qualche condizione iniziale, con conseguente evoluzione radicalmente diversa. 

    3)  l’Auto-organizzazione con lo sviluppo di strutture nuove (imprevedibili?) capaci di adattare il sistema a nuove situazioni e informazioni, ossia di imparare. 

    Ecco perché NON SONO complessi, ma al più “complicati”, “articolati”, sistemi apparentemente complessi, quali:

    • il motore di una Ferrari;
    • un aereo transoceanico;
    • un’azienda molto grande con una struttura esclusivamente gerarchica (“prussiana”…)

    in quanto prevedibili non sono  in grado di adattarsi ai cambiamenti ambientali, fisici, economici di mercato, ecc…

    Nella complessità in azienda e dentro di noi  la causalità non è lineare, non si sottopone alle leggi del riduzionismo scientifico e implica una reale interdisciplinarietà.

    Non siamo forse così anche noi, tra la nostra biografia e la nostra biologia?

    E’ la nostra biologia che determina la nostra biografia o viceversa?

    Nasciamo sani in un contesto di desiderio con 2 genitori che si amano, nasciamo sani in una contesto di difficoltà con 2 genitori in conflitto…La biografia  istante per istante

    si scrive nella biologia delle onde energetiche in noi. La biografia viene costantemente danzata nel corpo da molecole, cellule tessuti ed organi. In un sistema complesso ci dicono le neuroscienze, l’evoluzione è caotica,cioè «imprevedibile»perché intervengono variabili aleatorie la cui azione non è definibile a priori.

    Non sono così anche le nostre emozioni ?

    Le emozioni sono un campo complesso, multisfaccettato:

    • Sono collegate alla nostra psiche
    • Hanno un carattere fisico, fisiologico e neuroanatomico
    • Sono anche programmi istintivi, un ponte tra la nostra mente e il nostro corpo… di nuovo come abbiamo accennato prima, tra   biologia e biografia

    Ma come si fa a dialogare con le emozioni? Si può? Su un piano cognitivo?

    La  complessità in azienda e dentro di noi  implica avere linguaggi diversi e un ascolto attivo per osservare, riconoscere ed integrare ciò che ci sta succedendo a livello fisico, emotivo, mentale e coscienziale.Per entrare in dialogo con le nostre emozioni abbiamo bisogno di utilizzare un linguaggio adatto al nostro cervello limbico, per cui immagini, parole narrative, evocative, profumi e sensi.

    Hai mai ascoltato il battito del cuore ?

    Facciamo un piccolo esercizio:

    Mettiti in una posizione comoda, occhi chiusi e porta per qualche istante l’attenzione al tuo respiro, rendendolo sempre più calmo, lento e profondo. Prenditi un pò di tempo per sostare in questo spazio. Ora prova a lasciare vagare dentro di te queste domande:

    • Come sta il tuo cuore in questo momento?
    • E’ aperto, è ampio, spazioso, stretto, presente, raggomitolato, chiuso, vagamente presente?
    • E’ collegato a tutto ciò che c’e’ intorno ? Lo sente il “ filo” che c’e’ intorno ?
    • E’ abbastanza libero da definirsi un “cuore con le ali”?
    • Che immagini affiorano? Ci sono colori? suoni?

    Attraverso le risposte che possono affiorare  dentro di noi, entriamo in contatto con quello che c’e’:

    la via naturale  che ogni essere umano cammina.

    Da diversi anni presso l’HeartMath Institute a Boulder Creek,in Californa scienziati e yogi da anni danno vita a progetti di ricerca innovativi e rigorosi affermando ormai con rigore scientifico che Il cuore ha un piccolo cervello con 40.000 cellule cerebrali!…molte meno che nel cervello,ma più che sufficienti a dare vita ad una vera “intelligenza del cuore

    Mentre batte questo nostro cuore produce energia (ECG) Il cuore ha un campo energetico più ampio e potente di tutti quelli generati da qualsiasi altro organo del corpo, compreso il cervello all’interno del cranio. Il campo elettrico del cuore, misurato dall’ ECG è 60 volte più grande in ampiezzadi quello generato dalle onde cerebrali, misurate da un EEG.Dunque il cuore ha un’energia, il cervello ha un’energia …Tutti gli organi hanno una loro propria energia connessa alle emozioni…secondo la medicina cinese ed anche ippocratica.

    Energia, emozioni ed organi sono strettamente collegati

    I nostri pensieri ed emozioni influenzano il campo magnetico del cuore, che influenza energeticamente quello del nostro ambiente, indipendentemente dal fatto che ne siamo consapevoli.

    il campo, la dimensione in cui stiamo vivendo ci sta parlando.

    Ricapitolazione e complessità in azienda e dentro di noi

    La complessità che stiamo vivendo in azienda e dentro di noi e l’incertezza del cambiamento sono un’opportunità per ricapitolare la nostra storia personale. Ricapitolare non ha nulla a che fare con il ricordare.

    Ricapitolare significa alleggerire il carico energetico che condiziona la nostra vita.

    Significa nella complessità recuperare l’unità. Non solo con noi stessi, ma con la vita, la natura dalla quale siamo profondamente lontani. Spesso ci consideriamo come se noi fossimo altro e non la natura stessa.

    La ricapitolazione attiva l’osservazione di noi stessi, riconoscendoci come esseri liberi, inseriti in una contesto dove sperimentare la possibilità di sentirci.

    Gli obiettivi della ricapitolazione sono:

    Allenarci all’arte del distacco: rendere quello che ci tocca personalmente, impersonale. Significa riconoscerci altro da quello che ci succede e disidentificarci dai nostri pensieri, emozioni e attaccamenti.

    Il grande beneficio di tutto ciò non è entrare in un approccio introspettivo di tipo psicoanalitico, ma liberare energia intrappolata. Non ci interessa conoscere le cause, bensì allenarci  ad accomiatarci da quello che è doloroso e da quello che ci rende felici. Resteranno vivi i ricordi, ma resteranno puri perchè scevri della densità energetica che gli abbiamo attribuito.

    Come mai mi succedono sempre le stesse cose ? Come mai continuo a litigare con il mio capo, collega ecc? Perchè li tratteniamo energeticamente.

    Le situazioni si ripetono perchè si specchiano in ciò che è già la percezione che noi abbiamo di loro.

    Così vale anche per le persone.

    Esercizio:

    Domattina quando ti svegli e vai in bagno, mettiti davanti allo specchio e prova a farti dei complimenti: Oggi sono strepitosa/o, sono bello e solare, ho dei begli occhi, che bel sorriso che ho, sono proprio in gamba, sono attento e sensibile con gli altri…prova ad andare nel mondo con questa energia e osserva cosa succede. (vale ovviamente anche il contrario)

    Questa complessità che viviamo in azienda e che ora abbiamo meglio compreso come ci appartenga, e non sia  oggetto esterno a noi,  proviamo a “giocarci” insieme, da un altro punto di vista:

    • E se il mondo fosse quello che ho creato con i miei pensieri, le mie emozioni, le mie credenze, opere e fatti?
    • Come lo posso percepire perchè sia funzionale al mio star bene?

    Pertanto ricapitoliamo tutti i giorni!

    Non lasciamo sospesi! Come diceva Lella Costa, durante un suo spettacolo, evitiamo di avere “cumulini“ sul comodino.

    Tutte le sere attualizziamo le nostre emozioni con un momento in cui possiamo ripercorrere a ritroso tutta la giornata, per lasciare andare appesantimenti energetici. 

    Ci sono moltissime tecniche che favoriscono questa attitudine che, se allenata, diventa una nuova, buona,sana abitudine che ci predispone ad un buon sonno e …noterete la differenza anche al risveglio.

    Se sei interessato a questi temi puoi contattarci e saremo felici di poterti accompagnare nello sviluppo del benessere organizzativo e dello sviluppo umano in azienda, attraverso il metodo Energyogant di myHARA, concreto e misurabile.

  • Il metodo

    Essere squadra o fare squadra per stare bene in azienda?

    Essere squadra ha a che fare con la nostra mente coscienziale, fare squadra con la nostra mente animale.

    D’altro canto, noi siamo catalogati come una specie animale umana, come dice Rossella Rustici e non siamo catalogati come specie umana consapevole.  Per diventare consapevoli dobbiamo agire sulla nostra mente umana coscienziale.

    Siamo composti da:

    • mente umana in cui si sviluppa la nostra coscienza 
    • mente animale, del mammifero, rettiliana

    Ogni giorno c’è una lotta tra la mente animale e la mente umana.

    In questa lotta spesso la nostra mente umana, la nostra coscienza perde colpi

    viene assorbita dalla mente animale.

    E’ fondamentale che la mente coscienziale mantenga la sua scala di valori

    (amore, etica, responsabilità, vita, gioia, bellezza, tipiche di una mente spirituale, dove spirituale non deve essere confuso con religioso)

    I desideri della mente animale sono quelli di ricercare le zone di comfort per adattarsi all’ambiente. L’adattamento alle zone comfort ci porta a cercare di avere sempre più cose possibili. L’avere non è l’essere della mente coscienziale. Nella mente coscienziale sono presenti emozioni come: provare gioia, serenità, fare le cose con empatia, amore, aiuto, rispetto,non calpesta ecc.  

    Quando la mente coscienziale colpisce gli altri e l’ambiente a cui si rivolge tutti ne restano contaminati e si produce in generale più serenità, collaborazione, vita, positività ecc. 

    Quando non riesco a collegarmi alla scala di valori positivi, continuo a stare legata alla mente animale (mi arrabbio, non rispetto gli altri ecc) Mancando la scala dei valori della propria coscienza, manca la consapevolezza se ciò che sto facendo sia giusto o sbagliato per me, se faccia bene o no anche agli altri. La mente animale ha le regole dell’adattamento all’ambiente per sopravvivere (le leggi di capobranco, del gregario, del maschio alfa, del potere, lotta per il territorio, ecc.) Non ha la consapevolezza del giusto o sbagliato.

    La nostra mente coscienziale non si adatta all’ambiente per sopravvivere, come fa la parte animale che cerca sempre zone di comfort. Ma adatta l’ambiente a se stessa, alle proprie energie. Si può capire la lotta che c’è tra la parte animale e la mente coscienziale. Sono nettamente in opposizione

    Proviamo dunque a chiedere ad a un collaboratore o a un candidato durante un colloquio di selezione, cosa significa fare squadra o essere squadra e non dovremmo stupirvi se le risposte che otterremo oscilleranno tra affermazioni romantiche, ma poco concrete come “essere in perfetta sintonia con i colleghi” e tra dichiarazioni di intenti più simili a slogan elettorali quali “tutti uniti verso un comune obiettivo”.

    Difficile sviluppare un’abilità così fondamentale e da tutti dichiarata di possedere, se in partenza, già nel singolo individuo c’è confusione.  

    Essere squadra significa definire prima la propria scala di valori e verificare se corrisponde a quella del team, prendere accordi sulle questioni organizzative e comportamenti condivisi, che concilino efficienza, efficacia, gratificazione ed espressione personale di ogni membro della squadra.

    Per essere squadra è importante farsi domande

    Alcune di esse potrebbero essere:

    • Cosa mi impegno a fare per accrescere la sinergia del team e mantenere alto il mio livello di soddisfazione e motivazione personale?
    • Cosa perderei se togliessi un po’ del “mio fare sempre il meglio” per far sostenere e innalzare coloro che stanno solo “facendo sempre bene” o per permettere, a chi non lo sta facendo, di farne almeno un pò?

    Probabilmente perderemo un po’ di: 

    • visibilità, 
    • rafforzamento della nostra parte egoica che ha bisogno di sentirsi “speciale”, 
    • crescita economica.

    Ma non credo che tutto ciò minerebbe la nostra sicurezza. Anzi.

    E’ indiscutibile che per restare sul mercato e rispondere sempre meglio alle necessità o addirittura anticiparle, dobbiamo dare il meglio.

    Ma il meglio lo dobbiamo dare come persone di senso.

    Il senso, o scopo, è quello che dà significato e forza a ciò che facciamo e al perchè lo facciamo.

    Qual è lo scopo di essere o fare squadra?

    Il mercato infatti lo fanno la bravura, il tempo, il servizio, l’intenzione e l’informazione.

    Nel mettere a servizio il nostro meglio non emergono meno “punte di diamante” ma aumenta il livello generale di bene aziendale, che si traduce in successo.

     Un po’ effetto marea, il livello si alza.

    • Che vantaggi trae il singolo a cui viene chiesto di mettere il meglio a servizio del bene collettivo e dell’essere squadra? 

    Innumerevoli:

    • maggiore compartecipazione
    • allentamento della tensione, ansia stress
    • comprensione del valore della condivisione
    • nessuno è perfetto
    • integrare le proprie imperfezioni
    • alzare il senso di responsabilità comune 
    • maggiore successo per tutti
    • essere leader veri e cioè guide, ispiratori per far emergere il meglio da ognuno
    • dare ed ottenere fiducia

    Bisogna lavorare dall’interno, verso l’esterno.

    Un gruppo va costruito dall’interno e va guidato con strumenti che permettano alle persone di mantenersi nella propria centralità ed unicità, armonizzandosi poi con il team, anche di fronte a momenti di alta pressione lavorativa.

    Tu non sei speciale, sei unico.

    Tutto ciò nasce dall’osservazione, prima di sè stessi, dall’aver registrato una memoria nel corpo fisico di forze interne ed esterne che si allineano, per poi imparare a dosarle nel gruppo, per nutrirlo ed arricchirlo. I nostri corpi hanno l’intelligenza necessaria per relazionarsi e ciò che si manifesta sono leggi della fisica che regolano tutta la materia, dai filamenti cellulari ai corpi dell’universo. C’è un’armonia sottostante e il nostro corpo la conosce. Se la ricorda.

    La scelta tra  essere  o fare squadra  coinvolge il singolo su tutti e 3 i livelli:

    • fisico
    • mentale
    • emotivo

    L’energia del corpo fisico è la prima leva potente di comunicazione non verbale che non tradisce. Si accede ad una lettura facilitante, se ci si pone attenzione.

    Vantaggi e Svantaggi dell’essere o fare squadra da remoto o in presenza

    Vero è che nel team in remoto è una lettura estremamente difficile quella del corpo fisico, anche se con un buon allenamento ci si può affinare. Sicuramente si può bilanciare con il cinestesico.

    Ma la postura del corpo fisico è fondamentale nell’essere team ed è estremamente contagiante, soprattutto a livello inconscio.

    Per quanto riguarda la mente, abbiamo accennato all’importanza della scala dei valori che sono la caratteristica della mente coscienziale o spirituale.

    Quali sono i valori che guidano le nostre giornate e le nostre relazioni.

    Esercizio

    Prova a svolgere questo semplice esercizio in due parti:

    1) dalla seguente lista di valori, individua i 10 più importanti per te.

    2) ordinali per importanza. 

    In questo modo avrai una gerarchia chiara e precisa nel caso in cui due valori siano contrastanti su una determinata questione.

    Abbondanza, comodità, eccellenza, impegno, pazienza, serenità, abilità,  perdono, accettazione, educazione, indipendenza, perfezionismo, severità, adattabilità, coerenza, efficacia, perseveranza, affetto, efficienza, integrità, persuasione, sicurezza, affidabilità, compassione,  intelligenza, piacere, sincerità, allegria, competenza, eleganza, portamento, socializzazione, altruismo, competizione, intimità, positività, solidarietà, ambizione, comprensione, empatia, intuizione, potere, amicizia, comunità, equilibrio, spiritualità, amore, equità, leadership, precisione, controllo, tradizione, lealtà, prestigio, stabilità, apertura, cooperazione, esperienza, libertà, privacy, successo, appartenenza, coraggio, etica, prudenza, supremazia, apprendimento, correttezza, fama, maturità, puntualità, sviluppo, approvazione, creatività, famiglia, merito, purezza, tempo, armonia, credibilità, fede, minimalismo, relazioni, tenerezza, assistenza, crescita, fedeltà, natura, religione, umanità, astuzia, curiosità, felicità, reputazione, umiltà, autenticità, decisione, fiducia, obbedienza, responsabilità, umorismo, democrazia, forza, onestà, rettitudine, utilità, autorità, denaro, generosità, onore, ricchezza, autostima, determinazione, gentilezza, ordine, riconoscimento, verità, avventura, devozione, giustizia, organizzazione, rischio, visione, bellezza, dignità, gratitudine, orgoglio, rispetto, vulnerabilità, benessere, disciplina, grazia, ottimismo, sacrificio, calma, gruppo, pace, saggezza, cambiamento, divertimento, guadagno, partecipazione, salute, carriera, dovere, igiene, patriottismo, semplicità

    Se abbiamo chiari i nostri top ten di valori, la capacità di essere team sarà direttamente proporzionale a quanto riusciamo ad esprimere gerarchicamente quelli per noi più importanti.

    Se per esempio, nella tua lista di valori la tranquillità è più in alto rispetto all’orgoglio, deciderai di lasciar cadere quelle provocazioni.

    Se invece l’orgoglio viene prima, deciderai di rispondere a tono rinunciando alla tua tranquillità pur di difendere il tuo onore.

    Comprendere, in base alla propria scala di valori, se l’essere squadra sia per i collaboratori più funzionale in presenza, da remoto o un mix di entrambe ha proprio a che fare con la graduatoria dei valori e permette l’espressione vitale ed autentica delle persone.

    Non c’è una ricetta che possa funzionare per tutti. E sicuramente c’è poi una strategia che debba tenere conto del sistema. Il sistema migliora e si potenzia però solo quando il team è vitale e valorizzato, e per essere squadra è necessario attivare la mente coscienziale dei singoli.  Sicuramente la scala dei valori può essere un buon suggerimento.

    Se sei interessato a confrontarti anche con altre realtà su questi temi, ci vediamo il 6 ottobre a Milano per l’evento dal vivo “Il Team Sublime”: Come sostenere il cambiamento di stato del team da «solido» a «gassoso» e viceversa. Puoi prenotare il tuo posto cliccando QUI.