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FOMO

  • Il metodo

    Sentirsi insicuri al lavoro: la voce dell’energia maschile e femminile

    “Quando l’insicurezza in cerca di certezza ci domina, il pensiero diviene il nostro nemico” Krishnamurti

    Vi è mai capitato di dover prendere una decisione e sentirvi indecisi?

    Che domanda ovvia!

    Ci sono delle persone che non riescono mai a prendere delle decisioni, dalle più semplici alle più difficili. Queste persone vivono un’insicurezza radicata che non gli permette di vivere serenamente la vita.

    I meccanismi che per lo più mantengono questo stato di insicurezza sono: il sopravalutare eccessivamente gli altri e le difficoltà e/o sottovalutare smisuratamente se stessi e le proprie capacità.

    L’insicurezza, il mettere in discussione, appartiene principalmente all’energia femminile; la forza, la scelta, l’azione all’energia maschile. 

    L’insicurezza è correlata più ad uno stato emotivo, appartiene all’emisfero destro, il nostro cervello “poetico”.

    Quando insicurezza e forza si integrano e il risultato è fiducia.

    Spesso non è facile ammettere di sentirsi insicuri al lavoro, perchè dubbio e insicurezza minano la nostra “performance”, il nostro agire.

    Perdiamo l’equilibrio emotivo e mettiamo radici in un luogo ostile a noi stessi. Un luogo in cui la nostra immagine si cancella in una moltitudine di paure che riflettono ciò che temiamo di essere.

    L’insicurezza sul lavoro è comunemente vista come una debolezza personale, associata spesso alla sindrome dell’impostore. 

    La sindrome dell’impostore è una condizione psicologica caratterizzata dalla convinzione di non meritare il proprio successo. 

    Si tratta di una sensazione assai comune, che colpisce ad ogni età e che sperimenta anche chi ha raggiunto il massimo livello nel suo settore lavorativo.

    Si stima che 8 persone su 10 abbiano fatto esperienza della sindrome dell’impostore che, a dispetto del nome, non è una malattia e non compare sul Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM). 

    Diverse le possibili spiegazioni del fenomeno, che non è necessariamente legato a ansia o depressione e sembra piuttosto connaturato nella natura umana. 

    Chi è molto preparato e stimato nel proprio lavoro tende a credere che le persone che incontra siano altrettanto in gamba, e quindi a sentirsi in difetto: è il fenomeno opposto alla distorsione cognitiva che porta le persone poco competenti a sopravvalutarsi.”

    Se sei interessato a “misurare” la tua sindorme ad uso personale: https://paulineroseclance.com/pdf/IPTestandscoring.pdf

    Tali convinzioni, legate alla nostra natura umana, ci rendono cauti e pieni di risentimento nelle relazioni. 

    Il confronto con gli altri diventa “esclusivo” (nel senso proprio che tende ad “escludere”) piuttosto che inclusivo. 

    Quindi l’insicurezza diventa il driver per gli sforzi cronici che facciamo per metterci alla prova: sarò bravo quando avrò superato il mio ultimo successo.

    E così ogni volta, l’elogio che segue il successo viene rapidamente svuotato dall’insicurezza successiva. 

    Lo psicanalista austriaco Alfred Adler  introdusse  il concetto di complesso d’inferiorità.

    Affermava che le persone insicure sostengono una costante lotta di superiorità che può persino ripercuotersi in modo negativo sulle loro relazioni, in quanto possono sentirsi felici rendendo infelici gli altri. 

    Inoltre, qualificava questo genere di comportamenti come tipici della nevrosi.

    Non tutte le persone insicure sono caratterizzate da questo modo di essere. Dipende dal grado di sfiducia che hanno verso le loro capacità o i loro successi. 

    L’insicurezza, quando non è patologica e cronicizzata, non ha nulla a che vedere con l’avere dei legittimi dubbi di fronte ad una scelta o al mettersi in discussione di tanto in tanto, o al chiedere consigli/pareri/opinioni.

    L’insicurezza può essere  la molla che ci permette il miglioramento.

    La condizione di insicurezza inevitabilmente ci permette di metterci in discussione e collocarci “a tu per tu” con la nostra parte più autentica. 

    A dimostrarlo è una ricerca psicologica effettuata da Ketty May, Claire Shipman e Jill Ellyn Riley.

    Le donne risultavano più insicure dei coetanei maschi e più propense a mettersi in discussione per migliorare questo aspetto del loro carattere. Crescendo proprio le donne risultavano aver acquisito autostima, grinta e successo nella vita. Esse diventavano più consapevoli di se stesse rispetto ai coetanei più sicuri e determinati nella fase adolescenziale.

    Da dove nasce il nostro “sentirsi insicuri” al lavoro?

    Diventiamo o siamo insicuri?

    La ricerca sulle donne e le minoranze in ambito professionale, ad esempio, ha chiarito che l’insicurezza è molto più un problema sociale che psicologico. 

    Mentre le donne sono costituzionalmente sicure quanto gli uomini, un cocktail di messaggi contrastanti e feedback personali venati di pregiudizio – essere più assertive ma meno conflittuali, essere autentiche ma meno emotive – le mette in circostanze che farebbero vacillare chiunque.

    Alcuni studi hanno dimostrato che le donne sperimentano maggiore insicurezza al lavoro  degli uomini (Emberland & Rundmo, 2010; Mauno & Kinnunen, 2002) mentre altri non hanno osservato differenze nell’insicurezza lavorativa di donne e uomini (Berntson, Näswall, & Sverke, 2010). Rosenblatt et al. (1999), pur avendo trovato livelli maggiori di insicurezza lavorativa negli insegnanti maschi rispetto alle insegnanti femmine, hanno osservato che l’insicurezza aveva un impatto più forte sull’atteggiamento delle donne rispetto al lavoro, piuttosto che sull’atteggiamento degli uomini. Infine, in uno studio realizzato su impiegati di banca e del settore health care, Mauno e Kinnunen (1999) hanno osservato effetti negativi prolungati dell’insicurezza al lavoro sul benessere delle donne ma non su quello degli uomini. Näswall e De Witte (2003) hanno trovato risultati contraddittori nel medesimo studio.

    Le analisi di Katty Kay (conduttrice di Bbc world news America) e della giornalista Claire Shipman sostengono che il fattore principale ad ostacolare la parità tra i sessi sia insito nella donna stessa: la sua profonda e innata culturale insicurezza. Le autrici sostengono che, nelle interviste a donne di successo e professionalmente affermate, vi era un fattore sfuggente: l’insicurezza.

    Le donne attribuivano i loro successi a fattori esterni, e i loro insuccessi a fattori interni. 

    Ciò che emerge, al di là del retaggio antropologico e sociale noto (l’uomo concentrato sul lavoro in quanto sostegno economico della famiglia così come cacciatore che procurava il cibo alla prole, la donna più facilmente nella dimensione familiare che accudisce e di cui si prende cura) è che l’insicurezza non riguarda il gender role ma è qualcosa di più profondo che attiene alla comprensione e conoscenza della nostra energia maschile e femminile e all’armonizzazione di queste forze.

    Proprio per l’aspetto predominante del femminile che si apre all’emotività, alla riflessione, al pensiero intuitivo e creativo è facilmente comprensibile come la donna sia più portata ad attribuire i propri insuccessi a fattore interni e viceversa i successi, quasi casualmente alle circostanze esterne.

    Tutto ciò rafforzato dalla storia del vissuto della donna nelle diverse ere storiche.

    Parimenti, potremmo oggi convenire che l’uomo non “attento”, è più portato ad attribuire  la propria insicurezza e il proprio insuccesso a fattori esterni in quanto meno incline ad esplorare il proprio mondo emotivo.

    L’energia maschile volta all’azione, al pensiero analitico, al razionale può sicuramente venire in soccorso quando tendiamo a soprassedere troppo a lungo nell’interregno tra la paura di sbagliare o il senso di colpa ( peraltro spesso alimentato da  insicurezza e dubbio) e la direzione verso cui vogliamo agire.

    Allo stesso modo l’energia femminile volta all’introspezione apre a scenari di dubbio e di incertezza che possono essere opportunità migliori di ascolto e di inclusione di pensieri, atteggiamenti e/o persone che non avevamo preso in considerazione.

    Ciò che è certo è che Il distacco da queste 2 forze energetiche porta alla chiusura e al lavoro in solitaria. 

    Uno sguardo coraggioso e consapevole a noi stessi e all’ambiente di lavoro dove siamo inseriti ci offre la grande opportunità di essere presenti nel qui e ora e di nutrire e dare forza alla fiducia, leva fondamentale il superamento dell’insicurezza e per l’azione.

    L’obiettivo non sarà evitare sentimenti di insicurezza, ma riconoscerli come cause anche di un sistema e “sfruttarli” per offrire la giusta (per il sistema e per noi) manifestazione di noi stessi. 

    Non si tratta né di conquista né di privilegio. 

    E’ un dono che riceviamo e diamo a nostra volta. 

    Significa imparare a “stare” nella nostra forza.

    Come si alimenta il sentirsi insicuri al lavoro?

    Con il dialogo interiore negativo, il rimuginio continuo e la messa al vaglio di cose dette e fatte, etichettate come “inadeguate”. In base a cosa noi diciamo a noi stessi, rischiamo di alimentare di continuo la spirale dell’insicurezza: “Chissà se ho fatto bene, chissà se potevo dire/fare meglio, chissà, chissà, chissà. Perché non ci ho pensato prima!, ecc.

    Alimentiamo la nostra insicurezza ogni volta che usiamo parole negative verso noi stessi: magari facciamo bene 100 cose in una giornata, ma ci ricordiamo solo quell’unica venuta male e ce la ripetiamo nella testa 400 volte, quasi come se, ripetendola, potesse cambiare l’accaduto.

    Alimentiamo la nostra sicurezza tutte le volte che restiamo attaccati, come cozze alla roccia, al nostro bisogno di controllare. Il controllo, quando eccessivo,  è un’esasperazione dell’energia maschile, al di là dell’essere uomini o donne.

    Alimentiamo la nostra insicurezza quando tendiamo costantemente  al perfezionismo. Il nostro Osservatore Interno è sempre vigile ogni giorno e pronto, come la maestrina dalla penna rossa, a dirci cosa è bene, cosa è male, cosa è giusto e cos’è sbagliato. E se ci avviciniamo ad una nuova forma-pensiero dove non esiste giusto e/o sbagliato? Se accogliessimo queste come categorie di giudizio della nostra mente? Se provassimo a vederci sempre in continuo mutamento, per cui nessun giudizio o pensiero è impermanente e definitivo ?

    Vi invito a rileggere questo articolo.

    Ecco i suggerimenti per trasformare il sentirsi insicuri al lavoro e nella vita in un’opportunità di crescita:

    Allena le tue capacità personali: è vitale acquisire consapevolezza nelle proprie abilità, capacità e competenze. Le abbiamo tutti. Allenale ogni giorno fino a raggiungere l’eccellenza. Ci vuole coraggio, pazienza, determinazione e perseveranza. Col tempo esse verranno premiate donando molteplici soddisfazioni.

    Affronta i pensieri negativi: metti a tacere la “vocina interiore” che ti scoraggia e fa sabotare tutte le buone intenzioni. Affronta tutti i tuoi limiti con coraggio. Solo così passerai all’azione.

    Cambia il tuo focus d’azione: focalizzati sulla tua crescita personale in maniera positiva accogliendo anche gli imprevisti. Rifletti su quale opportunità l’imprevisto stesso ti sta offrendo. Solo così potrai affrontare tutto con una marcia in più che ti contraddistingue quando perseguirai i tuoi obiettivi.

    Permettete a voi stessi di sentirsi insicuri al lavoro.

    Avete visto LUCA, il nuovo film della Disney Pixar?

    C’è un personaggio di fondamentale importanza: Bruno.

    Bruno è quella voce nella testa dei personaggi che impedisce loro di fare quello che vogliono fare, perché evoca le peggiori paure e tende sempre a scoraggiarli.

    E così i due ragazzini, mentre scendono in bicicletta a rotta di collo dalla collina, con il vento che li scompiglia, il sole che li illumina, il mare che li aspetta e la velocità che li accende, urlano “ Silenzio Bruno!”

    Ecco provateci anche voi: Silenzio Bruno!

    Certo, spegnere l’Osservatore interno nella nostra  testa che ci parla costantemente per proteggerti da esiti negativi può non essere così semplice, soprattutto da adulti. 

    Può aiutarci tenere a mente che tutti si sentono insicuri e che i maggiori successi sono arrivati ​​da persone spinte da profonde insicurezze personali.

    Allo stesso modo, sappi che l’insicurezza non è né un riflesso dei tuoi punti di forza né legata alla tua felicità. 

    Non cercare di porre fine all’insicurezza ma accettala e ascolta il messaggio che porta per te: quale è l’aspetto di te che può avere ancora più ampi margini di espressione?

    Cosa ti sta chiamando?

    L’insicurezza d’altronde non è che un richiamo. 

    Come ogni altra nostra manifestazione del corpo e della mente: come sempre occorre imparare ad esserne consapevoli.

    L’insicurezza ci suggerisce che siamo stati colpiti. 

    Succede anche quando ci innamoriamo!

    Avvertiamo di essere trascinati in un mondo a noi non famigliare, di non riuscire ad opporre resistenza, e che qualcosa sta chiamando in causa i nostri desideri e bisogni.

    Facciamo dunque della nostra insicurezza il trampolino di lancio…

    Non arrenderti e se necessario chiedi aiuto.

    Confrontati. Il confronto e la ricerca di informazioni ti impedisce di commettere errori, in più aumenta il senso di appartenenza che riduce la tua paura di fallimento come singolo e fortifica il senso di inclusione e l’opportunità di crescita come gruppo.

    Fai del tuo lavoro uno scambio in cui le tue potenzialità di agire ed accogliere, fare e sentire, programmare e creare, creino sinfonia con il contesto in cui operi.

    Un uomo che conosce se stesso non è mai disturbato da quello che la gente pensa di lui. 

    È l’uomo che non conosce se stesso che è sempre preoccupato dell’opinione che gli altri hanno di lui.

    Offri alla tua insicurezza la grande possibilità di guidarti alla scoperta di te, in armonia con gli altri e per il raggiungimento di una vittoria che generi nuove possibilità e nuove sfide da superare insieme. 

    Non c’è giudice, non c’è errore, solo correzione!

    E ricorda : SILENZIO BRUNO!

    IMAGE CREDITS: Roberto Weigand

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

  • Il metodo

    Migliorare la performance aziendale con la disintossicazione digitale

    Nell’articolo della settimana scorsa abbiamo parlato di  J.O.M.O. (Joy of missing out) che è la gioia di perdersi qualcosa ed accettare la realtà. 

    La scelta di chi pratica J.O.M.O è la gioia di perdersi con quello che è, lasciando andare la paura di non essere abbastanza (F.O.M.O.)

    Per migliorare le performance aziendale bisogna scegliere.

    Scegliere di allenarsi a stare nel flow e allentare lo stato di tensione continua, che si manifesta con la sensazione di non essere mai abbastanza, di dover dimostrare, di essere in balia del giudizio altrui.

    Stare nel flow ai giorni nostri, implica una digital detox, implica vivere, come lo definisce Mihaly Csikszentmihalyi  “un’esperienza di gioia vivissima, un sentimento di estasi apparentemente senza motivo, dove la concentrazione è così intensa che non rimane più attenzione da dedicare ad altro.”

    Durante lo stato di flusso, le persone in genere sperimentano un profondo godimento, creatività e un totale coinvolgimento con la vita, ed entrano direttamente in contatto con il proprio Sé e con il senso di pienezza.

    Tutto ciò ha a che fare con 2 elementi fondamentali: l’attenzione e lo stato di pienezza.

    Lo stato di flow sta all’attenzione, come l’attenzione sta alla digital detox.  

    L’attenzione migliora la performance aziendale attenuando l’ansia

    L’attenzione e’ localizzata nella neo corteccia pre-frontale.

    Quando la nostra attenzione si focalizza su un determinato oggetto, interno od esterno, c’è un addensamento di neuroni (aumenta lo spessore).

    Grazie alla neuroplasticità cerebrale, più attenzione portiamo, più il nostro cervello diventa capace di attenzione stabile. 

    In questo modo aumentano i neuroni che si traducono in brain wellness.

    L’attenzione può essere diretta in modo volontario oppure in modo automatico.

    Nella nostra quotidianità accade spesso che le componenti di orientamento volontario e quelle di orientamento automatico dell’attenzione siano compresenti. 

    Ad esempio, se il nostro obiettivo è cercare qualcosa, soprattutto nel mondo web, capita spesso che la nostra attenzione venga distratta dalla presenza di un altro oggetto. 

    In generale, si ritiene che l’attenzione possa essere catturata automaticamente da eventi, stimoli e informazioni irrilevanti, rispetto allo scopo e al compito del soggetto.

    Per attenzione stabile si intende la capacità di concentrarsi sull’oggetto di interesse, e di elaborare in modo privilegiato le informazioni rilevanti, per il raggiungimento di uno specifico scopo. 

    L’informazione a cui si presta attenzione viene selezionata ed elaborata in maniera più efficiente, ha accesso alla coscienza e guida la risposta.

    L’attenzione stabile entra in gioco solo quando bisogna selezionare una risposta da emettere. 

    In tal senso, l’attenzione stabile consente di controllare l’accesso dell’informazione alla coscienza, ci porta all’interno di noi, ci fa stare nella presenza e genera benessere.

    I vantaggi dell’attenzione stabile sono :

    • Efficienza ed efficacia operativa: dedicati al 100% all’attività specifica entrando in stato di flow
    • Miglioramento della qualità delle relazioni umane: quando siamo più attenti, siamo presenti
    • Attivazione della contemplazione: meraviglia, ampliamento della percezione, senso di appartenenza e benessere 
    • Osservazione di Sé: migliora la consapevolezza perchè impariamo a notare le nostre esperienze mentali, fisiche ed emotive

    Quindi :

    +contenuti mentalI-attenzione = stress.

    -contenuti mentali (o meglio contenuti mentali scelti ), +attenzione= migliori performance aziendali.

    Lo stato di pienezza migliora la performance aziendale, non c’è dubbio

    Che differenza c’è tra pensare ed agire da uno stato di pienezza o da uno stato di bisogno?

    Il 20 aprile del 1986 nella partita tra Boston Celtics e Chicago Bulls  il giovane 23enne Michael Jordan segnò 63 punti, attuale record dei playoff.

    Quel giorno Jordan era in chiaro stato di flow, qualsiasi tiro gli entrava, schiacciava in testa a tutti e non sbagliava mai, sembrava un adulto che giocava con dei bambini e questi erano i grandissimi Boston Celtics (che poi vinsero il titolo NBA dell’86).

    Il grande Larry Bird dopo quella partita disse: “Ho visto Dio travestito da Michael Jordan”.

    Questa performance lasciò un segno e la ricordiamo raccontata nella famosa serie di Netflix “The Last Dance”.

    Quando sei nel flow si nota! 

    Perchè le tue prestazioni migliorano notevolmente.

    Csikszentmihalyi spiega come il forte focus mentale porta a un senso di estasi, un senso di chiarezza, hai il pieno controllo della situazione, ti dimentichi di te stesso. Ti senti parte di qualcosa di più grande. In questo spazio anche la percezione del tempo si trasforma.

    Ti è mai capitato di lavorare, studiare o giocare così intensamente da perdere la cognizione del tempo? 

    Ovviamente non dobbiamo essere tutti Michael Jordan e neanche grandi scienziati.

    Se le nostre abilità non sono all’altezza della sfida avremo uno stato di ansia e stress e al contrario saremo troppo rilassati.

    Quando abbiamo un livello medio di conoscenza, ma poche sfide, entra in gioco la noia.

    In qualsiasi campo siamo occorrono anni per raggiungere il giusto livello di esperienza/conoscenza: esso è la base per attivare lo stato di flusso.

    “Mi ci sono voluti quattro anni per dipingere come Raffaello, ma una vita per dipingere come un bambino”. Pablo Picasso

    Lo stato di pienezza ha a che fare con la passione e il senso

    Sono pieno e pago di me. 

    Non significa che sono arrogantemente nella presunzione di non aver più nulla da imparare. 

    Tutt’altro, significa che sono in un flusso tra il mio amore per ciò che sono e la mia voglia di scambiare, tra la mia passione che mi spinge a migliorarmi sempre più e il desiderio di rendere utile agli altri, di fare sharing.

    Quando lo scambio avviene da uno stato di pienezza ad un altro stato di pienezza, il risultato è arricchente per entrambe le parti.

    Avviene sia nelle relazioni affettive, che nelle relazioni lavorative.

    Quando l’ansia da prestazione, la paura di non essere all’altezza, sottende il mio agire, lo scambio parte sempre da una vibrazione di scarsità o di bisogno e si mantiene ad una frequenza bassa, o addirittura prosciuga energia da una o da entrambe le parti.

    A quel punto scatta la fear of missimg out (FOMO) che spesso riguarda più la nostra parte egoica.

    Voler generare, è diverso da dover generare

    Volere è potere, ma dovere non è volere.

    Il volere avvicina al senso. Il dovere allontana dal Sé.

    Ognuno di noi può percepire la propria giornata come una serie di attività che deve svolgere, o che vuole svolgere, anche quando ha la sensazione che tutto sia un to do list.

    Cosa succede se alla parola “devo” sostituisco la parola “ voglio”? 

    Che emozione si muove dentro di me, quando inizio osservando la sensazione?

    Questo non significa che tutte le nostre prestazioni lavorative debbano essere tese a migliorare la performance ma che l’intento, la volontà e la disciplina con la quale svolgiamo i nostri compiti, siano allineati al nostro sentire e alla nostra unicità.  Anche nel limite e nell’errore che, vale la pena ricordarlo, sono parte fondamentale di ogni processo migliorativo.

    Quando a scuola ci fecero leggere questa poesia di Douglas Malloch, l’insegnamento trasmesso fu quello di risplendere della propria migliore luce per il proprio benessere, e quello di chi con noi si relaziona.

    Se non puoi essere un pino in cima alla collina, sii una macchia nella valle,

     ma sii la migliore, piccola macchia accanto al ruscello; 

    sii un cespuglio, se non puoi essere un albero.

    Se non puoi essere un cespuglio, sii un filo d’erba,e rendi più lieta la strada;

    se non puoi essere un luccio, allora sii solo un pesce persico, ma il persico più vivace del lago!

    Non possiamo essere tutti capitani, dobbiamo essere anche un equipaggio,

    C’è qualcosa per tutti noi qui, ci sono grandi compiti da svolgere e ce ne sono anche di più piccoli,

    e quello che devi svolgere tu è li, vicino a te.

    Se non puoi essere un’autostrada, sii solo un sentiero, se non puoi essere il sole, sii una stella;

    Non è grazie alle dimensioni che vincerai o perderai: sii il meglio di qualunque cosa tu possa essere.

    Oggi spesso sostituiamo al nostro Sé, la sua imitazione: ci esibiamo e ci mostriamo attraverso una narrazione di superficie, uno storytelling che sia accettabile dagli altri, che comunichi il nostro senso (accettabile) di benessere e che ci dia visibilità.

    L’esistenza oggi significa presenza, ma non a se stessi: soprattutto agli altri.

    A volte succede perchè molti di noi faticano a ad avere chiarezza su chi sono e cosa vogliono.

    Nella vita, come sul lavoro.

    Il significato etimologico di performance ‹pëfòomëns› s. ingl. [der. di (to) perform «compiere, eseguire», dal fr. ant. performer «compiere», che è dal lat. tardo performare «dare forma», ci riporta quindi al senso non solo di compiere, ma generare, dare forma, che è ancora prima della creatività.

    Cosa attiva la paura di performare in azienda?

    Lasciare andare una dimensione che non ci appaga e non ci soddisfa, ma della quale conosciamo limiti e vantaggi, è più facile che mettere in atto un cambiamento: decidere di “metterci sempre la faccia” e portare al mondo il nostro valore, condividerlo per migliorare se stessi richiede coraggio!

    Coraggio nel dimensionare le nostre aspettative su noi stessi, nel confrontarsi realmente con gli altri ed essere predisposti ad accogliere critiche e commenti.

    Oggi, nel grande cambiamento, abbiamo un’occasione unica: possiamo attingere da tecniche di consapevolezza, centrarci e immetterci nel flusso che si muove verso una nuovo setting del mondo del lavoro e della vita.

    Senza dimenticare che non siamo soli.

    Questo ci dovrebbe ricordare che, in una visione cosciente e solida del Sé, l’altro ci completa sempre, non ci mina ne ci boicotta. L’altro è sempre messaggero di opportunità di miglioramento.

    L’essere connessi, se prodotto di una scelta consapevole, ci sostiene nel migliorare la performance della nostra vita. 

    Inclusione, relazione, condivisione, crescita collettiva sono gli obiettivi oggi realmente conseguibili.

    E’ tempo dunque di lasciare andare ciò che ci siamo imposti di essere o che gli altri hanno scelto per noi, e stare.

    E’ tempo di valorizzare il diamante grezzo che si cela dentro di noi: stare in silenzio ad ascoltare, stare in ascolto del Sé, stare in pacifica attesa affinché il valore, i talenti, possano trovare lo spazio necessario per manifestarsi.

    E poi agire.

    Dalla disintossicazione digitale al benessere digitale per migliorare la performance aziendale

    E’ quindi necessario, alla luce di quanto sin qui detto, prendersi una pausa. 

     «Prima di pensare a cambiare il mondo, fare le rivoluzioni, meditare nuove costituzioni, stabilire un nuovo ordine, scendete prima di tutto nel vostro cuore, fatevi regnare l’ordine, l’armonia e la pace. Soltanto dopo, cercate delle anime che vi assomigliano e passate all’azione» così scriveva Platone (più o meno 2400 anni fa).

    Chiunque intenda intraprendere una disintossicazione digitale dovrebbe:

    • avere una motivazione: non importa che sia riprendere finalmente contatto con la natura, avere un po’ più di tempo per sé o per la famiglia e gli amici ecc.
    • accettare un limite di tempo per il proprio rehab: perché sia di qualche utilità, si dovrebbe stare lontani dai social non meno di ventiquattro ore. 

    Una bella sfida potrebbe essere farlo per una settimana. In questo caso potrebbe essere necessario avvertire in anticipo i propri contatti e reinventarsi modi un po’ “vintage” per non restare isolati e far sì che la propria sfera affettivo-relazionale non ne risulti danneggiata.

    • Programmare le proprie giornate analogiche e riempire il tempo normalmente dedicato ai social: si potrebbe fare una lunga passeggiata, approfittarne per visitare quel museo in cui non si è mai stati, per rivedere amici di vecchia data, finire i libri dimenticati sul comodino, scrivere una lettera a qualcuno, ecc. 

    Gli step visti fin qua dovrebbero aiutare a godersi davvero la propria pausa dagli ambienti digitali: all’inizio è normale provare un senso di smarrimento e la voglia di tornare immediatamente al mondo e alle proprie abitudini digitali; bisogna pazientare però perché, passato lo sconvolgimento iniziale, si comincerà a godere della sensazione di essere finalmente disconnessi e di riprendersi il proprio potere, il potere del Sé.

    Anche il ritorno al mondo digitale potrebbe essere straniante, non fosse altro che per le numerose notifiche accumulate, le email arretrate a cui rispondere, le informazioni e le news da recuperare. 

    Fare selezione è altrettanto importante in questa fase e il proprio rehab dovrebbe aver insegnato, del resto, a sentirsi più centrati, nella propria forza, ad aver recuperato consapevolezza rispetto al digitale come strumento e non come fine.

    Riprendersi il proprio potere significa tornare in azienda con quello stato di flow e di pienezza che caratterizza il migliorare le performance e renderle la conseguenza dell’ essere vicini alla nostra unicità, con passione  e vitalità in tutti gli aspetti della nostra vita.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.

  • Il metodo

    JOMO in azienda: la gioia di perdersi qualcosa per ottenere il meglio

    Quando la paura di perdersi qualcosa, si sostituisce con la gioia di perdersi (JOMO) per ritrovarsi?

    Ultimamente mi capita spesso di oscillare tra questi due stati emotivi. 

    Sono curiosa e appassionata per natura, da ragazza raccoglievo qualsiasi volantino trovavo per strada o in cassetta postale, accumulandosi sulla scrivania, convinta ci fosse sempre qualcosa di interessante da scoprire o qualche opportunità da cogliere.

    Magari velocemente, ma riuscivo sempre a leggerli tutti ed inevitabilmente tre quarti venivano cestinati.

    Sono cresciuta con l’amore per lo studio e la convinzione di essere sempre allieva di qualcuno.

    Ho sempre vissuto con questo afflato, considerandolo anche una mia qualità.

    Ma oggi come un boomerang, se non sono centrata e attenta, tutto ciò scatena in me un senso di bulimia, a volte quasi compulsiva.

    Non avrei mai pensato che questo oggi potesse anche trasformarsi nel male di vivere.

    L’iperstimolazione schizofrenica in termini di contenuti webinar, e-book da scaricare, informazioni gratuite ecc., a cui siamo soggetti, mette a dura prova la nostra capacità attentiva, la nostra concentrazione, ma anche il senso del valore e del rispetto, in altre parole il nostro benessere psico-fisico-emotivo.

    La paura di non essere abbastanza o la paura di perdersi sempre qualcosa (definita più semplicemente FOMO (fear of missing out) oggi in particolare, sia in azienda, che nella vita privata, ha assunto proporzioni disumane, sia in termini di diffusione endemica, sia in termini di disagio personale. 

    Tanto da essere diventata uno dei più reali nuclei di sofferenza.

    Se sostituissimo alla FOMO un nuovo atteggiamento?

    Nell’era degli acronimi si parla di  J.O.M.O. (Joy of missing out) che è la gioia di perdersi qualcosa ed accettare la realtà. 

    Nelle tradizioni orientali millenarie si è sempre parlato di accogliere ciò che è, di vivere nella presenza per imparare a sentire non solo ciò che siamo, ma essere focalizzati sul senso e sulla direzione del nostro essere qui su questa terra, senza farci distrarre dalle sirene incantatrici. 

    In fondo nulla è cambiato nell’essere umano. Che risponde allo stesso modo alle aspettative esterne, provando a conformarsi per essere accettato.

    Laddove però gli standard sono eccessivi, per non dire impossibili, nonché trasformati da una logica “perversa” di un mercato impazzito, il senso di inadeguatezza raggiunge livelli di insostenibilità. 

    A tal punto da portare allo sviluppo di  un modus vivendi generalizzato caratterizzato da alti livelli di ansia da prestazione.

    Si tratta in questo caso di cose immateriali come contenuti, notizie, aggiornamenti, che abbiamo paura di perdere!

    Il timore principale è quello di rimanere tagliati fuori, di restare indietro.

    Ogni volta che perdiamo qualcosa siamo pervasi da emozioni negative come la sconfitta, la frustrazione, l’amarezza. 

    In cosa consiste la F.O.M.O. e come trasformarla in JOMO?

    E’ una forma di dipendenza ed indica una confusione psicologica dovuta ad una scarsa capacità di concentrazione e di insicurezza personale. 

    Una condizione psicologica creata, per lo più, da una bassa autostima  e da “un’eccessiva paura di essere tagliati fuori”. Lo smart working ha accentuato questa sindrome, proprio perché siamo sommersi da proposte on line, che ci arrivano costantemente, a cui dedichiamo pochissima attenzione, perché stiamo facendo altro. 

    Ma inevitabilmente siamo avviluppati in un vortice che, se non governiamo, ci assorbe e ci prosciuga.

    Oggi puoi imparare tutto, ovunque e in poco tempo.

    A quanti webinar / corsi ti sei iscritto nell’ultimo mese?

    E a quanti hai partecipato?

    Cosa si nasconde dietro questo comportamento? 

    Viviamo come consumatori seriali di contenuti digitali, ci iscriviamo a moltissime iniziative, spinti dalla voglia istintiva di conoscere, bramosi di non perderci nulla, ma di fatto poi non siamo in grado di partecipare, scarichiamo gratuitamente moltissimi e-book e non riusciamo mai a leggerli.

    Facciamo come i pesci rossi: ci voltiamo alla presenza di qualcosa che appare interessante, ma poi cambiamo subito direzione perché distratti da altro, senza portare a termine quanto intrapreso.

    Di fatto oggi i contenuti online soffrono un altissimo tasso di abbandono.

    Il tempo di permanenza delle persone su di essi è uno dei valori che contribuisce a determinare l’engagement ma, secondo un’indagine di Beckon solo il 5% dei messaggi riesce ad avere un tasso di coinvolgimento del 90%. 

    Nell’era della distrazione, la concentrazione delle persone è talmente fragile che abbandonare è diventata un’abitudine.

    Quali paure si nascondono dietro questi comportamenti che ci allontanano dallo stato JOMO?

    Personalmente credo ci siano 3 paure principali:

    • Paura di non essere importanti, di non essere visti: spesso queste paure hanno a che fare con la nostra vita infantile, quando da bambini facevamo di tutto per attirare l’attenzione e l’amore dei nostri genitori.
    • Paura di essere incompetenti, di non essere mai abbastanza: quando ricerchiamo questa sensazione di competenza e ne valutiamo il livello personale, mettiamo automaticamente in dubbio le nostre capacità.
    • Paura di non essere amabili, degni di amore: sorge dalla necessità di sentirsi apprezzati e ben voluti perché si è soliti affidare all’esterno il senso del proprio valore. Se gli altri non mi apprezzano, non valgo.

    Per chiunque è difficile vivere con sentimenti di insicurezza, e la nostra psiche è abilissima nel creare meccanismi di difesa, il cui scopo principale è la protezione e la sopravvivenza.

    Se ci impegniamo a modificare le nostre abitudini in vista degli obiettivi che vogliamo raggiungere, possiamo riuscire a organizzare meglio le nostre attività, a essere più produttivi e a godere di quel senso di soddisfazione che ci fa sentire appagati a fine giornata. 

    Gestire il proprio tempo significa gestire la propria vita.

    La voglia di conoscere deve essere supportata dalla volontà di concentrarsi.

    Nell’ultimo articolo abbiamo sottolineato come imparare sia un bisogno primario a sostegno dello sviluppo umano.

    “E’ l’unica cosa che la mente non riesca mai ad esaurire, mai ad alienare, mai a esserne torturata, mai a temere o a diffidare, mai a sognarsi di essersene pentita.”

    Avere una forte motivazione personale che ci spinge ad un miglioramento di noi stessi è una buona cosa.

    Una persona interessata alla vita, alle proprie passioni, al proprio benessere, è una persona che favorisce la crescita di chi le sta intorno, anche in ambito lavorativo.

    Nell’articolo abbiamo parlato di motivazione e disciplina. 

    La disciplina è la differenza tra tu che vivi una vita che non ti piace, e tu che vivi i tuoi sogni. 

    E’ la differenza tra chi sei e chi sarai. 

    La disciplina è l’alleata necessaria alla motivazione e all’azione.

    Armonizzare questi tre aspetti di ognuno di noi ci aiuta a stare bene, ad essere vitali e presenti.

    La motivazione ci spinge, l’azione ci muove e la disciplina ci dà lo strumento  spazio – tempo per crescere in quell’azione.

    Ognuno di noi suppone di avere chiara la visione di sé. Ma forse non è sempre così.

    La consapevolezza di chi siamo e di dove vogliamo andare ci permette di navigare nel mare magnum della Rete, verso contenuti che hanno valore per noi.

    La tendenza alla velocità, a voler fare tutto per sentirci completi, equilibrati e in pace con noi stessi ci sta portando nella direzione opposta, cioè a non fare nulla, impedendoci di definire delle priorità. 

    Di fronte a stimoli apparentemente uguali (il bisogno di fare una passeggiata, di tenerci informati, di coltivare le relazioni interpersonali) non riusciamo più a scegliere e finiamo esattamente così, come l’asino di Buridano:

    «Un asino affamato e assetato è accovacciato esattamente tra due mucchi di fieno con, vicino a ognuno, un secchio d’acqua, ma non c’è niente che lo determini ad andare da una parte piuttosto che dall’altra. Perciò, resta fermo e muore.»

    Pur di non scegliere, l’asino di Buridano è morto sia di fame che di sete.

    Lo stai facendo anche tu?

    Riprenderci il nostro tempo vuol dire agire con lentezza, fare meno cose, più lentamente, concentrandosi davvero solo su quello che stiamo facendo qui e ora senza il solito timore di perdere qualcos’altro. 

    E, allo stesso modo in cui ricaviamo spazi sufficienti a incastrare mille impegni in un solo giorno, dovremmo trovare anche il tempo per non fare nulla

    Senza aver paura di perdere.

    Perché per vincere il tempo, forse bisogna perderne un po’.

    Come coltivare la JOMO in azienda e nella vita privata per migliorare il nostro benessere

    1 – Accettare la realtà per quello che è. La prima cosa da fare per gioire del perdersi le sterminate opportunità è comprendere che non si può essere in due posti nello stesso tempo. La verità è che esistono troppi posti da vedere, cibi da assaporare, attività da fare.

    Se tentassimo di fare tutto, otterremo solo la frustrazione di non riuscirci.

    Accettare la realtà per ciò che è non ha nulla a che fare con essere passivi, ma tutt’altro significa stare nel flusso delle cose e fare del nostro meglio, senza giudizio e conflitto ma con flessibilità e accoglienza.

    2- Scoprire cosa è davvero importante per noi.

    Dopo aver capito che non si può provare tutto, il passo successivo è quello di decidere cosa si vuole provare davvero. Può essere utile creare una lista di priorità.

    Quali sono le esperienze più importanti per noi?  Se doveste eliminare qualche abitudine a quale rinuncereste per prima? Non importa ciò che pensano o vogliono gli altri. 

    E’ un atto di onestà con se stessi.

    3- Imparare a dire di no, quando non si vuole o non si può accettare un impegno. Per paura di ciò che gli altri pensano, per imbarazzo o scarsa autostima, ci ritroviamo in situazioni che spesso non ci piacciono. Imparare a dare valore alle nostre scelte, ci permette più facilmente di dire di “no” a tutto il resto.

    4- Sviluppare la contemplazione. Implica attenzione. Si raggiunge con un abbandono, che scatta dopo l’osservazione ( esempio davanti ad un’alba o un tramonto); provoca stupore, sorpresa, che genera gusto per la vita.  Ci possiamo stupire e meravigliare anche di piccoli altri dettagli della nostra quotidianità, se solo ci accorgiamo.

    5- Mindfulness. E’ una pratica che prevede un alto livello di concentrazione della mente e che può generare un benessere psicofisico della persona, perché ci allena a portare l’attenzione da fuori a dentro semplicemente.

    Nello stato di JOMO la solitudine diventa piacere, la capacità di gradire il tempo passato da soli, isolandosi volontariamente da tutto, soprattutto dallo smartphone e dal computer, per coltivare una dimensione più intima con se stessi, rigenerarsi e tornare nutriti, intuitivi e grati.

    Sapere cosa ci disturba è il migliore indicatore verso ciò che ci completa.

    Allora l’azione non sarà paura di “non sapere” di “rimanere indietro” di non colmare il vuoto con tutto quello che ci offrono, ma diventerà ricerca consapevole di approfondimento di ciò che è giusto per noi, per la nostra crescita personale, per il nostro miglioramento lavorativo.

    La paura di non essere, diventerà il piacere di riconoscersi in ciò che siamo, nelle cose che ci assomigliano, che ci sfidano, che ci illuminano.

    Quale è, a livello aziendale ,la strada per sostenere questa ricerca?

    I 4 indicatori del BSU (Benessere e Sviluppo Umano) in azienda è uno strumento immediato che ti mettiamo gratuitamente a disposizione per orientarti meglio, o semplicemente per avere più consapevolezza sullo stato di benessere attuale della tua azienda.  

    Se vuoi trasformare il benessere organizzativo e lo sviluppo umano delle tue persone nella risorsa più importante per il successo del tuo business è possibile attivare un confronto condiviso: questo è il primo passo che possiamo fare insieme, a costo zero.

    ENERGYOGANT

    Il metodo Energyogant concreto e misurabile, ha come intento il miglioramento e il sostegno dell’energia personale anche nei momenti di alto impatto lavorativo.

    E’ suddiviso in 4 macro aree all’interno delle quali vengono forniti strumenti e feedback per sviluppare energia, creatività, concentrazione e vitalità nel singolo, migliorando il  benessere organizzativo.